Note dettate a G.E. Moore in Norvegia: Difference between revisions

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Ogni ''vera'' proposizione ''mostra'' qualcosa, oltre a ciò che dice, sull’Universo: ''poiché'', se non ha senso, non può essere utilizzata; e se ha senso, rispecchia qualche proprietà logica dell’Universo.
Ogni ''vera'' proposizione ''mostra'' qualcosa, oltre a ciò che dice, sull’Universo: ''poiché'', se non ha senso, non può essere utilizzata; e se ha senso, rispecchia qualche proprietà logica dell’Universo.


Per esempio, prendi ''ϕ''a, ''ϕ''a ⊃ ''ψ''a, ''ψ''a. Semplicemente osservando queste tre proposizioni, posso vedere che la 3 segue dalla 1 e dalla 2; cioè posso vedere ciò che si chiama la verità di una proposizione logica, ossia della proposizione ''ϕ''a . ''ϕ''a ⊃ ''ψ''a : ⊃ : ''ψ''a. Ma questa ''non'' è una proposizione; vedendo però che si tratta di una tautologia posso vedere ciò che ho già visto osservando le tre proposizioni: la differenza è che ''adesso'' vedo CHE è una tautologia.<!-- [''Cfr.'' 6.1221.]-->
Per esempio, prendi ''ϕ''a, ''ϕ''a ⊃ ''ψ''a, ''ψ''a. Semplicemente osservando queste tre proposizioni, posso vedere che la 3 segue dalla 1 e dalla 2; cioè posso vedere ciò che si chiama la verità di una proposizione logica, ossia della proposizione ''ϕ''a . ''ϕ''a ⊃ ''ψ''a : ⊃ : ''ψ''a. Ma questa ''non'' è una proposizione; vedendo però che si tratta di una tautologia posso vedere ciò che ho già visto osservando le tre proposizioni: la differenza è che ''adesso'' vedo {{small caps|CHE}} è una tautologia.<!-- [''Cfr.'' 6.1221.]-->


Vogliamo dire, per comprendere [quanto] sopra, quali proprietà deve avere un simbolo per essere una tautologia.
Vogliamo dire, per comprendere [quanto] sopra, quali proprietà deve avere un simbolo per essere una tautologia.
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Questa stessa distinzione tra ciò che può essere ''mostrato'' dal linguaggio ma non ''detto'' spiega la difficoltà che si avverte a proposito dei tipi – per esempio, per quanto concerne [la] differenza tra cose, fatti, proprietà, relazioni. Che M è una ''cosa'' non può essere ''detto''; è privo di senso: ma ''qualcosa'' è ''mostrato'' dal simbolo «M». Allo stesso modo, il fatto che una ''proposizione'' è una proposizione soggetto-predicato non può essere detto: è però ''mostrato'' dal simbolo.
Questa stessa distinzione tra ciò che può essere ''mostrato'' dal linguaggio ma non ''detto'' spiega la difficoltà che si avverte a proposito dei tipi – per esempio, per quanto concerne [la] differenza tra cose, fatti, proprietà, relazioni. Che M è una ''cosa'' non può essere ''detto''; è privo di senso: ma ''qualcosa'' è ''mostrato'' dal simbolo «M». Allo stesso modo, il fatto che una ''proposizione'' è una proposizione soggetto-predicato non può essere detto: è però ''mostrato'' dal simbolo.


Dunque una TEORIA dei ''tipi'' è impossibile. Essa cerca di dire qualcosa sui tipi, mentre si può parlare soltanto dei simboli. Ma ''ciò'' che dici sui simboli non è che questo simbolo ha quel tipo, il che sarebbe privo di senso per [la] stessa ragione: dici invece semplicemente: ''questo'' è il simbolo, per prevenire un fraintendimento. Per esempio, in «a R , «R» ''non'' è un simbolo, ma ''il fatto che'' «R» sta tra un nome e un altro simbolizza. Qui ''non'' abbiamo detto: questo simbolo non è di questo tipo ma di quello, bensì soltanto: ''questo'' simbolizza e non quello. Anche tale locuzione sembra ripetere lo stesso errore, perché «simbolizza» è «tipicamente ambiguo». La vera analisi è: «R» propriamente non è un nome e il fatto che «R» sta tra «a» e «b» esprime una ''relazione''. Qui ci sono due proposizioni ''di tipo diverso'' connesse da «e».
Dunque una {{small caps|teoria}} dei ''tipi'' è impossibile. Essa cerca di dire qualcosa sui tipi, mentre si può parlare soltanto dei simboli. Ma ''ciò'' che dici sui simboli non è che questo simbolo ha quel tipo, il che sarebbe privo di senso per [la] stessa ragione: dici invece semplicemente: ''questo'' è il simbolo, per prevenire un fraintendimento. Per esempio, in «{{nowrap|''a'' R ''b''}}», «R» ''non'' è un simbolo, ma ''il fatto che'' «R» sta tra un nome e un altro simbolizza. Qui ''non'' abbiamo detto: questo simbolo non è di questo tipo ma di quello, bensì soltanto: ''questo'' simbolizza e non quello. Anche tale locuzione sembra ripetere lo stesso errore, perché «simbolizza» è «tipicamente ambiguo». La vera analisi è: «R» propriamente non è un nome e il fatto che «R» sta tra «a» e «b» esprime una ''relazione''. Qui ci sono due proposizioni ''di tipo diverso'' connesse da «e».


È ''ovvio'' che, per esempio, con una proposizione soggetto-predicato, ''sempre che'' essa abbia un qualche senso, ne ''vedi'' la forma non appena ''comprendi'' la proposizione'','' nonostante tu non sappia se è vera o falsa,. Anche se ci ''fossero'' proposizioni della forma «M è una cosa», esse sarebbero superflue (tautologiche) perché quello che ciò tenta di dire è qualcosa che ''vedi'' già quando vedi «M».
È ''ovvio'' che, per esempio, con una proposizione soggetto-predicato, ''sempre che'' essa abbia un qualche senso, ne ''vedi'' la forma non appena ''comprendi'' la proposizione'','' nonostante tu non sappia se è vera o falsa,. Anche se ci ''fossero'' proposizioni della forma «M è una cosa», esse sarebbero superflue (tautologiche) perché quello che ciò tenta di dire è qualcosa che ''vedi'' già quando vedi «M».


Nell’espressione menzionata sopra «a R , parlavamo solo di questo «R» particolare, ma ciò che vogliamo fare è parlare di tutti i simboli simili. Dobbiamo dire: in ''qualunque'' simbolo di questa forma ciò che corrisponde a «R» propriamente non è un nome, e il fatto che [«R» sta tra «a» e «b»] esprime una relazione. Questo è ciò che si tentava di esprimere con l’espressione priva di senso: simboli come questo sono di un certo tipo. Questo non puoi dirlo, perché per dirlo devi prima sapere qual è il simbolo: e nel saperlo ''vedi'' [il] tipo e dunque anche [il] tipo di [ciò che è] simbolizzato. Ossia, nel sapere ''che cosa'' simbolizza, sai tutto ciò che c’è da sapere; non puoi ''dire'' nulla ''riguardo'' al simbolo.
Nell’espressione menzionata sopra «{{nowrap|''a'' R ''b''}}», parlavamo solo di questo «R» particolare, ma ciò che vogliamo fare è parlare di tutti i simboli simili. Dobbiamo dire: in ''qualunque'' simbolo di questa forma ciò che corrisponde a «R» propriamente non è un nome, e il fatto che [«R» sta tra «a» e «b»] esprime una relazione. Questo è ciò che si tentava di esprimere con l’espressione priva di senso: simboli come questo sono di un certo tipo. Questo non puoi dirlo, perché per dirlo devi prima sapere qual è il simbolo: e nel saperlo ''vedi'' [il] tipo e dunque anche [il] tipo di [ciò che è] simbolizzato. Ossia, nel sapere ''che cosa'' simbolizza, sai tutto ciò che c’è da sapere; non puoi ''dire'' nulla ''riguardo'' al simbolo.


Per esempio: considera le due proposizioni 1) «ciò che simbolizza qui è una cosa», 2) «ciò che simbolizza qui è un fatto relazionale (= relazione)». Queste proposizioni sono prive di senso per due ragioni: ''a'') perché menzionano «cosa» e «relazione»; ''b'') perché le menzionano in proposizioni della stessa forma. Le due proposizioni, se propriamente analizzate, devono essere espresse in forme interamente diverse; e non vi devono figurare né la parola «cosa» né la parola «relazione».
Per esempio: considera le due proposizioni 1) «ciò che simbolizza qui è una cosa», 2) «ciò che simbolizza qui è un fatto relazionale (= relazione)». Queste proposizioni sono prive di senso per due ragioni: ''a'') perché menzionano «cosa» e «relazione»; ''b'') perché le menzionano in proposizioni della stessa forma. Le due proposizioni, se propriamente analizzate, devono essere espresse in forme interamente diverse; e non vi devono figurare né la parola «cosa» né la parola «relazione».
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N.B. In ogni proposizione ordinaria, per esempio «Moore buono», questo ''mostra'' e non dice che «Moore» sta a sinistra di «buono;» e ''qui ciò'' che è mostrato può essere ''detto'' da un’altra proposizione. Ma ciò vale soltanto per quella ''parte'' di ciò che è mostrato che è arbitraria. Le proprietà ''logiche'' che la proposizione mostra non sono arbitrarie, e che essa le possiede non può essere detto in alcuna proposizione.
N.B. In ogni proposizione ordinaria, per esempio «Moore buono», questo ''mostra'' e non dice che «Moore» sta a sinistra di «buono;» e ''qui ciò'' che è mostrato può essere ''detto'' da un’altra proposizione. Ma ciò vale soltanto per quella ''parte'' di ciò che è mostrato che è arbitraria. Le proprietà ''logiche'' che la proposizione mostra non sono arbitrarie, e che essa le possiede non può essere detto in alcuna proposizione.


Quando diciamo di una proposizione della forma «a R che ciò che simbolizza è che «R» sta tra «a» e «b», va ricordato che in effetti la proposizione è suscettibile di analisi ulteriore perché a, R e b non sono ''semplici.'' Ciò che però sembra certo è che alla fine, dopo averla analizzata, arriveremo a proposizioni della stessa forma dal punto di vista del fatto che esse consistono nello stare una cosa tra altre due cose.
Quando diciamo di una proposizione della forma «{{nowrap|''a'' R ''b''}}» che ciò che simbolizza è che «R» sta tra «a» e «b», va ricordato che in effetti la proposizione è suscettibile di analisi ulteriore perché a, R e b non sono ''semplici.'' Ciò che però sembra certo è che alla fine, dopo averla analizzata, arriveremo a proposizioni della stessa forma dal punto di vista del fatto che esse consistono nello stare una cosa tra altre due cose.


Come possiamo parlare della forma generale di una proposizione, senza conoscere alcuna proposizione inanalizzabile in cui figurano nomi e relazioni particolari? Ciò che ci giustifica a farlo è il fatto che, pur non conoscendo alcuna proposizione inanalizzabile di questo tipo, possiamo comunque comprendere ciò che è inteso da una proposizione della forma (∃x, y, R) . x R y (la quale è inanalizzabile), anche se non conosciamo alcuna proposizione della forma x R y.
Come possiamo parlare della forma generale di una proposizione, senza conoscere alcuna proposizione inanalizzabile in cui figurano nomi e relazioni particolari? Ciò che ci giustifica a farlo è il fatto che, pur non conoscendo alcuna proposizione inanalizzabile di questo tipo, possiamo comunque comprendere ciò che è inteso da una proposizione della forma {{nowrap|(∃''x'', ''y'', R) . ''x'' R ''y''}} (la quale è inanalizzabile), anche se non conosciamo alcuna proposizione della forma {{nowrap|''x'' R ''y''}}.


Se hai una proposizione inanalizzabile nella quale figurano nomi e relazioni particolari (e proposizione ''inanalizzabile'' = proposizione in cui figurano solo simboli fondamentali = simboli non suscettibili di ''definizione'') allora da essa puoi sempre formare una proposizione della forma (∃x, y, R) . x R y, la quale, pur non contenendo nomi o relazioni particolari, è inanalizzabile.
Se hai una proposizione inanalizzabile nella quale figurano nomi e relazioni particolari (e proposizione ''inanalizzabile'' = proposizione in cui figurano solo simboli fondamentali = simboli non suscettibili di ''definizione'') allora da essa puoi sempre formare una proposizione della forma {{nowrap|(∃''x'', ''y'', R) . ''x'' R ''y''}}, la quale, pur non contenendo nomi o relazioni particolari, è inanalizzabile.


2) Qui la questione può essere esplicata nel modo seguente. Prendi ''ϕ''a e ''ϕ''A: e chiediti che cosa si intende dicendo «c’è una cosa in ''ϕ''a e un complesso in ''ϕ''A»?
2) Qui la questione può essere esplicata nel modo seguente. Prendi ''ϕ''a e ''ϕ''A: e chiediti che cosa si intende dicendo «c’è una cosa in ''ϕ''a e un complesso in ''ϕ''A»?
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''Uso di proposizioni logiche''. Puoi trovarne una così complicata da non accorgerti, osservandola, che è una tautologia; ma hai mostrato che può essere derivata con certe operazioni da certe altre proposizioni secondo la nostra regola per la costruzione delle tautologie; e dunque sei in grado di vedere che una cosa segue da un’altra, mentre altrimenti non saresti stato capace di vederlo. Per esempio, se la nostra tautologia è della forma p ⸧ q puoi vedere che q segue da p; e avanti così.
''Uso di proposizioni logiche''. Puoi trovarne una così complicata da non accorgerti, osservandola, che è una tautologia; ma hai mostrato che può essere derivata con certe operazioni da certe altre proposizioni secondo la nostra regola per la costruzione delle tautologie; e dunque sei in grado di vedere che una cosa segue da un’altra, mentre altrimenti non saresti stato capace di vederlo. Per esempio, se la nostra tautologia è della forma p ⸧ q puoi vedere che q segue da p; e avanti così.


La ''Bedeutung'' di una proposizione è il fatto che le corrisponde; per esempio, se la nostra proposizione è «a R , se è vera, il fatto corrispondente sarebbe il fatto a R b, se è falsa, il fatto ~ a R b. ''Ma'' sia «il fatto a R sia «il fatto ~ a R sono simboli incompleti, che vanno analizzati.
La ''Bedeutung'' di una proposizione è il fatto che le corrisponde; per esempio, se la nostra proposizione è «{{nowrap|''a'' R ''b''}}», se è vera, il fatto corrispondente sarebbe il fatto {{nowrap|''a'' R ''b''}}, se è falsa, il fatto {{nowrap|~ ''a'' R ''b''}}. ''Ma'' sia «il fatto {{nowrap|''a'' R ''b''}}» sia «il fatto {{nowrap|~ ''a'' R ''b''}}» sono simboli incompleti, che vanno analizzati.


Che una proposizione ha una relazione (in senso lato) con la Realtà diversa da quella di ''Bedeutung'' è mostrato dal fatto che puoi comprenderla quando non ne conosci la ''Bedeutung'', cioè se non sai se è vera o falsa. Esprimiamolo dicendo «essa ha ''senso''» (''Sinn'').
Che una proposizione ha una relazione (in senso lato) con la Realtà diversa da quella di ''Bedeutung'' è mostrato dal fatto che puoi comprenderla quando non ne conosci la ''Bedeutung'', cioè se non sai se è vera o falsa. Esprimiamolo dicendo «essa ha ''senso''» (''Sinn'').
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Vogliamo spiegare la relazione delle proposizioni con la realtà.
Vogliamo spiegare la relazione delle proposizioni con la realtà.


La relazione è così: i suoi ''semplici'' hanno significato = sono nomi di semplici; e le sue relazioni hanno una relazione ben diversa con le relazioni; e questi due fatti già stabiliscono una specie di corrispondenza tra una proposizione che contiene questi e soltanto questi e la realtà: per esempio se tutti i semplici di una proposizione sono noti, sappiamo già che POSSIAMO descrivere la realtà dicendo che si ''comporta''<!--<ref>Presumibilmente, «verhält sich zu», ossia «è in relazione». [''Edd.'']</ref>--> in un certo modo nei confronti dell’intera proposizione. (Questo equivale al dire che possiamo ''confrontare'' la realtà con la proposizione. Nel caso di due linee possiamo ''confrontarle'' per quanto riguarda la loro lunghezza senza alcuna convenzione: il confronto è automatico. Ma nel nostro caso la possibilità del confronto dipende dalle convenzioni con cui abbiamo dato ai nostri semplici (nomi e relazioni) i loro significati.)
La relazione è così: i suoi ''semplici'' hanno significato = sono nomi di semplici; e le sue relazioni hanno una relazione ben diversa con le relazioni; e questi due fatti già stabiliscono una specie di corrispondenza tra una proposizione che contiene questi e soltanto questi e la realtà: per esempio se tutti i semplici di una proposizione sono noti, sappiamo già che {{small caps|possiamo}} descrivere la realtà dicendo che si ''comporta''<!--<ref>Presumibilmente, «verhält sich zu», ossia «è in relazione». [''Edd.'']</ref>--> in un certo modo nei confronti dell’intera proposizione. (Questo equivale al dire che possiamo ''confrontare'' la realtà con la proposizione. Nel caso di due linee possiamo ''confrontarle'' per quanto riguarda la loro lunghezza senza alcuna convenzione: il confronto è automatico. Ma nel nostro caso la possibilità del confronto dipende dalle convenzioni con cui abbiamo dato ai nostri semplici (nomi e relazioni) i loro significati.)


Resta soltanto da aggiustare il metodo di confronto dicendo che ''cosa'' nei nostri semplici deve ''dire'' cosa della realtà. Supponiamo, per esempio, di prendere due linee di lunghezza diversa: e diciamo che il fatto che la più corta ha la lunghezza che ha deve significare che la più lunga ha la lunghezza che ''essa'' ha. Avremmo dovuto allora stabilire riguardo al significato della più corta una convenzione, del genere che adesso dobbiamo fornire.
Resta soltanto da aggiustare il metodo di confronto dicendo che ''cosa'' nei nostri semplici deve ''dire'' cosa della realtà. Supponiamo, per esempio, di prendere due linee di lunghezza diversa: e diciamo che il fatto che la più corta ha la lunghezza che ha deve significare che la più lunga ha la lunghezza che ''essa'' ha. Avremmo dovuto allora stabilire riguardo al significato della più corta una convenzione, del genere che adesso dobbiamo fornire.
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L’asimmetria viene introdotta fornendo una descrizione di una forma particolare di simbolo che chiamiamo una «tautologia». La descrizione del simbolo-ab, presa da sola, è simmetrica nei confronti di a e di b; ma questa descrizione più il fatto che ciò che soddisfa la descrizione di una tautologia ''è'' una tautologia è asimmetrico rispetto a essi. (Dire che una descrizione è simmetrica rispetto a due simboli significa che potremmo sostituirne uno con l’altro e che la descrizione rimarrebbe la stessa, ossia avrebbe lo stesso significato.)
L’asimmetria viene introdotta fornendo una descrizione di una forma particolare di simbolo che chiamiamo una «tautologia». La descrizione del simbolo-ab, presa da sola, è simmetrica nei confronti di a e di b; ma questa descrizione più il fatto che ciò che soddisfa la descrizione di una tautologia ''è'' una tautologia è asimmetrico rispetto a essi. (Dire che una descrizione è simmetrica rispetto a due simboli significa che potremmo sostituirne uno con l’altro e che la descrizione rimarrebbe la stessa, ossia avrebbe lo stesso significato.)


Prendi p . q e q. Quando scrivi p . q nella notazione ab, è impossibile vedere soltanto dal simbolo che q ne consegue, perché se tu dovessi interpretare il polo del vero come quello del falso, lo stesso simbolo starebbe per p ∨ q, da cui q non consegue. Ma non appena dici ''quali'' simboli sono tautologie, tutt’a un tratto diventa possibile vedere, dal fatto che essi sono tautologie e dal simbolo originale, che q ne consegue.
Prendi {{nowrap|p . q}} e q. Quando scrivi {{nowrap|p . q}} nella notazione ab, è impossibile vedere soltanto dal simbolo che q ne consegue, perché se tu dovessi interpretare il polo del vero come quello del falso, lo stesso simbolo starebbe per p ∨ q, da cui q non consegue. Ma non appena dici ''quali'' simboli sono tautologie, tutt’a un tratto diventa possibile vedere, dal fatto che essi sono tautologie e dal simbolo originale, che q ne consegue.


''Le proposizioni logiche,'' NATURALMENTE, mostrano tutte qualcosa di diverso: tutte mostrano ''nello stesso modo'', ossia per il fatto che sono tautologie, ma sono tautologie diverse e dunque mostrano ognuna qualcosa di diverso.
''Le proposizioni logiche,'' {{small caps|naturalmente}}, mostrano tutte qualcosa di diverso: tutte mostrano ''nello stesso modo'', ossia per il fatto che sono tautologie, ma sono tautologie diverse e dunque mostrano ognuna qualcosa di diverso.


Ciò che non è arbitrario nei nostri simboli non sono i simboli stessi, né le regole che forniamo; ma il fatto che, avendo dato certe regole, altre sono fissate = seguono logicamente.<!-- [''Cfr.'' 3.342.]-->
Ciò che non è arbitrario nei nostri simboli non sono i simboli stessi, né le regole che forniamo; ma il fatto che, avendo dato certe regole, altre sono fissate = seguono logicamente.<!-- [''Cfr.'' 3.342.]-->