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Per essenza ogni proposizione è vero-falsa. Dunque una proposizione ha due poli (corrispondenti l’uno al caso in cui sia vera e l’altro al caso in cui sia falsa). Questo è ciò che noi chiamiamo il ''senso'' di una proposizione. Il ''significato'' di una proposizione è il fatto che le corrisponde. La caratteristica principale della mia teoria è che p ''ha lo stesso significato di non-''p (costituente = particolare, componente = particolare o relazione, etc.). [''Cfr.'' 4.0621] | Per essenza ogni proposizione è vero-falsa. Dunque una proposizione ha due poli (corrispondenti l’uno al caso in cui sia vera e l’altro al caso in cui sia falsa). Questo è ciò che noi chiamiamo il ''senso'' di una proposizione. Il ''significato'' di una proposizione è il fatto che le corrisponde. La caratteristica principale della mia teoria è che p ''ha lo stesso significato di non-''p (costituente = particolare, componente = particolare o relazione, etc.). [''Cfr.'' 4.0621] | ||
Né senso né significato di una proposizione sono cose. Qui le parole sono simboli incompleti. È evidente che comprendiamo proposizioni senza sapere se sono vere o false. Ma soltanto sapendo se la proposizione è vera o falsa possiamo conoscerne il significato. Ciò che comprendiamo è il senso della proposizione. Per comprendere una proposizione ''p'' non basta sapere che ''p'' implica “''p'' è vero”, dobbiamo anche sapere che ~''p'' implica “''p'' è falso”. Così emerge la bipolarità della proposizione. Comprendiamo una proposizione quando ne comprendiamo i costituenti e le forme. [''Cfr.'' 4.204] Se conosciamo il significato di “''a''” e di “''b''” e se sappiamo cosa significa “''x'' R ''y''” per tutti i valori possibili di ''x'' e ''y'', allora comprendiamo anche “''a'' R ''b''”. Comprendo la proposizione ''a'' R ''b'' quando so che le corrisponde il fatto che ''a'' R ''b'' oppure il fatto che non ''a'' R ''b''; ciò però non va confuso con l’opinione falsa per cui comprendo “''a'' R ''b''” se so che si verifica “''a'' R ''b'' o non ''a'' R ''b''”. | Né senso né significato di una proposizione sono cose. Qui le parole sono simboli incompleti. È evidente che comprendiamo proposizioni senza sapere se sono vere o false. Ma soltanto sapendo se la proposizione è vera o falsa possiamo conoscerne il significato. Ciò che comprendiamo è il senso della proposizione. Per comprendere una proposizione ''p'' non basta sapere che ''p'' implica “''p'' è vero”, dobbiamo anche sapere che ~''p'' implica “''p'' è falso”. Così emerge la bipolarità della proposizione. Comprendiamo una proposizione quando ne comprendiamo i costituenti e le forme. [''Cfr.'' 4.204] Se conosciamo il significato di “''a''” e di “''b''” e se sappiamo cosa significa “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>” per tutti i valori possibili di ''x'' e ''y'', allora comprendiamo anche “<span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>”. Comprendo la proposizione <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span> quando so che le corrisponde il fatto che <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span> oppure il fatto che non <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>; ciò però non va confuso con l’opinione falsa per cui comprendo “<span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>” se so che si verifica “<span class="nowrap">''a'' R ''b''</span> o non <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>”. | ||
Parlando propriamente, è sbagliato dire che comprendiamo la proposizione p quando sappiamo che “''p'' è vera” ≡ ''p''; in realtà le cose starebbero naturalmente così se per caso le due proposizioni ai lati del simbolo ≡ fossero entrambe vere o entrambe false. Noi non richiediamo solo equivalenza ma equivalenza formale, legata all’introduzione della forma di ''p''. Ciò che serve è l’equivalenza formale delle forme della preposizione, cioè di tutti gli indefinibili generali presenti. | Parlando propriamente, è sbagliato dire che comprendiamo la proposizione p quando sappiamo che “''p'' è vera” ≡ ''p''; in realtà le cose starebbero naturalmente così se per caso le due proposizioni ai lati del simbolo ≡ fossero entrambe vere o entrambe false. Noi non richiediamo solo equivalenza ma equivalenza formale, legata all’introduzione della forma di ''p''. Ciò che serve è l’equivalenza formale delle forme della preposizione, cioè di tutti gli indefinibili generali presenti. | ||
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Gli indefinibili sono di due tipi: nomi e forme. Le proposizioni non possono consistere solo di nomi, non possono essere classi di nomi. [''Cfr.'' 5.123] Non solo un nome può figurare in due proposizioni diverse, ma in entrambe può figurare allo stesso modo. Le proposizioni, che sono simboli riferiti a fatti, sono pure dei fatti (che questo calamaio è su questo tavolo può esprimere che io sto seduto su questa sedia). Dobbiamo essere in grado di comprendere proposizioni che non abbiamo mai sentito prima. Ogni proposizione però è un simbolo nuovo. Ci servono quindi simboli indefinibili ''generali''; essi sono inevitabili, se le proposizioni non sono tutte indefinibili. Solo una teoria degli indefinibili generali permette la comprensione della natura delle funzioni. Trascurare tale teoria ci porterebbe in un vicolo cieco. | Gli indefinibili sono di due tipi: nomi e forme. Le proposizioni non possono consistere solo di nomi, non possono essere classi di nomi. [''Cfr.'' 5.123] Non solo un nome può figurare in due proposizioni diverse, ma in entrambe può figurare allo stesso modo. Le proposizioni, che sono simboli riferiti a fatti, sono pure dei fatti (che questo calamaio è su questo tavolo può esprimere che io sto seduto su questa sedia). Dobbiamo essere in grado di comprendere proposizioni che non abbiamo mai sentito prima. Ogni proposizione però è un simbolo nuovo. Ci servono quindi simboli indefinibili ''generali''; essi sono inevitabili, se le proposizioni non sono tutte indefinibili. Solo una teoria degli indefinibili generali permette la comprensione della natura delle funzioni. Trascurare tale teoria ci porterebbe in un vicolo cieco. | ||
Una proposizione deve essere compresa quando ''tutti'' i suoi indefinibili sono stati compresi. Gli indefinibili in “''a'' R ''b''” si introducono nel modo seguente: 1) “''a''” è indefinibile, 2) “''b''” è indefinibile 3) qualunque cosa significhino “''x''” e “''y''”, ''x'' R ''y'' esprime qualcosa di indefinibile sul loro significare. | Una proposizione deve essere compresa quando ''tutti'' i suoi indefinibili sono stati compresi. Gli indefinibili in “<span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>” si introducono nel modo seguente: 1) “''a''” è indefinibile, 2) “''b''” è indefinibile 3) qualunque cosa significhino “''x''” e “''y''”, <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span> esprime qualcosa di indefinibile sul loro significare. | ||
In logica non ci si occupa del rapporto tra un nome specifico e il suo significato né del rapporto tra una determinata proposizione e la realtà. Vogliamo però sapere che i nostri nomi hanno significato e le nostre proposizioni senso, perciò introduciamo un concetto indefinibile “A”, dicendo “‘A’ indica qualcosa di indefinibile”, oppure la forma delle proposizioni ''a'' R ''b'', dicendo “Per tutti i significati di ‘''x''’ e ‘''y''’, ‘''x'' R ''y''’ esprime qualcosa di indefinibile su ''x'' e ''y''”. | In logica non ci si occupa del rapporto tra un nome specifico e il suo significato né del rapporto tra una determinata proposizione e la realtà. Vogliamo però sapere che i nostri nomi hanno significato e le nostre proposizioni senso, perciò introduciamo un concetto indefinibile “A”, dicendo “‘A’ indica qualcosa di indefinibile”, oppure la forma delle proposizioni <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>, dicendo “Per tutti i significati di ‘''x''’ e ‘''y''’, ‘<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>’ esprime qualcosa di indefinibile su ''x'' e ''y''”. | ||
Si può simbolizzare la forma della proposizione così: consideriamo i simboli della forma “''x'' R ''y''”, a cui corrispondono primariamente coppie di oggetti dei quali uno ha nome “''x''” e l’altro “''y''”. Gli x e gli y intrattengono molteplici relazioni reciproche e, fra suddette relazioni, la relazione R si instaura tra alcuni di essi ma non tra altri. Determino ora il senso di “''x'' R ''y''” formulando la regola: quando i fatti si comportano rispetto a “''x'' R ''y''” in modo tale che il significato di “''x''” intrattiene la relazione R con il significato di “''y''”, allora dico che tali fatti sono “dello stesso senso” (''gleichsinnig'') della proposizione “''x'' R ''y''”; altrimenti, “di senso contrario” (''entgegengesetzt''). Correlo i fatti al simbolo “''x'' R ''y''” dividendoli tra quelli di senso uguale e quelli di senso contrario. A tale correlazione corrisponde una correlazione tra nome e significato. Sono entrambe psicologiche. Comprendo dunque la forma “''x'' R ''y''” quando so cosa discrimina il comportamento di ''x'' e di ''y'' in base al loro intrattenere o meno la relazione R. Così estraggo tra tutte le relazioni possibili la relazione R, come servendomi di un nome estraggo il suo significato tra tutte le cose possibili. | Si può simbolizzare la forma della proposizione così: consideriamo i simboli della forma “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>”, a cui corrispondono primariamente coppie di oggetti dei quali uno ha nome “''x''” e l’altro “''y''”. Gli x e gli y intrattengono molteplici relazioni reciproche e, fra suddette relazioni, la relazione R si instaura tra alcuni di essi ma non tra altri. Determino ora il senso di “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>” formulando la regola: quando i fatti si comportano rispetto a “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>” in modo tale che il significato di “''x''” intrattiene la relazione R con il significato di “''y''”, allora dico che tali fatti sono “dello stesso senso” (''gleichsinnig'') della proposizione “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>”; altrimenti, “di senso contrario” (''entgegengesetzt''). Correlo i fatti al simbolo “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>” dividendoli tra quelli di senso uguale e quelli di senso contrario. A tale correlazione corrisponde una correlazione tra nome e significato. Sono entrambe psicologiche. Comprendo dunque la forma “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>” quando so cosa discrimina il comportamento di ''x'' e di ''y'' in base al loro intrattenere o meno la relazione R. Così estraggo tra tutte le relazioni possibili la relazione R, come servendomi di un nome estraggo il suo significato tra tutte le cose possibili. | ||
Non c’è ''cosa'' che sia ''forma'' di una proposizione e non c’è nome che sia nome di una forma. Quindi non si può nemmeno dire che una relazione intrattenuta in certi casi tra cose si instauri talvolta tra forme e cose. Ciò va contro la teoria del giudizio di Russell. | Non c’è ''cosa'' che sia ''forma'' di una proposizione e non c’è nome che sia nome di una forma. Quindi non si può nemmeno dire che una relazione intrattenuta in certi casi tra cose si instauri talvolta tra forme e cose. Ciò va contro la teoria del giudizio di Russell. | ||
I simboli non sono ciò che sembrano. In “''a'' R ''b''” “R” pare un sostantivo ma non lo è. Ciò che simbolizza in “''a'' R ''b''” è che “R” compare tra “''a''” e “''b''”. Analogamente in “ϕ''x''” “ϕ” sembra un sostantivo ma non lo è; in “~p” “~” sembra simile a “ϕ” ma non lo è. È questo il primo indizio che ''potrebbero'' non esserci costanti logiche. Un argomento a loro sfavore è la generalità della logica: la logica non può occuparsi di un insieme speciale di cose. | I simboli non sono ciò che sembrano. In “<span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>” “R” pare un sostantivo ma non lo è. Ciò che simbolizza in “<span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>” è che “R” compare tra “''a''” e “''b''”. Analogamente in “ϕ''x''” “ϕ” sembra un sostantivo ma non lo è; in “~p” “~” sembra simile a “ϕ” ma non lo è. È questo il primo indizio che ''potrebbero'' non esserci costanti logiche. Un argomento a loro sfavore è la generalità della logica: la logica non può occuparsi di un insieme speciale di cose. | ||
All’utile proprietà di essere composti, i “complessi” di Russell dovevano combinare quella altrettanto simpatica di poter essere trattati come “semplici”. Basta questo però a renderli inservibili come tipi logici (forme), poiché in tal caso avrebbe senso asserire la complessità di un semplice. Ma una ''proprietà'' non può essere un tipo logico. | All’utile proprietà di essere composti, i “complessi” di Russell dovevano combinare quella altrettanto simpatica di poter essere trattati come “semplici”. Basta questo però a renderli inservibili come tipi logici (forme), poiché in tal caso avrebbe senso asserire la complessità di un semplice. Ma una ''proprietà'' non può essere un tipo logico. | ||
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Se ''p'' = non-non-''p'', etc., si dimostra la fallacia del metodo tradizionale del simbolismo, poiché implica una molteplicità di simboli con lo stesso senso; quindi nell’analisi di tali proposizioni il simbolismo di Russell non va seguito. | Se ''p'' = non-non-''p'', etc., si dimostra la fallacia del metodo tradizionale del simbolismo, poiché implica una molteplicità di simboli con lo stesso senso; quindi nell’analisi di tali proposizioni il simbolismo di Russell non va seguito. | ||
Nominare è come indicare. Una funzione è come una retta che divide i punti di un piano tra destra e sinistra; “''p'' o non-''p''” non ha quindi significato poiché non divide il piano. Anche se una proposizione particolare “''p'' o non-''p''” è priva di significato, d’altro canto una proposizione generale “Per tutti i ''p'', ''p'' o non-''p''” un significato ce l’ha, perché quest’ultima non contiene la funzione priva di senso “''p'' o non-''p''” bensì la funzione “''p'' o non-''q''”, come “per tutte le ''x'', ''x'' R ''x''” contiene la funzione “''x'' R ''y''”. | Nominare è come indicare. Una funzione è come una retta che divide i punti di un piano tra destra e sinistra; “''p'' o non-''p''” non ha quindi significato poiché non divide il piano. Anche se una proposizione particolare “''p'' o non-''p''” è priva di significato, d’altro canto una proposizione generale “Per tutti i ''p'', ''p'' o non-''p''” un significato ce l’ha, perché quest’ultima non contiene la funzione priva di senso “''p'' o non-''p''” bensì la funzione “''p'' o non-''q''”, come “per tutte le ''x'', <span class="nowrap">''x'' R ''x''</span>” contiene la funzione “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>”. | ||
Le inferenze logiche possono procedere, è vero, secondo le leggi della deduzione di Frege e Russell, ma ciò non giustifica l’inferenza; quindi tali leggi non sono proposizioni primitive della logica. Se ''p'' segue da ''q'', può anche essere inferita da ''q'', e la “modalità di deduzione” è indifferente. [''Cfr''. 5.132] | Le inferenze logiche possono procedere, è vero, secondo le leggi della deduzione di Frege e Russell, ma ciò non giustifica l’inferenza; quindi tali leggi non sono proposizioni primitive della logica. Se ''p'' segue da ''q'', può anche essere inferita da ''q'', e la “modalità di deduzione” è indifferente. [''Cfr''. 5.132] | ||
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Tra i fatti che rendono “''p'' o ''q''” vera, ce ne sono alcuni che rendono “''p'' e ''q''” vera; ma la classe che rende vera “''p'' o ''q''” è diversa dalla classe che rende vera “''p'' e ''q''”; soltanto questo ci importa. Poiché è nell’introdurre le funzioni ''ab'' che, per così dire, introduciamo tale classe. | Tra i fatti che rendono “''p'' o ''q''” vera, ce ne sono alcuni che rendono “''p'' e ''q''” vera; ma la classe che rende vera “''p'' o ''q''” è diversa dalla classe che rende vera “''p'' e ''q''”; soltanto questo ci importa. Poiché è nell’introdurre le funzioni ''ab'' che, per così dire, introduciamo tale classe. | ||
Essendo le funzioni ''ab'' di ''p'' ancora una volta proposizioni bipolari, possiamo servircene per formare funzioni ''ab'', e avanti così. Sorgerà così una serie di proposizioni in cui, in generale, i fatti ''simbolizzanti'' saranno gli stessi in vari membri. Se a questo punto troviamo una funzione ''ab'' di tale genere da permetterci con le sue ripetute applicazioni di ottenere ogni funzione ''ab'', allora possiamo introdurre la totalità delle funzioni ''ab'' come la totalità di quelle generate con l’applicazione di suddetta funzione. Tale funzione è ~''p'' ∨ ~''q''. È facile ipotizzare una contraddizione nel fatto che, da un lato, ogni proposizione complessa possibile è una semplice funzione ''ab'' di proposizioni semplici e che, d’altro canto, per generare tutte queste proposizioni basta l’applicazione ripetuta di una funzione ''ab''. Se per esempio un’affermazione può essere generata da una doppia negazione, la negazione è, in qualche senso, contenuta nell’affermazione? “''p''” nega “non-''p''” o afferma “''p''”, o entrambe? [''Vedi'' 5.44] Come stanno le cose nella definizione di “⊃”, “∨” e “~”, oppure di “∨” tramite “~” e “⊃”? Per esempio come introdurremo ''p'' | ''q'' (cioè ~''p'' ∨ ~''q'') se non dicendo che tale espressione afferma qualcosa di indefinibile su tutti gli argomenti ''p'' e ''q''? Le funzioni ''ab'' però devono venire introdotte nel modo seguente: la funzione ''p'' | ''q'' è solo un dispositivo meccanico per costruire tutti i possibili ''simboli'' di funzioni ''ab''. I simboli generati dall’applicazione ripetuta del simbolo “|” ''non'' contengono il simbolo “''p'' | ''q''”. Ci serve una regola in base alla quale poter formare tutti i simboli di funzioni ''ab'', così da essere in grado di parlarne come classe; e ne parliamo per esempio come di quei simboli di funzioni che possono venire generati tramite l’applicazione ripetuta dell’operazione “|”. Affermiamo così: per tutte le ''p'' e le ''q'', “''p'' | ''q''” dice qualcosa di indefinibile sul senso delle proposizioni semplici contenute in ''p'' e ''q''. | Essendo le funzioni ''ab'' di ''p'' ancora una volta proposizioni bipolari, possiamo servircene per formare funzioni ''ab'', e avanti così. Sorgerà così una serie di proposizioni in cui, in generale, i fatti ''simbolizzanti'' saranno gli stessi in vari membri. Se a questo punto troviamo una funzione ''ab'' di tale genere da permetterci con le sue ripetute applicazioni di ottenere ogni funzione ''ab'', allora possiamo introdurre la totalità delle funzioni ''ab'' come la totalità di quelle generate con l’applicazione di suddetta funzione. Tale funzione è ~''p'' ∨ ~''q''. È facile ipotizzare una contraddizione nel fatto che, da un lato, ogni proposizione complessa possibile è una semplice funzione ''ab'' di proposizioni semplici e che, d’altro canto, per generare tutte queste proposizioni basta l’applicazione ripetuta di una funzione ''ab''. Se per esempio un’affermazione può essere generata da una doppia negazione, la negazione è, in qualche senso, contenuta nell’affermazione? “''p''” nega “non-''p''” o afferma “''p''”, o entrambe? [''Vedi'' 5.44] Come stanno le cose nella definizione di “⊃”, “∨” e “~”, oppure di “∨” tramite “~” e “⊃”? Per esempio come introdurremo <span class="nowrap">''p'' | ''q''</span> (cioè ~''p'' ∨ ~''q'') se non dicendo che tale espressione afferma qualcosa di indefinibile su tutti gli argomenti ''p'' e ''q''? Le funzioni ''ab'' però devono venire introdotte nel modo seguente: la funzione <span class="nowrap">''p'' | ''q''</span> è solo un dispositivo meccanico per costruire tutti i possibili ''simboli'' di funzioni ''ab''. I simboli generati dall’applicazione ripetuta del simbolo “|” ''non'' contengono il simbolo “<span class="nowrap">''p'' | ''q''</span>”. Ci serve una regola in base alla quale poter formare tutti i simboli di funzioni ''ab'', così da essere in grado di parlarne come classe; e ne parliamo per esempio come di quei simboli di funzioni che possono venire generati tramite l’applicazione ripetuta dell’operazione “|”. Affermiamo così: per tutte le ''p'' e le ''q'', “<span class="nowrap">''p'' | ''q''</span>” dice qualcosa di indefinibile sul senso delle proposizioni semplici contenute in ''p'' e ''q''. | ||
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Le vecchie definizioni diventano tautologiche. | Le vecchie definizioni diventano tautologiche. | ||
Un’obiezione molto naturale al modo in cui abbiamo introdotto per esempio le proposizioni della forma ''x'' R ''y'' è che proposizioni quali (∃ ''x'', ''y'') ''x'' R ''y'' e simili non risultano spiegate, nonostante abbiano ovviamente in comune con ''a'' R ''b'' quanto ''c'' R ''d'' ha in comune con ''a'' R ''b''. ''D’altronde'' nell’introdurre proposizioni della forma ''x'' R ''y'' non si è menzionata nessuna proposizione specifica di tale forma; e bisogna solo introdurre (''x'', ''y'') ϕ(''x'', ''y'') per tutte le ϕ in un qualsiasi modo tale da rendere il senso di tali proposizioni dipendente dal senso di tutte le proposizioni della forma ϕ(''a'', ''b''), ed ecco giustificato il nostro modo di procedere. | Un’obiezione molto naturale al modo in cui abbiamo introdotto per esempio le proposizioni della forma <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span> è che proposizioni quali (∃ ''x'', ''y'') <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span> e simili non risultano spiegate, nonostante abbiano ovviamente in comune con <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span> quanto ''c'' R ''d'' ha in comune con <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>. ''D’altronde'' nell’introdurre proposizioni della forma <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span> non si è menzionata nessuna proposizione specifica di tale forma; e bisogna solo introdurre (''x'', ''y'') ϕ(''x'', ''y'') per tutte le ϕ in un qualsiasi modo tale da rendere il senso di tali proposizioni dipendente dal senso di tutte le proposizioni della forma ϕ(''a'', ''b''), ed ecco giustificato il nostro modo di procedere. | ||
<p style="text-align: center;" id="nol-5">'''V. Principi di simbolismo: che cosa, in un simbolo, simbolizza. Fatti tramite fatti'''</p> | <p style="text-align: center;" id="nol-5">'''V. Principi di simbolismo: che cosa, in un simbolo, simbolizza. Fatti tramite fatti'''</p> | ||
È facile ipotizzare che solo i simboli contenenti nomi di oggetti siano complessi e che di conseguenza “(''x'', φ) φ''x''” o “(∃ ''x'', ''y'') ''x'' R ''y''” debbano essere semplici. È allora naturale considerare il primo il nome di una forma, il secondo il nome di una relazione. Ma in tal caso qual ''è'' il significato per esempio di “~(∃ ''x'', ''y'') . ''x'' R ''y''”? Possiamo mettere “non” davanti a un nome? L’indefinibilità alternata mostra che gli indefinibili non sono ancora stati raggiunti. [''Cfr.'' 5.42] Gli indefinibili della logica devono essere reciprocamente indipendenti. Se si introduce un indefinibile, bisogna introdurlo in tutte le combinazioni in cui può comparire. Non possiamo dunque introdurlo prima per una combinazione, poi per un’altra; se per esempio è stata introdotta la forma ''x'' R ''y'', essa d’ora in poi deve essere compresa in proposizioni della forma ''a'' R ''b'' nello stesso identico modo in cui è compresa in proposizioni quali (∃ ''x'', ''y'') ''x'' R ''y'' e altre. Non dobbiamo introdurla per una classe di casi prima, poi per un’altra; altrimenti si avrebbe ragione di dubitare se il suo significato sia o meno lo stesso nei due diversi frangenti e potrebbe non esserci motivo per utilizzare la stessa modalità di combinazione dei simboli. In breve, per l’introduzione di simboli indefinibili e combinazioni di simboli vale la stessa regola, ''mutatis mutandis'', formulata da Frege per l’introduzione di simboli tramite definizioni. [''Cfr.'' 5.451] | È facile ipotizzare che solo i simboli contenenti nomi di oggetti siano complessi e che di conseguenza “(''x'', φ) φ''x''” o “(∃ ''x'', ''y'') <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>” debbano essere semplici. È allora naturale considerare il primo il nome di una forma, il secondo il nome di una relazione. Ma in tal caso qual ''è'' il significato per esempio di “~(∃ ''x'', ''y'') . <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>”? Possiamo mettere “non” davanti a un nome? L’indefinibilità alternata mostra che gli indefinibili non sono ancora stati raggiunti. [''Cfr.'' 5.42] Gli indefinibili della logica devono essere reciprocamente indipendenti. Se si introduce un indefinibile, bisogna introdurlo in tutte le combinazioni in cui può comparire. Non possiamo dunque introdurlo prima per una combinazione, poi per un’altra; se per esempio è stata introdotta la forma <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>, essa d’ora in poi deve essere compresa in proposizioni della forma <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span> nello stesso identico modo in cui è compresa in proposizioni quali (∃ ''x'', ''y'') <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span> e altre. Non dobbiamo introdurla per una classe di casi prima, poi per un’altra; altrimenti si avrebbe ragione di dubitare se il suo significato sia o meno lo stesso nei due diversi frangenti e potrebbe non esserci motivo per utilizzare la stessa modalità di combinazione dei simboli. In breve, per l’introduzione di simboli indefinibili e combinazioni di simboli vale la stessa regola, ''mutatis mutandis'', formulata da Frege per l’introduzione di simboli tramite definizioni. [''Cfr.'' 5.451] | ||
È impossibile fare a meno di proposizioni in cui lo stesso argomento ricorre in posizioni diverse. È ovviamente inutile sostituire ϕ(''a'', ''a'') con ϕ(''a'', ''b'') . ''a'' = ''b''. | È impossibile fare a meno di proposizioni in cui lo stesso argomento ricorre in posizioni diverse. È ovviamente inutile sostituire ϕ(''a'', ''a'') con ϕ(''a'', ''b'') . ''a'' = ''b''. | ||
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Per la notazione è importante osservare che non ogni tratto di un simbolo simbolizza. In due funzioni molecolari che hanno lo stesso schema V-F, ciò che simbolizza dev’essere lo stesso. In “non-non-''p''”, “non-''p''” non c’è; poiché “non-non-''p''” è lo stesso che “''p''” e quindi, se in “non-non-''p''” ci fosse “non-''p''”, ci sarebbe anche in “''p''”. | Per la notazione è importante osservare che non ogni tratto di un simbolo simbolizza. In due funzioni molecolari che hanno lo stesso schema V-F, ciò che simbolizza dev’essere lo stesso. In “non-non-''p''”, “non-''p''” non c’è; poiché “non-non-''p''” è lo stesso che “''p''” e quindi, se in “non-non-''p''” ci fosse “non-''p''”, ci sarebbe anche in “''p''”. | ||
Un simbolo complesso non deve mai essere introdotto quale indefinibile singolo. Così per esempio nessuna proposizione è indefinibile. Perché se una delle parti del simbolo complesso ricorre anche in un’altra connessione, in quest’ultima deve venire reintrodotta. Ma in tal caso avrebbe lo stesso significato? I modi in cui introduciamo gli indefinibili devono permetterci di costruire tutte le proposizioni che hanno senso a partire da tali indefinibili ''soltanto''. È facile introdurre “tutti” e “alcuni” in un modo tale da rendere la possibile costruzione (ad esempio) di “(''x'', ''y'') . ''x'' R ''y''” a partire da “tutti” e “''x'' R ''y''” ''così come sono stati introdotti precedentemente''. | Un simbolo complesso non deve mai essere introdotto quale indefinibile singolo. Così per esempio nessuna proposizione è indefinibile. Perché se una delle parti del simbolo complesso ricorre anche in un’altra connessione, in quest’ultima deve venire reintrodotta. Ma in tal caso avrebbe lo stesso significato? I modi in cui introduciamo gli indefinibili devono permetterci di costruire tutte le proposizioni che hanno senso a partire da tali indefinibili ''soltanto''. È facile introdurre “tutti” e “alcuni” in un modo tale da rendere la possibile costruzione (ad esempio) di “(''x'', ''y'') . <span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>” a partire da “tutti” e “<span class="nowrap">''x'' R ''y''</span>” ''così come sono stati introdotti precedentemente''. | ||
Non bisogna dire “Il segno complesso ‘''a'' R ''b''’” dice che ''a'' sta nella relazione R con ''b''; ma che “''a''” sta in una certa relazione con “''b''” dice ''che'' ''a'' R ''b''. [Cfr. 3.1432] | Non bisogna dire “Il segno complesso ‘<span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>’” dice che ''a'' sta nella relazione R con ''b''; ma che “''a''” sta in una certa relazione con “''b''” dice ''che'' <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span>. [Cfr. 3.1432] | ||
Solo fatti possono esprimere senso, non una classe di nomi. [''Cfr.'' 3.142] Mostrarlo è facile. In ''a'' R ''b'' non è il complesso a simbolizzare ma il fatto che il simbolo ''a'' sta in una certa relazione al simbolo ''b''. Dunque fatti sono simbolizzati da fatti, o meglio: che una tal cosa accade nel simbolo dice che una tal cosa accade nel mondo. | Solo fatti possono esprimere senso, non una classe di nomi. [''Cfr.'' 3.142] Mostrarlo è facile. In <span class="nowrap">''a'' R ''b''</span> non è il complesso a simbolizzare ma il fatto che il simbolo ''a'' sta in una certa relazione al simbolo ''b''. Dunque fatti sono simbolizzati da fatti, o meglio: che una tal cosa accade nel simbolo dice che una tal cosa accade nel mondo. | ||
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Ogni proposizione che dice qualcosa di indefinibile su una cosa è una proposizione soggetto-predicato, etc. Dunque riconosciamo una proposizione soggetto-predicato se sappiamo che contiene solo un nome e una forma, etc. Questo ci dà la costruzione dei tipi. Si può quindi riconoscere il tipo di una proposizione solo dal suo simbolo. | Ogni proposizione che dice qualcosa di indefinibile su una cosa è una proposizione soggetto-predicato, etc. Dunque riconosciamo una proposizione soggetto-predicato se sappiamo che contiene solo un nome e una forma, etc. Questo ci dà la costruzione dei tipi. Si può quindi riconoscere il tipo di una proposizione solo dal suo simbolo. | ||
L’essenziale in una corretta notazione delle variabili apparenti è questo: 1) deve menzionare un tipo di proposizione, 2) deve mostrare quali componenti (forme e costituenti) di una proposizione di tale tipo sono costanti. Prendiamo (ϕ)ϕ ! ''x''. Se descriviamo il ''genere'' di simboli per cui sta ϕ, il che come detto è sufficiente a determinare il tipo, allora automaticamente tale descrizione non può attagliarsi a “(ϕ) ϕ ! ''x''”, poiché ''contiene'' | L’essenziale in una corretta notazione delle variabili apparenti è questo: 1) deve menzionare un tipo di proposizione, 2) deve mostrare quali componenti (forme e costituenti) di una proposizione di tale tipo sono costanti. Prendiamo <span class="nowrap">(ϕ)ϕ ! ''x''</span>. Se descriviamo il ''genere'' di simboli per cui sta ϕ, il che come detto è sufficiente a determinare il tipo, allora automaticamente tale descrizione non può attagliarsi a “<span class="nowrap">(ϕ) ϕ ! ''x''</span>”, poiché ''contiene'' “<span class="nowrap">ϕ ! ''x''</span>” e la descrizione deve descrivere ''tutto'' ciò che simbolizza in simboli quali <span class="nowrap">ϕ ! ''x''</span>. Se la descrizione è compiuta ''in tal modo'', i circoli viziosi possono ricorrere solo tanto poco quanto per esempio <span class="nowrap">(ϕ) . (''x'') ϕ</span> dove <span class="nowrap">(''x'') ϕ</span> è una proposizione soggetto-predicato. | ||
Non possiamo mai distinguere un tipo logico da un altro attribuendo a membri dell’uno una proprietà che neghiamo ai membri dell’altro. I tipi non possono mai essere reciprocamente distinti dicendo (come si fa oggi) che uno ha talune proprietà ''mentre'' l’altro ne ha talaltre, poiché ciò presuppone un ''significato'' nell’affermare tutte queste proprietà di entrambi i tipi. [''Cfr.'' 4.1241] Ne consegue quanto meno che tali proprietà possono essere tipi, ma certamente non gli oggetti di cui sono asserite. | Non possiamo mai distinguere un tipo logico da un altro attribuendo a membri dell’uno una proprietà che neghiamo ai membri dell’altro. I tipi non possono mai essere reciprocamente distinti dicendo (come si fa oggi) che uno ha talune proprietà ''mentre'' l’altro ne ha talaltre, poiché ciò presuppone un ''significato'' nell’affermare tutte queste proprietà di entrambi i tipi. [''Cfr.'' 4.1241] Ne consegue quanto meno che tali proprietà possono essere tipi, ma certamente non gli oggetti di cui sono asserite. | ||
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