Tractatus logico-philosophicus (italiano): Difference between revisions

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2.225 Non vi è un'immagine vera a priori.
2.225 Non vi è un'immagine vera a priori.
3L'immagine logica dei fatti è il pensiero.
3.001«Uno stato di cose è pensabile» vuol dire: possiamo farci un'immagine di esso.
3.01La totalità dei pensieri veri è un'immagine del mondo.
3.02Il pensiero contiene la possibilità degli stati di cose che pensa. Ciò che è pensabile, è anche possibile.
3.03Non possiamo pensare niente di illogico, perché altrimenti dovremmo pensare illogicamente.
3.031Si diceva un tempo che Dio può creare tutto, tranne solo ciò che è contrario alle leggi logiche. – Noi in effetti non potremmo ''dire'', di un mondo «illogico», che aspetto avrebbe.
3.032Presentare nel linguaggio qualcosa «che contraddice la logica» è tanto impossibile quanto presentare nella geometria, attraverso le sue coordinate, una figura che contraddice le leggi dello spazio; oppure indicare le coordinate di un punto che non esiste.
3.0321Possiamo ben presentare spazialmente uno stato di cose che vada contro le leggi della fisica, ma non uno che vada contro le leggi della geometria.
3.04Un pensiero corretto a priori sarebbe un pensiero tale che la sua possibilità implicasse la sua verità.
3.05Potremmo sapere a priori che un pensiero è vero solo se la sua verità si riconoscesse dal pensiero stesso (senza un termine di paragone).
3.1Nella proposizione il pensiero si esprime in modo percepibile sensibilmente.
3.11Utilizziamo il segno percepibile sensibilmente (segno vocale o grafico ecc.) della proposizione come proiezione dello stato di cose possibile.
Il metodo di proiezione è il pensare il senso della proposizione.
3.12Chiamo il segno attraverso il quale esprimiamo il pensiero il segno proposizionale. E la proposizione è il segno proposizionale nella sua relazione proiettiva con il mondo.
3.13Alla proposizione appartiene tutto ciò che appartiene alla proiezione; ma non il proiettato.
Quindi la possibilità di ciò che è proiettato, ma ''non'' ciò che è proiettato.
Nella proposizione, dunque, non è ancora contenuto il suo senso, ma vi è contenuta la possibilità di esprimerlo.
(«Il contenuto della proposizione» vuol dire il contenuto della proposizione dotata di senso.)
Nella proposizione è contenuta la forma del suo senso, ma non il suo contenuto.
3.14Il segno proposizionale consiste nello stare in relazione l'uno con l'altro in modo determinato dei suoi elementi, le parole.
Il segno proposizionale è un fatto.
3.141La proposizione non è un miscuglio di parole. – (Come il tema musicale non è un miscuglio di suoni.)
La proposizione è articolata.
3.142Solo i fatti possono esprimere un senso; una classe di nomi non può.
3.143Che il segno proposizionale sia un fatto viene occultato dall'abituale forma espressiva della scrittura o della stampa.
Infatti nella proposizione stampata, ad es., il segno proposizionale non sembra essenzialmente diverso dalla parola.
(Per questo Frege ha potuto chiamare la proposizione un nome composto.)
3.1431L'essenza del segno proposizionale diventa molto chiara se ce lo rappresentiamo come composto, anziché da segni grafici, da oggetti spaziali (come tavoli, sedie, libri).
La reciproca posizione spaziale di queste cose esprime allora il senso della proposizione.
3.1432Non «il segno complesso “''a'' R ''b''” dice che ''a'' sta nella relazione R con ''b''», bensì ''che'' «''a''» sta in una certa relazione con «''b''» dice ''che'' ''a'' R ''b''.
3.144Si possono descrivere gli stati di cose, non ''nominarli''.
(I nomi assomigliano a punti, le proposizioni a frecce: esse hanno senso.)
3.2Nella proposizione il pensiero può essere espresso in modo tale che gli elementi del segno proposizionale corrispondano agli oggetti del pensiero.
3.201Chiamo questi elementi «segni semplici» e la proposizione «completamente analizzata».
3.202I segni semplici usati nella proposizione si chiamano nomi.
3.203Il nome significa l'oggetto. L'oggetto è il suo significato. («A» è lo stesso segno che «A».)
3.21Alla configurazione dei segni semplici nel segno proposizionale corrisponde la configurazione degli oggetti nello stato di cose.
3.22Il nome sta, nella proposizione, per l'oggetto.
3.221Posso solo ''nominare'' gli oggetti. I segni stanno per essi. Posso solo parlare ''di'' essi, non posso ''asserirli''. Una proposizione può dire solo ''come'' uno oggetto è, non ''cosa'' è.
3.23Il requisito della possibilità dei segni semplici è il requisito della determinatezza del senso.
3.24La proposizione che tratta di un complesso è in una relazione interna con la proposizione che tratta di una parte costituente del complesso.
Il complesso può essere dato solo attraverso la sua descrizione, e questa sarà esatta o non esatta. La proposizione nella quale si parla di un complesso non sarà, se questo non esiste, insensata, ma semplicemente falsa.
Che un elemento della proposizione designi un complesso si può vedere da un'indeterminatezza nelle proposizioni in cui tale elemento compare. Noi ''sappiamo'' che questa proposizione non determina ancora tutto. (La designazione della generalità ''contiene'' un archetipo.)
La sintesi del simbolo di un complesso in un simbolo semplice può essere espressa da una definizione.
3.25Vi è una e una sola analisi completa della proposizione.
3.251La proposizione esprime ciò che esprime in modi determinati, suscettibili di essere indicati chiaramente: la proposizione è articolata.
3.26Il nome non può essere scomposto per mezzo di alcuna ulteriore definizione: esso è un segno primitivo.
3.261Ogni segno definito designa ''attraverso'' quel segno da cui viene definito; e le definizioni mostrano la via.
Due segni, un segno primitivo e uno definito attraverso segni primitivi, non possono designare nello stesso modo. Non si ''possono'' dissezionare i nomi attraverso definizioni. (Né alcun segno che da solo e in modo indipendente ha un significato.)
3.262Ciò che nei segni non giunge a espressione viene mostrato dal loro uso. Ciò che i segni nascondono è enunciato dal loro uso.
3.263I significati dei segni primitivi possono essere chiariti attraverso spiegazioni. Le spiegazioni sono proposizioni che contengono i segni primitivi. Dunque possono essere comprese solo se i significati di questi segni sono già conosciuti.
3.3Solo la proposizione ha senso; solo nel contesto della proposizione un nome ha significato.
3.31Chiamo ogni parte della proposizione che caratterizza il suo senso un'espressione (un simbolo).
(La proposizione stessa è un'espressione.)
È espressione tutto ciò di essenziale per il senso della proposizione che le proposizioni possono avere in comune tra di loro.
L'espressione caratterizza una forma e un contenuto.
3.311L'espressione presuppone le forme di tutte le proposizioni in cui può comparire. Essa è il tratto caratteristico comune di una classe di proposizioni.
3.312Essa è dunque presentata dalla forma generale delle proposizioni che essa caratterizza.
Infatti in questa forma l'espressione sarà ''costante'', e tutto il resto ''variabile''.
3.313L'espressione è quindi presentata da una variabile i cui valori sono le proposizioni che contengono l'espressione.
(Nel caso limite le variabili divengono costanti, l'espressione diviene proposizione.)
Chiamo una tale variabile «variabile proposizionale».
3.314L'espressione ha significato solo nella proposizione. Ogni variabile può essere intesa come variabile proposizionale.
(Incluso il nome variabile.)
3.315Se trasformiamo una parte costitutiva di una proposizione in una variabile, otteniamo una classe di proposizioni che costituiscono tutti i valori della proposizione variabile così ottenuta. Questa classe dipende ancora, in generale, da ciò che noi intendiamo, per convenzione arbitraria, mediante le parti di quella proposizione. Se però trasformiamo in variabili tutti quei segni il cui significato è determinato arbitrariamente, otteniamo ancora e sempre una tale classe. Questa, tuttavia, non dipende più da alcuna convenzione, ma solo dalla natura della proposizione. Essa corrisponde a una forma logica – a un archetipo logico.
3.316Quali valori sia possibile assumere per la variabile proposizionale è qualcosa che viene fissato.
La fissazione dei valori ''è'' la variabile.
3.317La fissazione dei valori delle variabili proposizionali è l'''indicazione delle proposizioni'' il cui tratto comune è la variabile.
La fissazione è una descrizione di queste proposizioni.
La fissazione quindi tratterà solo di simboli, non del loro significato.
E ''solo'' questo è essenziale a tale fissazione: ''che essa è solo una descrizione di simboli e non dice niente sul simbolizzato''.
Come avviene la descrizione delle proposizioni è inessenziale.
3.318Intendo la proposizione – come Frege e Russell – come funzione delle espressioni in essa contenute.
3.32Il segno è ciò che nel simbolo è percepibile sensibilmente.
3.321Due simboli diversi possono quindi avere il segno in comune tra loro (segno grafico o segno vocale ecc.) – essi simbolizzano allora in modo diverso.
3.322Che noi li simbolizziamo con lo stesso segno ma con due diversi ''modi di simbolizzazione'' non può mai indicare il tratto comune di due oggetti. Il segno, infatti, è arbitrario. Si potrebbero quindi anche scegliere due segni diversi, e allora che ne sarebbe di ciò che vi è in comune nella simbolizzazione?
3.323Nel linguaggio comune capita spessissimo che la stessa parola simbolizzi in diversi modi – che dunque appartenga a diversi simboli – o che due parole che simbolizzano in modi diversi vengano impiegate in modo esteriormente identico nella proposizione.
Così la parola «è» compare come copula, come segno di identità e come espressione dell'esistenza; «esistere» come verbo intransitivo alla stessa stregua di «andare»; «identico» come aggettivo; parliamo di ''un qualcosa'', ma anche dell'accadere ''di qualcosa''.
(Nella proposizione «Rosa è rosa» – dove la prima parola è un nome di persona, l’ultima un aggettivo – queste parole non hanno semplicemente diverso significato, ma sono ''simboli diversi''.)
3.324Così nascono facilmente gli equivoci più fondamentali (dei quali tutta la filosofia è piena).
3.325Per sottrarci a questi errori dobbiamo impiegare un linguaggio segnico che li esclude, non impiegando lo stesso segno in simboli diversi e non impiegando esteriormente nello stesso modo segni che simbolizzano in modo diverso. Un linguaggio segnico, dunque, che obbedisce alla grammatica ''logica'' – la sintassi logica.
(L'ideografia di Frege e Russell è un tale linguaggio, che tuttavia non esclude ancora tutti gli errori.)
3.326Per riconoscere il simbolo nel segno bisogna prenderne in considerazione l'uso dotato di senso.
3.327Solo insieme con la sua applicazione logico-sintattica il segno determina una forma logica.
3.328Se un segno ''non'' viene ''usato'', allora è privo di significato. Questo è il senso del rasoio di Occam.
(Se tutto sta come se un segno avesse significato, allora esso ha significato.)
3.33Nella sintassi logica il significato di un segno non può mai avere un ruolo; esso deve poter essere stabilito senza che in ciò si parli del ''significato'' di un segno; esso può presupporre ''solo'' la descrizione delle espressioni.
3.331A partire da questa osservazione volgiamo lo sguardo alla «''theory of types''» di Russell: l'errore di Russell si mostra nella necessità in cui egli si è trovato, al momento di stabilire le regole relative ai segni, di parlare del significato dei segni.
3.332Nessuna proposizione può enunciare qualcosa su se stessa, poiché il segno proposizionale non può essere contenuto in sé stesso (questa è l'intera «''theory of types''»).
3.333Una funzione, quindi, non può essere il proprio stesso argomento, poiché il segno di funzione contiene già l'archetipo del suo argomento e non può contenere se stesso.
Assumiamo infatti che la funzione ''F'' (''f'' ''x'') possa essere il proprio stesso argomento; allora si darebbe una proposizione «''F'' (''F'' (''f'' ''x''))», ma in questa la funzione ''F'' esterna e la funzione ''F'' interna devono avere significati diversi, poiché quella interna ha la forma φ(''f'' ''x''), quella esterna la forma ψ(φ(''f'' ''x'')). In comune a entrambe le funzioni vi è solo la lettera «''F''», che però da sola non simbolizza niente.
Questo diventa subito chiaro se anziché «''F'' (''F'' (''u''))» scriviamo «(∃φ) : ''F'' (φ''u'') . φ''u'' = ''F u''».
Con ciò si risolve il paradosso di Russell.
3.334Le regole della sintassi logica devono comprendersi da sé, purché si sappia come ogni dato segno designa.
3.34La proposizione possiede tratti essenziali e accidentali.
Accidentali sono i tratti che derivano dal particolare modo in cui viene prodotto il segno proposizionale. Essenziali quelli senza i quali la proposizione non sarebbe capace di esprimere il suo senso.
3.341L'essenziale nella proposizione è dunque ciò che è comune a tutte le proposizioni che possono esprimere lo stesso senso.
E allo stesso modo, in generale, l'essenziale nel simbolo è ciò che hanno in comune tutti i simboli che possono assolvere lo stesso scopo.
3.3411Si potrebbe quindi dire: il nome, propriamente, è ciò che tutti i simboli che designano l'oggetto hanno in comune. Si rivelerebbe così gradualmente che nessuna composizione è minimamente essenziale per il nome.
3.342Nelle nostre notazioni qualcosa è, certo, arbitrario, ma ''questo'' non è arbitrario: che ''se'' abbiamo determinato qualcosa arbitrariamente, allora qualcosa d'altro deve verificarsi. (Questo dipende dall'''essenza'' della notazione.)
3.3421Un particolare modo di designazione può non essere importante, ma è sempre importante che esso sia un ''possibile'' modo di designazione. E così stanno le cose nella filosofia in generale: l'individuo si rivela sempre di nuovo non importante, ma la possibilità di ogni individuo ci rivela qualcosa sull'essenza del mondo.
3.343Le definizioni sono regole per la traduzione di un linguaggio in un altro. Ogni linguaggio segnico corretto deve poter essere tradotto in ogni altro secondo tali regole: ''questo'' è ciò che essi hanno tutti in comune.
3.344Ciò che nel simbolo designa è ciò che vi è di comune in tutti quei simboli con cui esso può essere sostituito secondo le regole della sintassi logica.
3.3441Si può ad es. esprimere così ciò che vi è di comune in tutte le notazioni per le funzioni di verità: a esse è comune il ''poter essere'' tutte ''sostituite'' – ad es. – dalla notazione di «~''p''» («non ''p''») e «''p'' ∨ ''q''» («''p'' o ''q''»).
(Ecco il modo in cui una particolare notazione possibile può rivelarci qualcosa di generale.)
3.3442Anche il segno del complesso si risolve tramite l'analisi in modo non arbitrario, cosicché la sua scomposizione sarebbe diversa per ogni struttura della proposizione.
3.4La proposizione determina un luogo nello spazio logico. L'esistenza di questo luogo logico non è garantita che dall'esistenza delle parti costituenti, dall'esistenza della proposizione dotata di senso.
3.41Il segno proposizionale e le coordinate logiche: questo è il luogo logico.
3.411Il luogo geometrico e quello logico corrispondono in quanto sono entrambi la possibilità di un'esistenza.
3.42Benché la proposizione possa determinare solo un luogo dello spazio logico, con essa dev'essere già dato l'intero spazio logico.
(Altrimenti con la negazione, la somma logica, il prodotto logico ecc. verrebbero introdotti sempre nuovi elementi – in coordinazione.)
(L'impalcatura logica intorno all'immagine determina lo spazio logico. La proposizione attraversa tutto lo spazio logico.)
3.5Il segno proposizionale applicato, pensato, è il pensiero.
4Il pensiero è la proposizione dotata di senso.
4.001La totalità delle proposizioni è il linguaggio.
4.002L'uomo possiede la capacità di costruire linguaggi, mediante i quali può essere espresso qualsiasi senso, senza avere un'idea di come e cosa ogni parola significa. – Così come si parla senza sapere come sono prodotti i singoli suoni.
Il linguaggio comune è una parte dell'organismo umano e non è meno complicato di quest'ultimo.
È umanamente impossibile dedurne in modo immediato la logica del linguaggio.
Il linguaggio traveste il pensiero. Di modo che non si può concludere dalla forma esteriore del vestito alla forma del pensiero sotto il vestito; perché la forma esteriore del vestito è fatta per tutt'altri scopi che quello di permettere di riconoscere la forma del corpo.
Gli accordi taciti per la comprensione del linguaggio comune sono enormemente complessi.
4.003Le tesi e le domande su cose filosofiche che sono state messe per iscritto sono per la maggior parte non false, ma insensate. Perciò non possiamo affatto rispondere a domande di tal sorta, ma solo stabilire la loro insensatezza. Le domande e le proposizioni dei filosofi nascono per la maggior parte dall'incomprensione della logica del nostro linguaggio.
(Esse sono domande dello stesso tipo di quella se il buono sia o meno lo stesso che il bello.)
E non è stupefacente che i problemi più profondi propriamente ''non'' siano problemi.
4.0031Tutta la filosofia è «critica del linguaggio». (Non tuttavia nel senso di Mauthner.) È merito di Russell aver mostrato che la forma logica apparente della proposizione può non essere la sua forma logica reale.
4.01La proposizione è un'immagine della realtà.
La proposizione è un modello della realtà così come ce la rappresentiamo.
4.011A prima vista la proposizione – come essa per esempio sta stampata sulla carta – non sembra essere un'immagine della realtà di cui tratta. Ma anche la notazione musicale a prima vista non sembra essere un'immagine della musica, e la nostra notazione fonetica o alfabetica non sembra essere un'immagine del nostro linguaggio vocale.
E tuttavia questi linguaggi segnici si rivelano, anche nel senso abituale, come immagini di ciò che presentano.
4.012È evidente che percepiamo una proposizione della forma «''a'' R ''b''» come immagine. Qui il segno è evidentemente qualcosa di rassomigliante al designato.
4.013E se penetriamo nell'essenziale di questa natura figurativa vediamo che essa ''non'' viene compromessa da ''apparenti irregolarità'' (come l'impiego del ♯ e del ♭ nella notazione musicale).
Poiché anche queste irregolarità raffigurano ciò che devono esprimere; solo in modo diverso.
4.014Il disco del grammofono, il pensiero musicale, la notazione musicale, le onde sonore stanno tutti tra di loro in quella relazione interna di raffigurazione che sussiste tra linguaggio e mondo.
A tutti è comune la costruzione logica.
(Come nella fiaba i due giovani, i loro due cavalli e i loro gigli. Essi sono tutti in un certo senso uno.)
4.0141Che vi sia una regola generale mediante la quale il musicista può trarre la sinfonia dalla partitura, e che ve ne sia una mediante la quale si può trarre dal solco del disco per il grammofono la sinfonia e poi, secondo la prima regola, di nuovo dedurre la partitura – in questo appunto consiste la somiglianza interna di queste forme apparentemente così diverse. E questa regola è la legge della proiezione che proietta la sinfonia nel linguaggio della notazione musicale. È la regola della traduzione del linguaggio della notazione musicale nel linguaggio del disco del grammofono.
4.015La possibilità di tutte le immagini, di tutta la natura figurativa del nostro modo di espressione, risiede nella logica della raffigurazione.
4.016Per comprendere l'essenza della proposizione, pensiamo alla scrittura geroglifica, che raffigura i fatti che descrive.
E da essa si è sviluppata la scrittura alfabetica, senza che l'essenziale della raffigurazione andasse perso.
4.02Lo vediamo da questo: che comprendiamo il senso del segno proposizionale senza che esso ci sia stato spiegato.
4.021La proposizione è un'immagine della realtà: poiché se comprendo la proposizione conosco lo stato di cose da essa presentato. E comprendo la proposizione senza che il suo senso mi sia stato spiegato.
4.022La proposizione ''mostra'' il suo senso.
La proposizione ''mostra'' come le cose stanno ''se'' è vera. E ''dice'' ''che'' stanno così.
4.023La realtà deve essere fissata mediante la proposizione per il sì o per il no.
A questo scopo la realtà deve essere descritta completamente dalla proposizione.
La proposizione è la descrizione di uno stato di cose.
Come la descrizione di un oggetto lo descrive secondo le sue proprietà esterne, così la proposizione descrive la realtà secondo le sue proprietà interne.
La proposizione costruisce un mondo con l'aiuto di un'impalcatura logica, e perciò dalla proposizione si può anche vedere come sta tutto ciò che logicamente ne consegue ''se'' essa è vera. Si possono ''trarre conclusioni'' da una proposizione falsa.
4.024Comprendere una proposizione vuol dire sapere cosa accade se essa è vera.
(La si può quindi comprendere senza sapere se è vera.)
La si comprende quando si comprendono le sue parti costituenti.
4.025La traduzione di un linguaggio in un altro non procede traducendo ogni ''proposizione'' dell'uno in una ''proposizione'' dell'altro; bensì vengono tradotte solo le parti costituenti.
(E il vocabolario non traduce solo i sostantivi, ma anche verbi, aggettivi, congiunzioni ecc.; e li tratta tutti allo stesso modo.)
4.026I significati dei segni semplici (delle parole) devono esserci spiegati affinché li comprendiamo.
Con le proposizioni invece ci spieghiamo.
4.027Fa parte dell'essenza della proposizione che essa possa comunicarci un senso ''nuovo''.
4.03Una proposizione deve comunicare un senso nuovo con vecchie espressioni.
La proposizione ci comunica uno stato di cose; quindi dev'essere ''essenzialmente'' connessa con lo stato di cose.
E la connessione consiste appunto in questo: che la proposizione è l'immagine logica dello stato di cose.
La proposizione asserisce qualcosa solo in quanto è un'immagine.
4.031Nella proposizione uno stato di cose viene, per dir così, messo insieme a titolo di prova.
Si potrebbe addirittura dire, invece che «questa proposizione ha questo e questo senso», «questa proposizione presenta questo e questo stato di cose».
4.0311Se un nome sta per una cosa, un altro per un'altra cosa ed essi sono collegati l'uno all'altro, allora l'insieme – come un ''tableau vivant'' – rappresenta lo stato di cose.
4.0312La possibilità della proposizione riposa sul principio che i segni ''stanno per'' gli oggetti.
Il mio pensiero fondamentale è che le «costanti logiche» non ''stanno per'' alcunché. Che niente può ''stare per'' la ''logica'' dei fatti.
4.032La proposizione è un'immagine di uno stato di cose solo in quanto essa è logicamente organizzata.
(Anche la proposizione «''ambulo''» è composta, poiché la sua radice dà un altro senso con un'altra desinenza, e la sua desinenza con un'altra radice.)
4.04Nella proposizione dev'essere differenziato esattamente tanto quanto è differenziato nello stato di cose che essa presenta.
Entrambi devono possedere la stessa molteplicità logica (matematica). (Vedi la ''Meccanica'' di Hertz a proposito dei modelli dinamici.)
4.041Questa stessa molteplicità matematica non si può, naturalmente, raffigurare a sua volta. Da essa non si può uscire finché si raffigura.
4.0411Se volessimo ad es. esprimere ciò che esprimiamo attraverso «(''x'').''f x''» attraverso l'anteposizione di un indice a «''f'' ''x''» – ad es. così: «gen. ''f'' ''x''» – ciò non sarebbe sufficiente – non sapremmo che cosa viene generalizzato. Se volessimo indicarlo attraverso un indice «g» – ad es. così: «''f'' (''x<sub>g</sub>'')» – anche ciò non sarebbe sufficiente – non conosceremmo l'estensione del segno di generalità.
Se volessimo cercare di farlo attraverso l'introduzione di un indice nei posti per l'argomento – per esempio così: «(G, G) . F (G, G)» – ciò non sarebbe sufficiente – non potremmo stabilire l'identità delle variabili. E così via.
Tutti questi modi di designazione non sono sufficienti perché essi non hanno la necessaria molteplicità matematica.
4.0412Per la stessa ragione la spiegazione idealistica della visione delle relazioni spaziali attraverso gli «occhiali spaziali» non è sufficiente, poiché essa non riesce a spiegare la molteplicità di queste relazioni.
4.05La realtà viene confrontata con la proposizione.
4.06La proposizione può essere vera o falsa solo essendo un'immagine della realtà.
4.061Se non si considera che la proposizione ha un senso indipendente dai fatti, allora si può facilmente credere che vero e falso siano relazioni tra segno e designato a eguale titolo.
Allora si potrebbe dire ad es. che «''p''» designa in modo vero ciò che «~''p''» designa in modo falso, ecc.
4.062Si può comunicare con proposizioni false, come finora si è fatto con proposizioni vere? Purché si sappia che esse sono intese come false. No! Poiché una proposizione è vera quando le cose stanno come noi diciamo attraverso essa; e se con «''p''» intendiamo ~''p'' e le cose stanno come noi intendiamo, allora «''p''» nella nuova concezione è vera, e non falsa.
4.0621È però importante che il segno «''p''» e «~''p''» ''possano'' dire lo stesso. Poiché ciò mostra che al segno «~» non corrisponde niente nella realtà.
Che in una proposizione compaia la negazione non è ancora un'indicazione del suo senso (~~''p'' = ''p'').
Le proposizioni «''p''» e «~''p''» hanno senso contraddittorio, ma corrisponde loro una e la stessa realtà.
4.063Un'immagine per spiegare il concetto di verità: macchia nera su carta bianca; la forma della macchia si può descrivere dichiarando per ogni punto della superficie se esso è bianco o nero. Al fatto che un punto sia nero corrisponde un fatto positivo, al fatto che un punto sia bianco (non nero) un fatto negativo. Se indico un punto della superficie (un valore di verità, nei termini di Frege), questo corrisponde all'assunzione che viene offerta al giudizio, ecc. ecc.
Tuttavia per poter dire che un punto è nero o bianco devo prima sapere quando un punto si chiama nero e quando lo si chiama bianco; per poter dire che «''p''» è vera (o falsa) devo aver determinato in quali circostanze chiamo «''p''» vera, e così facendo determino il senso della proposizione.
Ora, il punto in cui la similitudine zoppica è questo: possiamo indicare un punto del foglio anche senza sapere che cosa è bianco e cosa nero; a una proposizione senza senso però non corrisponde proprio niente, poiché essa non designa alcuna cosa (valore di verità) le cui proprietà si chiamino per esempio «falso» o «vero»; il verbo di una proposizione non è – come credeva Frege – «è vero» o «è falso», bensì ciò che «è vero» deve già contenere il verbo.
4.064Ogni proposizione deve ''già'' avere un senso; l'affermazione non può darglielo, poiché essa afferma appunto il senso. E lo stesso vale per la negazione, ecc.
4.0641Si potrebbe dire: la negazione è già correlata al luogo logico che la proposizione negata determina.
La proposizione che nega determina un ''altro'' luogo logico rispetto alla proposizione negata.
La proposizione che nega determina un luogo logico con l'aiuto del luogo logico della proposizione negata, descrivendo il primo come collocato al di fuori del secondo.
Che si possa negare di nuovo la proposizione negata basta per mostrare che ciò che viene negato è già una proposizione, e non solo la bozza di una proposizione.
4.1La proposizione [rap]presenta il sussistere e non-sussistere degli stati di cose.
4.11La totalità delle proposizioni vere è l'intera scienza della natura (o la totalità delle scienze della natura).
4.111La filosofia non è una delle scienze della natura.
(La parola «filosofia» deve significare qualcosa che sta sopra o sotto, ma non accanto, alle scienze della natura.)
4.112Lo scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri.
La filosofia non è una teoria, ma un'attività.
Un'opera filosofica consiste essenzialmente di chiarificazioni.
La filosofia non dà come risultato «proposizioni filosofiche», ma il chiarificarsi di proposizioni.
La filosofia deve rendere chiari pensieri che altrimenti sono, per così dire, nebulosi e sfocati, e delimitarli precisamente.
4.1121La psicologia non è imparentata con la filosofia più di qualsiasi altra scienza della natura.
La teoria della conoscenza è la filosofia della psicologia.
Il mio studio dei linguaggi segnici non corrisponde allo studio dei processi di pensiero, che i filosofi consideravano così essenziale per la filosofia della logica? Solamente, essi si impelagarono perlopiù in ricerche psicologiche inessenziali, e vi è un pericolo analogo anche per il mio metodo.
4.1122La teoria darwiniana non ha a che fare con la filosofia più di ogni altra ipotesi della scienza naturale.
4.113La filosofia delimita l'area [di ciò che è] problematizzabile [da parte] della scienza naturale.
4.114Essa deve circoscrivere il pensabile e, con ciò, l'impensabile.
Deve delimitare l'impensabile dall'interno, attraverso il pensabile.
4.115Essa significherà l'indicibile presentando chiaramente il dicibile.
4.116Tutto ciò che può essere affatto pensato può essere pensato chiaramente. Tutto ciò che può essere detto può essere detto chiaramente.
4.12La proposizione può presentare l'intera realtà, ma non può presentare ciò che essa deve avere in comune con la realtà per poterla presentare – la forma logica.
Per poter presentare la forma logica dovremmo poterci porre con la proposizione al di fuori della logica, cioè al di fuori del mondo.
4.121La proposizione non può presentare la forma logica; questa si rispecchia nella proposizione.
Ciò che si rispecchia nel linguaggio non può essere presentato dal linguaggio.
Ciò che ''si'' esprime nel linguaggio non può essere espresso ''da noi'' mediante il linguaggio.
La proposizione ''mostra'' la forma logica della realtà.
La esibisce.
4.1211Così una proposizione «''f'' ''a''» mostra che nel suo senso compare l'oggetto ''a''; due proposizioni «''f'' ''a''» e «''g'' ''a''» che in entrambe si parla dello stesso oggetto.
Se due proposizioni si contraddicono a vicenda, questo è mostrato dalla loro struttura; lo stesso se esse seguono una dall'altra. E così via.
4.1212Ciò che ''può'' essere mostrato non ''può'' essere detto.
4.1213Ora comprendiamo anche questo nostro sentimento: che saremmo in possesso di una concezione logica corretta se solo nel nostro linguaggio segnico tutto funzionasse.
4.122Possiamo parlare, in un certo senso, di proprietà formali degli oggetti e degli stati di cose, ovvero di proprietà della struttura dei fatti, e, nello stesso senso, di relazioni formali e di relazioni di strutture.
(Anziché «proprietà della struttura» dico anche «proprietà interna»; anziché «relazione delle strutture», «relazione interna».
Introduco queste espressioni per mostrare la ragione della confusione, molto comune tra i filosofi, tra le relazioni interne e le relazioni vere e proprie (esterne).)
Il sussistere di certe proprietà e relazioni interne non può tuttavia essere asserito mediante proposizioni; esso si mostra invece nelle proposizioni che presentano quegli stati di cose e vertono su quegli oggetti.
4.1221Una proprietà interna di un fatto può anche essere chiamata un tratto di questo fatto. (Nel senso in cui parliamo per esempio di tratti di un viso.)
4.123Una proprietà è interna se è impensabile che il suo oggetto non la possieda.
(Questo colore blu e quello stanno ''eo ipso'' nella relazione interna di più chiaro e più scuro. È impensabile che ''questi'' due oggetti non stiano in questa relazione.)
(Qui all'uso oscillante delle parole «proprietà» e «relazione» corrisponde l'uso oscillante della parola «oggetto».)
4.124Il sussistere di una proprietà interna di uno stato di cose possibile non viene espresso attraverso una proposizione, bensì si esprime nella proposizione che presenta lo stato di cose attraverso una proprietà interna di questa proposizione.
Affermare che la proposizione ha una proprietà formale sarebbe tanto insensato quanto negarlo.
4.1241Non si possono distinguere le forme una dall'altra dicendo che questa ha questa proprietà, l'altra invece quella; poiché ciò presuppone che abbia un senso affermare entrambe le proprietà di entrambe le forme.
4.125Il sussistere di una relazione interna tra stati di cose possibili si esprime linguisticamente attraverso una relazione interna tra le proposizioni che li presentano.
4.1251Qui si risolve la disputa «se tutte le relazioni siano interne o esterne».
4.1252Chiamo serie formali quelle serie che sono ordinate attraverso relazioni ''interne''.
La serie dei numeri non è ordinata secondo una relazione esterna, ma secondo una relazione interna.
Analogamente la serie delle proposizioni
:«''a'' R ''b''»,
:«(∃''x'') : a R ''x'' . ''x'' R ''b''»,
:«(∃''x'', ''y'') : ''a'' R ''x'' . ''x'' R ''y'' . ''y'' R ''b''», e così di seguito.
(Se ''b'' sta in una di queste relazioni ad ''a'', allora chiamo ''b'' un successore di ''a''.)
4.126Nel senso in cui parliamo di proprietà formali possiamo ora parlare anche di concetti formali.
(Introduco questa espressione per rendere chiara la ragione della confusione dei concetti logici con i concetti veri e propri, la quale attraversa tutta la vecchia logica.)
Che qualcosa cada sotto un concetto formale come suo oggetto non può essere espresso mediante una proposizione. Ciò si mostra invece nel segno di questo oggetto stesso. (Il nome mostra di designare un oggetto, il segno numerico di designare un numero ecc.)
I concetti formali non possono essere presentati, come i concetti veri e propri, attraverso una funzione.
Poiché i loro caratteri, le proprietà formali, non vengono espressi attraverso funzioni.
L'espressione della proprietà formale è un tratto di certi simboli.
Il segno dei caratteri di un concetto formale è quindi un tratto distintivo di tutti i simboli i cui significati cadono sotto il concetto.
L'espressione del concetto formale dunque è una variabile proposizionale in cui solo questo tratto caratteristico è costante.
4.127La variabile proposizionale designa il concetto formale e i suoi valori gli oggetti che cadono sotto questo concetto.
4.1271Ogni variabile è il segno di un concetto formale.
Ogni variabile infatti presenta una forma costante che tutti i suoi valori possiedono, e che può essere considerata una proprietà formale di questi valori.
4.1272Perciò il nome variabile «''x''» è il segno proprio dello pseudo-concetto ''oggetto''.
Ovunque la parola «oggetto» («cosa», «entità», ecc.) viene impiegata correttamente, essa nell'ideografia viene espressa attraverso il nome variabile.
Per esempio nella proposizione «vi sono 2 oggetti che…» attraverso «(∃''x'', ''y'')…».
Ovunque viene impiegata diversamente, cioè come parola che indica un concetto vero e proprio, si originano pseudo-proposizioni insensate.
Così ad es. non si può dire «vi sono oggetti» come si dice «vi sono libri». E allo stesso modo non si può dire «vi sono 100 oggetti» o «vi sono  oggetti». Ed è insensato parlare del ''numero di tutti gli oggetti''.
Lo stesso vale per le parole «complesso», «fatto», «funzione», «numero», ecc.
Esse simbolizzano tutte concetti formali e vengono presentate nell'ideografia attraverso variabili, non (come pensavano Frege e Russell) attraverso funzioni o classi.
Espressioni come «1 è un numero», «vi è un solo zero» e tutte quelle di questo genere sono insensate.
(Dire «vi è un solo 1» è tanto insensato quanto lo sarebbe dire: «2 + 2 è uguale a 4 alle ore 3».)
4.12721Il concetto formale è già dato con un oggetto che cade sotto di esso. Non si possono quindi introdurre, come concetti fondamentali, gli oggetti che cadono sotto un concetto formale ''e'' il concetto formale stesso. Non si possono quindi ad es. introdurre, come concetti fondamentali, il concetto della funzione e anche funzioni particolari (come fa Russell); o il concetto di numero e numeri determinati.
4.1273Se vogliamo esprimere la proposizione generale «''b'' è un successore di ''a''» nell'ideografia, abbiamo bisogno per questo di un'espressione per il termine generale della serie formale:
:''a'' R ''b'',
:(∃''x'') : ''a'' R ''x'' . ''x'' R ''b'',
:(∃''x'' ''y'') : ''a'' R ''x'' . ''x'' R ''y'' . ''y'' R ''b'', …
Il termine generale di una serie formale può essere espresso solo mediante una variabile, poiché il concetto di termine di questa serie formale è un concetto ''formale''. (Questo è stato trascurato da Frege e Russell; il modo in cui essi vogliono esprimere le proposizioni generali, come quella qui sopra, è perciò errato; esso contiene un circolo vizioso.)
Possiamo determinare il termine generale della serie formale indicando il suo primo termine e la forma generale dell'operazione che genera l'elemento successivo dalla proposizione precedente.
4.1274La domanda sull'esistenza di un concetto formale è insensata. Poiché nessuna proposizione può rispondere a una tale domanda.
(Così ad es. non si può chiedere: «Vi sono proposizioni soggetto-predicato inanalizzabili?»)
4.128Le forme logiche sono ''anumeriche''.
Perciò nella logica non vi sono numeri speciali e perciò non vi è alcun monismo filosofico o dualismo filosofico ecc.
4.2Il senso della proposizione è il suo accordo e non-accordo con le possibilità del sussistere e non-sussistere degli stati di cose.
4.21La proposizione più semplice, la proposizione elementare, asserisce il sussistere di uno stato di cose.
4.211Una caratteristica della proposizione elementare è che nessuna proposizione elementare può contraddirla.
4.22La proposizione elementare consiste di nomi. Essa è una connessione, una concatenazione di nomi.
4.221È evidente che tramite l'analisi della proposizione dobbiamo pervenire a proposizioni elementari che consistano di nomi collegati gli uni agli altri in modo immediato.
Si pone qui la questione di come si costituisca la connessione proposizionale.
4.2211Anche se il mondo fosse infinitamente complesso, così che ogni fatto consistesse di un numero infinito di stati di cose e ogni stato di cose fosse composto di un numero infinito di oggetti, anche in questo caso dovrebbero esservi oggetti e stati di cose.
4.23Il nome compare nella proposizione solo nel contesto della proposizione elementare.
4.24I nomi sono i simboli semplici; li indico mediante singole lettere («''x''», «''y''», «''z''»).
Scrivo la proposizione elementare come funzione dei nomi nella forma: «''f'' ''x''», «φ(''x'', ''y'')», ecc.
Oppure la indico mediante le lettere ''p'', ''q'', ''r''.
4.241Se utilizzo due segni in un solo e medesimo significato, lo esprimo collocando tra essi il segno «=».
«''a'' = ''b''» vuol dire quindi: il segno «''a''» può essere sostituito con il segno «''b''».
(Se introduco un nuovo segno «''b''» attraverso un'uguaglianza, stabilendo che esso debba sostituire un segno «''a''» già noto, allora (come Russell) scrivo l'uguaglianza – definizione – nella forma «''a'' = ''b'' def.». La definizione è una regola segnica.)
4.242Espressioni della forma «''a'' = ''b''» sono quindi solo espedienti della presentazione; esse non dicono nulla sul significato dei segni «''a''», «''b''».
4.243Possiamo comprendere due nomi senza sapere se essi simbolizzano la stessa cosa o due cose diverse? – Possiamo comprendere una proposizione in cui compaiono due nomi senza sapere se il loro significato è uguale o diverso?
Se per esempio conosco il significato di una parola inglese e di una tedesca che ha lo stesso significato, è impossibile che io non sappia che le due parole hanno lo stesso significato; è impossibile che io non riesca a tradurle l'una nell'altra.
Espressioni come «''a'' = ''a''», o derivate da queste, non sono né proposizioni elementari né segni comunque dotati di senso. (Questo si mostrerà più tardi.)
4.25Se la proposizione elementare è vera, allora lo stato di cose sussiste; se la proposizione elementare è falsa, allora lo stato di cose non sussiste.
4.26L'enunciazione di tutte le proposizioni elementari vere descrive il mondo completamente. Il mondo è completamente descritto dall'enunciazione di tutte le proposizioni elementari più l'enunciazione di quali tra esse sono vere e quali false.