Conferenza sull’etica: Difference between revisions

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Ora, la prima cosa che colpisce in tutte queste espressioni è che ciascuna di esse è in realtà usata in due sensi molto diversi. Li chiamerò il senso triviale, o relativo, da una parte e il senso etico, o assoluto, dall’altra. Se per esempio dico che questa è una ''buona'' sedia, ciò significa che essa serve un certo scopo predeterminato, e la parola “buono” qui ha significato solo nella misura in cui questo scopo è stato fissato in precedenza. In effetti la parola “buono”, nel senso relativo, vuol dire solamente “tale da raggiungere un certo standard predeterminato”. Perciò quando diciamo che quest’uomo è un buon pianista intendiamo che egli è in grado di suonare pezzi di un certo grado di difficoltà con un certo grado di destrezza. E similmente se dico che è ''importante'' per me non prendere un raffreddore intendo che prendere un raffreddore produce nella mia vita certi disagi suscettibili di descrizione; e se dico che questa è la strada ''giusta'' intendo che è la strada giusta rispetto a una certa meta. Usate in questo modo, queste espressioni non presentano alcuna difficoltà o problema profondo. Ma questo non è il modo in cui le usa l’etica. Supponendo che io fossi in grado di giocare a tennis e che uno di voi mi vedesse giocare e dicesse “Be’, giochi piuttosto male”, e supponendo che io rispondessi “Lo so, gioco male, ma non voglio giocare meglio di così”, tutto ciò che l’altro potrebbe dire sarebbe “Ah, allora va bene”. Ma supponiamo che io avessi detto a uno di voi un’abominevole menzogna e che costui venisse da me e dicesse “Ti comporti come una bestia” e che io di rimando dicessi “So che mi comporto male, ma insomma non voglio comportarmi meglio di così”, potrebbe egli allora dire “Ah, allora va bene”? Certamente no; egli direbbe “Be’, ''dovresti'' volerti comportare meglio”. Eccovi un giudizio assoluto di valore, laddove il primo esempio era un caso di giudizio relativo. L’essenza di questa differenza sembra essere ovviamente questa: ogni giudizio di valore relativo è una mera considerazione di fatto e può perciò essere messa in una forma tale da perdere ogni apparenza di un giudizio di valore: invece di dire “Questa à la direzione giusta per Granchester”, potrei ugualmente dire “Questa è la direzione giusta da prendere se si vuole arrivare a Granchester nel più breve tempo possibile”; “Quest’uomo è un buon corridore” vuol dire semplicemente che egli percorre un certo numero di miglia in un certo numero di minuti, ecc. Ora ciò che io vorrei sostenere è che, benché si possa mostrare che tutti i giudizi di valore relativo sono mere considerazioni di fatto, nessuna considerazione di fatto può mai essere, o implicare, un giudizio di valore assoluto.
Ora, la prima cosa che colpisce in tutte queste espressioni è che ciascuna di esse è in realtà usata in due sensi molto diversi. Li chiamerò il senso triviale, o relativo, da una parte e il senso etico, o assoluto, dall’altra. Se per esempio dico che questa è una ''buona'' sedia, ciò significa che essa serve un certo scopo predeterminato, e la parola “buono” qui ha significato solo nella misura in cui questo scopo è stato fissato in precedenza. In effetti la parola “buono”, nel senso relativo, vuol dire solamente “tale da raggiungere un certo standard predeterminato”. Perciò quando diciamo che quest’uomo è un buon pianista intendiamo che egli è in grado di suonare pezzi di un certo grado di difficoltà con un certo grado di destrezza. E similmente se dico che è ''importante'' per me non prendere un raffreddore intendo che prendere un raffreddore produce nella mia vita certi disagi suscettibili di descrizione; e se dico che questa è la strada ''giusta'' intendo che è la strada giusta rispetto a una certa meta. Usate in questo modo, queste espressioni non presentano alcuna difficoltà o problema profondo. Ma questo non è il modo in cui le usa l’etica. Supponendo che io fossi in grado di giocare a tennis e che uno di voi mi vedesse giocare e dicesse “Be’, giochi piuttosto male”, e supponendo che io rispondessi “Lo so, gioco male, ma non voglio giocare meglio di così”, tutto ciò che l’altro potrebbe dire sarebbe “Ah, allora va bene”. Ma supponiamo che io avessi detto a uno di voi un’abominevole menzogna e che costui venisse da me e dicesse “Ti comporti come una bestia” e che io di rimando dicessi “So che mi comporto male, ma insomma non voglio comportarmi meglio di così”, potrebbe egli allora dire “Ah, allora va bene”? Certamente no; egli direbbe “Be’, ''dovresti'' volerti comportare meglio”. Eccovi un giudizio assoluto di valore, laddove il primo esempio era un caso di giudizio relativo. L’essenza di questa differenza sembra essere ovviamente questa: ogni giudizio di valore relativo è una mera considerazione di fatto e può perciò essere messa in una forma tale da perdere ogni apparenza di un giudizio di valore: invece di dire “Questa à la direzione giusta per Granchester”, potrei ugualmente dire “Questa è la direzione giusta da prendere se si vuole arrivare a Granchester nel più breve tempo possibile”; “Quest’uomo è un buon corridore” vuol dire semplicemente che egli percorre un certo numero di miglia in un certo numero di minuti, ecc. Ora ciò che io vorrei sostenere è che, benché si possa mostrare che tutti i giudizi di valore relativo sono mere considerazioni di fatto, nessuna considerazione di fatto può mai essere, o implicare, un giudizio di valore assoluto.


Permettetemi di spiegare: supponiamo che uno di voi fosse onnisciente, e di conseguenza conoscesse tutti i movimenti di tutti i corpi nel mondo, morti o vivi, e che conoscesse anche tutti gli stati mentali di tutti gli esseri umani che abbiano mai vissuto, e supponiamo che quest’uomo scrivesse tutto ciò che sa in un grande libro; allora questo libro conterrebbe l’intera descrizione del mondo; e quello che voglio dire è che questo libro non conterrebbe niente che chiameremmo un giudizio etico, e nemmeno niente che implicherebbe logicamente un tale giudizio. Esso naturalmente conterrebbe tutti i giudizi relativi di valore e tutte le proposizioni scientifiche vere e, in effetti, tutte le proposizioni vere che possono essere costruite. Ma tutti i fatti descritti sarebbero, per così dire, sullo stesso piano, e allo stesso modo tutte le proposizioni sarebbero sullo stesso piano.
Permettetemi di spiegare: supponiamo che uno di voi fosse onnisciente, e di conseguenza conoscesse tutti i movimenti di tutti i corpi del mondo, inerti o viventi, e che conoscesse anche tutti gli stati mentali di tutti gli esseri umani che abbiano mai vissuto, e supponiamo che quest’uomo scrivesse tutto ciò che sa in un grande libro; allora questo libro conterrebbe l’intera descrizione del mondo; e quello che voglio dire è che questo libro non conterrebbe niente che chiameremmo un giudizio etico, e nemmeno niente che implicherebbe logicamente un tale giudizio. Esso naturalmente conterrebbe tutti i giudizi relativi di valore e tutte le proposizioni scientifiche vere e, in effetti, tutte le proposizioni vere che possono essere costruite. Ma tutti i fatti descritti sarebbero, per così dire, sullo stesso piano, e allo stesso modo tutte le proposizioni sarebbero sullo stesso piano.


Non vi sono proposizioni che siano sublimi, importanti o triviali in alcun senso assoluto. Forse alcuni di voi saranno d’accordo con me su questo punto e torneranno loro in mente le parole di Amleto: “Niente è buono né cattivo, se non nel pensiero”. Ma anche questo potrebbe condurre a un fraintendimento. Ciò che dice Amleto sembra implicare che il buono e il cattivo, pur non essendo qualità del mondo fuori di noi, sono attributi dei nostri stati mentali. Ma quello che intendo io è che uno stato mentale, nella misura in cui con ciò intendiamo un fatto che possiamo descrivere, non è buono o cattivo in alcun senso etico. Se per esempio nel nostro libro del mondo leggiamo la descrizione di un assassinio, con tutti i suoi dettagli fisici e psicologici, la mera descrizione di questi fatti non conterrà niente che potremmo chiamare una proposizione ''etica''. L’assassinio sarà esattamente sullo stesso piano di ogni altro evento, per esempio la caduta di un sasso. Certamente la lettura di questa descrizione potrà darci dolore, o rabbia, o qualsiasi altra emozione, e potremo leggere del dolore o della rabbia causati da questo assassinio in altre persone che ne hanno sentito parlare, ma in ciò si troveranno semplicemente fatti, fatti e fatti, ma niente che abbia a che fare con l’etica.
Non vi sono proposizioni che siano sublimi, importanti o triviali in alcun senso assoluto. Forse alcuni di voi saranno d’accordo con me su questo punto e torneranno loro in mente le parole di Amleto: “Niente è buono né cattivo, se non nel pensiero”. Ma anche questo potrebbe condurre a un fraintendimento. Ciò che dice Amleto sembra implicare che il buono e il cattivo, pur non essendo qualità del mondo fuori di noi, siano attributi dei nostri stati mentali. Ma quello che intendo io è che uno stato mentale, nella misura in cui con ciò intendiamo un fatto che possiamo descrivere, non è buono o cattivo in alcun senso etico. Se per esempio nel nostro libro del mondo leggiamo la descrizione di un assassinio, con tutti i suoi dettagli fisici e psicologici, la mera descrizione di questi fatti non conterrà niente che potremmo chiamare una proposizione ''etica''. L’assassinio sarà esattamente sullo stesso piano di ogni altro evento, per esempio la caduta di un sasso. Certamente la lettura di questa descrizione potrà darci dolore, o rabbia, o qualsiasi altra emozione, e potremo leggere del dolore o della rabbia causati da questo assassinio in altre persone che ne hanno sentito parlare, ma in ciò si troveranno semplicemente fatti, fatti e fatti, ma niente che abbia a che fare con l’etica.


E devo dire che, se rifletto su ciò che l’etica realmente dovrebbe essere se una tale scienza esistesse, questo risultato mi sembra del tutto ovvio. Mi sembra ovvio che niente di ciò che potremmo mai pensare o dire sarebbe ''il punto''. Che non possiamo scrivere un libro scientifico il cui oggetto sia intrinsecamente sublime e superiore a ogni altro oggetto. Posso descrivere i miei sentimenti solo con questa metafora: se un uomo potesse scrivere un libro sull’etica che fosse davvero un libro sull’etica, questo libro distruggerebbe, con un’esplosione, tutti gli altri libri del mondo.
E devo dire che, se rifletto su ciò che l’etica realmente dovrebbe essere se una tale scienza esistesse, questo risultato mi sembra del tutto ovvio. Mi sembra ovvio che niente di ciò che potremmo mai pensare o dire sarebbe ''il punto''. Che non possiamo scrivere un libro scientifico il cui oggetto sia intrinsecamente sublime e superiore a ogni altro oggetto. Posso descrivere i miei sentimenti solo con questa metafora: se un uomo potesse scrivere un libro sull’etica che fosse davvero un libro sull’etica, questo libro distruggerebbe, con un’esplosione, tutti gli altri libri del mondo.