Alcune osservazioni sulla forma logica: Difference between revisions

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su di essa, per esempio “P è rossa”, per mezzo del simbolo “[6-9, 3-8] R”, dove “R” è un termine non ancora analizzato (“6-9” e “3-8” stanno per l’intervallo continuo tra i rispettivi numeri). Il sistema di coordinate qui è parte del modo di espressione; è parte del metodo di proiezione attraverso il quale la realtà viene proiettata nel nostro simbolismo. La relazione di una macchia che giace in mezzo ad altre due può essere espressa in maniera simile usando variabili apparenti. Non c’è bisogno di precisare che quest’analisi non pretende affatto di essere completa. In essa non ho fatto menzione del tempo e l’adozione di uno spazio bidimensionale non è giustificata nemmeno nel caso della visione monoculare. Desidero soltanto suggerire la direzione nella quale, a mio avviso, va cercata l’analisi dei fenomeni visivi e che in questa analisi incontriamo forme logiche affatto differenti da quelle che il linguaggio ordinario ci induce ad aspettarci. La ricorrenza di numeri nelle forme delle proposizioni atomiche non è, dal mio punto di vista, soltanto una caratteristica di un simbolismo speciale, ma un tratto essenziale e, perciò, imprescindibile della rappresentazione. E i numeri dovranno entrare in queste forme ogniqualvolta – come diremmo nel linguaggio ordinario – avremo a che fare con proprietà che ammettono una gradazione, cioè proprietà come la lunghezza di un intervallo, l’altezza di un suono, la luminosità o la rossezza di una sfumatura di colore, etc. È caratteristico di queste proprietà che un grado di esse escluda ogni altro. Una sfumatura di colore non può avere simultaneamente due differenti gradi di luminosità o rossezza, un suono due differenti intensità, etc. E il punto rilevante, qui, è che queste osservazioni non si riferiscono a un’esperienza, ma sono in un certo senso tautologie. Ognuno di noi lo sa nella vita quotidiana. Se alla domanda: “Che temperatura c’è fuori?”, noi rispondessimo: “Venticinque gradi”, e ora ci venisse chiesto di nuovo: “Ci sono trenta gradi?”, dovremmo rispondere: “Ti ho detto che ci sono venticinque gradi”. Noi consideriamo l’attestazione di un grado (di temperatura, per esempio) una descrizione ''completa'', che non richiede integrazioni. Così, quando ci viene chiesto, diciamo che ore sono, non anche che ore non sono.
su di essa, per esempio “P è rossa”, per mezzo del simbolo “[6-9, 3-8] R”, dove “R” è un termine non ancora analizzato (“6-9” e “3-8” stanno per l’intervallo continuo tra i rispettivi numeri). Il sistema di coordinate qui è parte del modo di espressione; è parte del metodo di proiezione attraverso il quale la realtà viene proiettata nel nostro simbolismo. La relazione di una macchia che giace in mezzo ad altre due può essere espressa in maniera simile usando variabili apparenti. Non c’è bisogno di precisare che quest’analisi non pretende affatto di essere completa. In essa non ho fatto menzione del tempo e l’adozione di uno spazio bidimensionale non è giustificata nemmeno nel caso della visione monoculare. Desidero soltanto suggerire la direzione nella quale, a mio avviso, va cercata l’analisi dei fenomeni visivi e che in questa analisi incontriamo forme logiche affatto differenti da quelle che il linguaggio ordinario ci induce ad aspettarci. Il ricorrere di numeri nelle forme delle proposizioni atomiche non è, dal mio punto di vista, soltanto una caratteristica di un simbolismo speciale, ma un tratto essenziale e, perciò, imprescindibile della rappresentazione. E i numeri dovranno entrare in queste forme ogniqualvolta – come diremmo nel linguaggio ordinario – avremo a che fare con proprietà che ammettono una gradazione, cioè proprietà come la lunghezza di un intervallo, l’altezza di un suono, la luminosità o la rossezza di una sfumatura di colore, etc. È caratteristico di queste proprietà che un grado di esse escluda ogni altro. Una sfumatura di colore non può avere simultaneamente due differenti gradi di luminosità o rossezza, un suono due differenti intensità, etc. E il punto rilevante, qui, è che queste osservazioni non si riferiscono a un’esperienza, ma sono in un certo senso tautologie. Ognuno di noi lo sa nella vita quotidiana. Se alla domanda: “Che temperatura c’è fuori?”, noi rispondessimo: “Venticinque gradi”, e ora ci venisse chiesto di nuovo: “Ci sono trenta gradi?”, dovremmo rispondere: “Ti ho detto che ci sono venticinque gradi”. Noi consideriamo l’attestazione di un grado (di temperatura, per esempio) una descrizione ''completa'', che non richiede integrazioni. Così, quando ci viene chiesto, diciamo che ore sono, non anche che ore non sono.


Uno potrebbe pensare – e io stesso lo pensavo non molto tempo fa – che un’asserzione che esprime il grado di una qualità possa essere analizzata come un prodotto logico di singole asserzioni di quantità e di un’asserzione aggiuntiva di complemento. Così potrei descrivere il contenuto della mia tasca dicendo: “Contiene un penny, uno scellino, due chiavi, e nient’altro”. Questo “e nient’altro” è l’asserzione supplementare che completa la descrizione. Ma ciò, come analisi di un’asserzione di grado, non va bene. Infatti, se noi chiamiamo l’unità di misura, poniamo, della luminosità “''b''” e se E(''b'') è l’asserzione che l’entità E possiede quella luminosità, allora la proposizione E(2''b''), che dice che E ha due gradi di luminosità, dovrebbe essere analizzabile come il prodotto logico E(''b'') ˄ E(''b''), ma questo è uguale a E(''b''). Se, d’altra parte, proviamo a distinguere tra le unità e scriviamo dunque E(2''b'') = E(''b''<nowiki>'</nowiki>) ˄ E(''b''"), assumiamo due differenti misure della luminosità e, di conseguenza, se un’entità possiede una sola unità, può sorgere la questione di quale delle due – ''b''<nowiki>'</nowiki> o ''b''" – essa sia; il che è ovviamente un’assurdità.
Uno potrebbe pensare – e io stesso lo pensavo non molto tempo fa – che un’asserzione che esprime il grado di una qualità possa essere analizzata come un prodotto logico di singole asserzioni di quantità e di un’asserzione aggiuntiva di complemento. Così potrei descrivere il contenuto della mia tasca dicendo: “Contiene un penny, uno scellino, due chiavi, e nient’altro”. Questo “e nient’altro” è l’asserzione supplementare che completa la descrizione. Ma ciò, come analisi di un’asserzione di grado, non va bene. Infatti, se noi chiamiamo l’unità di misura, poniamo, della luminosità “''b''” e se E(''b'') è l’asserzione che l’entità E possiede quella luminosità, allora la proposizione E(2''b''), che dice che E ha due gradi di luminosità, dovrebbe essere analizzabile come il prodotto logico E(''b'') ˄ E(''b''), ma questo è uguale a E(''b''). Se, d’altra parte, proviamo a distinguere tra le unità e scriviamo dunque E(2''b'') = E(''b''<nowiki>'</nowiki>) ˄ E(''b''"), assumiamo due differenti misure della luminosità e, di conseguenza, se un’entità possiede una sola unità, può sorgere la questione di quale delle due – ''b''<nowiki>'</nowiki> o ''b''" – essa sia; il che è ovviamente un’assurdità.