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Se nella nostra società (o almeno nella mia) una persona ride troppo, in maniera {{Udashed|semi-}}involontaria io stringo le labbra, come se con ciò credessi di poter serrare le sue. | Se nella nostra società (o almeno nella mia) una persona ride troppo, in maniera {{Udashed|semi-}}involontaria io stringo le labbra, come se con ciò credessi di poter serrare le sue. | ||
{{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 3}} 170<ref>«On Mount Agu in Togo there lives a fetish or spirit called Bagba, who is of great importance for the whole of the surrounding country. The power of giving or withholding rain is ascribed to him, and he is lord of the winds, including the Harmattan, the dry, hot wind which blows from the interior. His priest dwells in a house on the highest peak of the mountain, where he keeps the winds bottled up in huge jars.» J. G. Frazer, ''The Golden Bough'', ''op. cit.'', | {{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 3}} 170<ref>«On Mount Agu in Togo there lives a fetish or spirit called Bagba, who is of great importance for the whole of the surrounding country. The power of giving or withholding rain is ascribed to him, and he is lord of the winds, including the Harmattan, the dry, hot wind which blows from the interior. His priest dwells in a house on the highest peak of the mountain, where he keeps the winds bottled up in huge jars.» J. G. Frazer, ''The Golden Bough'', ''op. cit.'', pp. 169-170.</ref> | ||
Il nonsenso sta proprio qui, nel fatto che Frazer presenti le cose come se questi popoli avessero una raffigurazione completamente falsa (anzi, delirante) sul corso della natura, laddove invece essi hanno soltanto una peculiare interpretazione dei fenomeni. Cioè la loro conoscenza della natura, qualora la mettessero per iscritto, non si distinguerebbe <u>fondamentalmente</u> dalla nostra. Solo la loro <u>magia</u> è differente. | Il nonsenso sta proprio qui, nel fatto che Frazer presenti le cose come se questi popoli avessero una raffigurazione completamente falsa (anzi, delirante) sul corso della natura, laddove invece essi hanno soltanto una peculiare interpretazione dei fenomeni. Cioè la loro conoscenza della natura, qualora la mettessero per iscritto, non si distinguerebbe <u>fondamentalmente</u> dalla nostra. Solo la loro <u>magia</u> è differente. | ||
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{{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 7}} Ritroviamo tutte le teorie ingenue (infantili) nell’odierna filosofia, soltanto prive di ciò che l’ingenuità ha di accattivante. | {{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 7}} Ritroviamo tutte le teorie ingenue (infantili) nell’odierna filosofia, soltanto prive di ciò che l’ingenuità ha di accattivante. | ||
{{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 8}} 614 | {{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 8}} 614<ref>Le osservazioni seguenti si riferiscono ai casi riportati nel paragrafo 2, “The Lenten Fires”, del capitolo LXII, “The Fire-Festivals of Europe”, di J. G. Frazer, ''The Golden Bough'', ''op. cit.'', pp. 609-614.</ref> | ||
Il tratto più appariscente, al di fuori delle somiglianze, mi è parso essere la diversità di <u>tutti</u> questi riti. Si tratta di una molteplicità di volti con tratti comuni che qui e là ancora e ancora si impongono all’attenzione. E ciò che si vorrebbe fare è tracciare linee che uniscano le componenti condivise. A questo punto manca ancora una parte della riflessione, la parte cioè che mette in collegamento questa immagine con i nostri propri sentimenti e pensieri. È questa parte a conferire alla riflessione la sua profondità. | Il tratto più appariscente, al di fuori delle somiglianze, mi è parso essere la diversità di <u>tutti</u> questi riti. Si tratta di una molteplicità di volti con tratti comuni che qui e là ancora e ancora si impongono all’attenzione. E ciò che si vorrebbe fare è tracciare linee che uniscano le componenti condivise. A questo punto manca ancora una parte della riflessione, la parte cioè che mette in collegamento questa immagine con i nostri propri sentimenti e pensieri. È questa parte a conferire alla riflessione la sua profondità. | ||
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{{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 9}} In tutte queste usanze si scorge d’altronde qualcosa di <u>simile</u> all’associazione d’idee e con essa imparentato. Si potrebbe parlare di un’associazione di usanze. | {{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 9}} In tutte queste usanze si scorge d’altronde qualcosa di <u>simile</u> all’associazione d’idee e con essa imparentato. Si potrebbe parlare di un’associazione di usanze. | ||
{{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 10}} 618 | {{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 10}} 618<ref>«In the Central Highlands of Scotland bonfires, known as the Beltane fires, were formerly kindled with great ceremony on the first of May, and the traces of human sacrifices at them were particularly clear and unequivocal. The custom of lighting the bonfires lasted in various places far into the eighteenth century, and the descriptions of the ceremony by writers of that period present such a curious and interesting picture of ancient heathendom surviving in our own country that I will reproduce them in the words of their authors. The fullest of the descriptions is the one bequeathed to us by John Ramsay, laird of Ochtertyre, near Crieff, the patron of Burns and the friend of Sir Walter Scott. He says: “But the most considerable of the Druidical festivals is that of Beltane, or May-day, which was lately observed in some parts of the Highlands with extraordinary ceremonies. … Like the other public worship of the Druids, the Beltane feast seems to have been performed on hills or eminences. They thought it degrading to him whose temple is the universe, to suppose that he would dwell in any house made with hands. Their sacrifices were therefore offered in the open air, frequently upon the tops of hills, where they were presented with the grandest views of nature, and were nearest the seat of warmth and order. And, according to tradition, such was the manner of celebrating this festival in the Highlands within the last hundred years. But since the decline of superstition, it has been celebrated by the people of each hamlet on some hill or rising ground around which their cattle were pasturing. Thither the young folks repaired in the morning, and cut a trench, on the summit of which a seat of turf was formed for the company. And in the middle a pile of wood or other fuel was placed, which of old they kindled with ''tein-eigin''—''i.e.'', forced-fire or ''need-fire''. Although, for many years past, they have been contented with common fire, yet we shall now describe the process, because it will hereafter appear that recourse is still had to the ''tein-eigin'' upon extraordinary emergencies.<br/>“The night before, all the fires in the country were carefully extinguished, and next morning the materials for exciting this sacred fire were prepared. The most primitive method seems to be that which was used in the islands of Skye, Mull, and Tiree. A well-seasoned plank of oak was procured, in the midst of which a hole was bored. A wimble of the same timber was then applied, the end of which they fitted to the hole. But in some parts of the mainland the machinery was different. They used a frame of green wood, of a square form, in the centre of which was an axle-tree. In some places three times three persons, in others three times nine, were required for turning round by turns the axle-tree or wimble. If any of them had been guilty of murder, adultery, theft, or other atrocious crime, it was imagined either that the fire would not kindle, or that it would be devoid of its usual virtue. So soon as any sparks were emitted by means of the violent friction, they applied a species of agaric which grows on old birch-trees, and is very combustible. This fire had the appearance of being immediately derived from heaven, and manifold were the virtues ascribed to it. They esteemed it a preservative against witchcraft, and a sovereign remedy against malignant diseases, both in the human species and in cattle; and by it the strongest poisons were supposed to have their nature changed. [...]”» J. G. Frazer, ''The Golden Bough'', ''op. cit.'', pp. 617-618.</ref> | ||
Niente ci dice come mai il fuoco debba essere ammantato di una tale aura. E poi, che strano, cosa significa propriamente: «Sembra piovuto giù dal cielo»? Da quale cielo? No, non è affatto scontato che il fuoco venga inteso in questo modo; – eppure è così. | Niente ci dice come mai il fuoco debba essere ammantato di una tale aura. E poi, che strano, cosa significa propriamente: «Sembra piovuto giù dal cielo»? Da quale cielo? No, non è affatto scontato che il fuoco venga inteso in questo modo; – eppure è così. | ||
{{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 11}} Qui sembra che solo l’ipotesi doni profondità alla cosa. E ci si può ricordare della descrizione dei bizzarri rapporti fra Sigfrido e Brunilde nel nuovo canto dei Nibelunghi, ossia che Sigfrido sembra aver già visto una volta Brunilde in passato. Qui è chiaro che ciò che dà profondità a questa usanza è la sua <u>connessione</u> col bruciare una persona. Se in qualche festa fosse costume che gli uomini (come nel gioco di cavallo e cavaliere) si cavalchino l’un l’altro, non vi vedremmo nulla se non una forma di locomozione che rimanda al modo in cui un uomo monta un cavallo; – se però sapessimo che presso diversi popoli era ad esempio costume usare gli schiavi come cavalcature e celebrare certe feste così in sella, allora oggi {{Udashed|scopriremmo}} //{{Udashed|scorgeremmo}}// //{{Udashed|troveremmo}}// nell’usanza innocente della nostra epoca qualcosa di più profondo e meno innocente. La domanda è: questo – diciamo così – lato oscuro inerisce ({{Udashed|in sé}}) al rituale del rogo di Beltane<ref>Antica festa pagana gaelica, in cui i druidi officiavano un rogo purificatore attraverso il quale passavano per emendarsi il bestiame e anche gli uomini. Inizialmente collocata tra equinozio di primavera e solstizio d’estate, la festa viene tutt’ora celebrata a inizio maggio, soprattutto in alcune campagne fra Irlanda e Scozia (''N. d. T.'').</ref> come veniva praticato cento anni fa, o solo se l’ipotesi circa la sua origine dovesse essere convalidata<s>?</s>. Io credo che sia chiaramente la {{Udashed|natura}} {{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 12}} intrinseca della stessa usanza <s>moderna</s> //del tempo recente// ciò che a noi pare oscuro, e i fatti a noi ben noti dei sacrifici umani indicano solo la direzione in cui bisogna vedere l’usanza. Quando parlo della {{Udashed|natura}} intrinseca dell’usanza, intendo tutte le circostanze in cui essa viene messa in pratica e che non sono incluse nel resoconto di una tale festa perché non consistono tanto di atti specifici che caratterizzano la festa quanto di ciò che si potrebbe chiamare lo spirito della festa, del quale si potrebbe rendere conto descrivendo ad esempio il tipo di gente che vi partecipa, i loro altri comportamenti, ovvero il loro carattere; il tipo di giochi che giocano in altre circostanze. E con ciò si vedrebbe che l’oscurità sta nel carattere stesso di queste persone. | {{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 11}} Qui sembra che solo l’ipotesi doni profondità alla cosa. E ci si può ricordare della descrizione dei bizzarri rapporti fra Sigfrido e Brunilde nel nuovo canto dei Nibelunghi, ossia che Sigfrido sembra aver già visto una volta Brunilde in passato. Qui è chiaro che ciò che dà profondità a questa usanza è la sua <u>connessione</u> col bruciare una persona. Se in qualche festa fosse costume che gli uomini (come nel gioco di cavallo e cavaliere) si cavalchino l’un l’altro, non vi vedremmo nulla se non una forma di locomozione che rimanda al modo in cui un uomo monta un cavallo; – se però sapessimo che presso diversi popoli era ad esempio costume usare gli schiavi come cavalcature e celebrare certe feste così in sella, allora oggi {{Udashed|scopriremmo}} //{{Udashed|scorgeremmo}}// //{{Udashed|troveremmo}}// nell’usanza innocente della nostra epoca qualcosa di più profondo e meno innocente. La domanda è: questo – diciamo così – lato oscuro inerisce ({{Udashed|in sé}}) al rituale del rogo di Beltane<!--<ref>Antica festa pagana gaelica, in cui i druidi officiavano un rogo purificatore attraverso il quale passavano per emendarsi il bestiame e anche gli uomini. Inizialmente collocata tra equinozio di primavera e solstizio d’estate, la festa viene tutt’ora celebrata a inizio maggio, soprattutto in alcune campagne fra Irlanda e Scozia (''N. d. T.'').</ref>--> come veniva praticato cento anni fa, o solo se l’ipotesi circa la sua origine dovesse essere convalidata<s>?</s>. Io credo che sia chiaramente la {{Udashed|natura}} {{Frazer MS reference|Ms or Ts=Ms |number=143|page= 12}} intrinseca della stessa usanza <s>moderna</s> //del tempo recente// ciò che a noi pare oscuro, e i fatti a noi ben noti dei sacrifici umani indicano solo la direzione in cui bisogna vedere l’usanza. Quando parlo della {{Udashed|natura}} intrinseca dell’usanza, intendo tutte le circostanze in cui essa viene messa in pratica e che non sono incluse nel resoconto di una tale festa perché non consistono tanto di atti specifici che caratterizzano la festa quanto di ciò che si potrebbe chiamare lo spirito della festa, del quale si potrebbe rendere conto descrivendo ad esempio il tipo di gente che vi partecipa, i loro altri comportamenti, ovvero il loro carattere; il tipo di giochi che giocano in altre circostanze. E con ciò si vedrebbe che l’oscurità sta nel carattere stesso di queste persone. | ||
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