Note dettate a G.E. Moore in Norvegia: Difference between revisions

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:(∃''y'') . ''y'' simbolizza . ''y'' = “''x''” . “ϕ''x''”
:(∃''y'') . ''y'' simbolizza . ''y'' = “''x''” . “ϕ''x''”


[“''x''” è il nome di ''y'': “ϕ''x''” =  “‘ϕ''x''’ è alla sinistra di ‘''x''’” e ''dice'' ϕ''x''.]
[“''x''” è il nome di ''y'': “ϕ''x''” = “‘ϕ’ è alla sinistra di ‘''x''’” e ''dice'' ϕ''x''.]


N.B. “''x''” non può essere il nome di questo singolo frego ''y'', perché questo non è una cosa: ma può essere il nome di una ''cosa''; e dobbiamo comprendere che quel che stiamo facendo è spiegare ciò che si intenderebbe dicendo di un simbolo ideale, che effettivamente consisteva nel fatto che una ''cosa'' era a sinistra di un’altra, che in esso a simbolizzare era una ''cosa'' .
N.B. “''x''” non può essere il nome di questo singolo frego ''y'', perché questo non è una cosa: ma può essere il nome di una ''cosa''; e dobbiamo comprendere che quel che stiamo facendo è spiegare ciò che si intenderebbe dicendo di un simbolo ideale, che effettivamente consisteva nel fatto che una ''cosa'' era a sinistra di un’altra, che in esso a simbolizzare era una ''cosa'' .
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Ne consegue che “vero” e “falso” non sono proprietà accidentali di una proposizione tali che, quando essa ha significato, possiamo dire che è anche vera o falsa: al contrario, che una proposizione ha significato ''significa'' che è vera o falsa: l’essere vera o falsa in effetti costituisce quella relazione della proposizione con la realtà alla quale ci riferiamo dicendo che la proposizione in questione ha significato (''Sinn'').
Ne consegue che “vero” e “falso” non sono proprietà accidentali di una proposizione tali che, quando essa ha significato, possiamo dire che è anche vera o falsa: al contrario, che una proposizione ha significato ''significa'' che è vera o falsa: l’essere vera o falsa in effetti costituisce quella relazione della proposizione con la realtà alla quale ci riferiamo dicendo che la proposizione in questione ha significato (''Sinn'').


A prima vista sembra esserci una certa ambiguità in ciò che si intende dicendo che una proposizione è “vera”, per via del fatto che, a quanto sembra, nel caso di proposizioni diverse, il modo in cui esse corrispondono ai fatti a cui corrispondono è molto diverso. Ma ciò che è davvero comune a tutti i casi è che essi devono avere ''la forma generale di una proposizione''. Nel fornire la forma generale di una proposizione spieghi quale tipo di modi di mettere assieme i simboli di cose e di relazioni corrisponderà (sarà analogo) al fatto che le cose abbiano tali relazioni nella realtà. Nel farlo dici ciò che si intende dicendo che una proposizione è vera; e devi farlo una volta per tutte. Dire “questa proposizione ''ha senso''” significa “‘questa proposizione è vera’ significa…”. (“''p''” è vero = “''p''” . ''p''. Def. : solo invece di “''p''” dobbiamo qui introdurre la forma generale di una proposizione).<!--<ref>Il lettore dovrebbe ricordare che secondo Wittgenstein “‘''p''’” non è un nome ma una descrizione del fatto che costituisce la proposizione. Vedi sopra, p. 109. [''Edd.'']</ref>-->
A prima vista sembra esserci una certa ambiguità in ciò che si intende dicendo che una proposizione è “vera”, per via del fatto che, a quanto sembra, nel caso di proposizioni diverse, il modo in cui esse corrispondono ai fatti a cui corrispondono è molto diverso. Ma ciò che è davvero comune a tutti i casi è che essi devono avere ''la forma generale di una proposizione''. Nel fornire la forma generale di una proposizione spieghi quale tipo di modi di mettere assieme i simboli di cose e di relazioni corrisponderà (sarà analogo) al fatto che le cose abbiano tali relazioni nella realtà. Nel farlo dici ciò che si intende dicendo che una proposizione è vera; e devi farlo una volta per tutte. Dire “questa proposizione ''ha senso''” significa “‘questa proposizione è vera’ significa…”. (“''p''” è vero = “''p''” . ''p''. Def.: solo invece di “''p''” dobbiamo qui introdurre la forma generale di una proposizione).<!--<ref>Il lettore dovrebbe ricordare che secondo Wittgenstein “‘''p''’” non è un nome ma una descrizione del fatto che costituisce la proposizione. Vedi sopra, p. 109. [''Edd.'']</ref>-->


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La ragione per cui “la proprietà di non essere verde non è verde” è ''privo di senso'' consiste nel fatto che abbiamo fornito un significato soltanto al fatto che “verde” sta a destra di un nome; e “la proprietà di non essere verde” ovviamente ''non'' è un nome.
La ragione per cui “la proprietà di non essere verde non è verde” è ''privo di senso'' consiste nel fatto che abbiamo fornito un significato soltanto al fatto che “verde” sta a destra di un nome; e “la proprietà di non essere verde” ovviamente ''non'' è un nome.


ϕ non potrà mai stare a sinistra del simbolo di una proprietà (o in qualsiasi altra relazione con esso).  Perché il simbolo di una proprietà, per esempio ψ''x'', è ''che'' ψ sta alla sinistra di una forma-nome, e un altro simbolo ϕ non potrà mai stare a sinistra di un tale ''fatto'': se potesse, disporremmo di un linguaggio illogico, il che è impossibile.
ϕ non potrà mai stare a sinistra del simbolo di una proprietà (o in qualsiasi altra relazione con esso). Perché il simbolo di una proprietà, per esempio ψ''x'', è ''che'' ψ sta alla sinistra di una forma-nome, e un altro simbolo ϕ non potrà mai stare a sinistra di un tale ''fatto'': se potesse, disporremmo di un linguaggio illogico, il che è impossibile.


:''p'' è falso = ~(''p'' è vero) Def.
:''p'' è falso = ~(''p'' è vero) Def.
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Le relazioni ''interne'' sono relazioni tra tipi che non possono essere espresse in proposizioni, ma sono tutte mostrate nei simboli stessi, e possono essere esibite sistematicamente in tautologie. Il motivo per cui giungiamo a chiamarle “relazioni” consiste nel fatto che le proposizioni logiche hanno con esse una relazione analoga a quelle che proposizioni propriamente relazionali hanno con le relazioni.
Le relazioni ''interne'' sono relazioni tra tipi che non possono essere espresse in proposizioni, ma sono tutte mostrate nei simboli stessi, e possono essere esibite sistematicamente in tautologie. Il motivo per cui giungiamo a chiamarle “relazioni” consiste nel fatto che le proposizioni logiche hanno con esse una relazione analoga a quelle che proposizioni propriamente relazionali hanno con le relazioni.


Le proposizioni possono avere l’una con l’altra molte relazioni interne diverse. ''Quella'' che ci autorizza a dedurne una dall’altra è che se, diciamo, ci sono  ϕ''a'' e ϕ''a'' ⸧ ψ''a'', allora ϕ''a'' . ϕ''a'' ⸧ ψ''a'' : ⸧ : ψ''a'' è una tautologia.
Le proposizioni possono avere l’una con l’altra molte relazioni interne diverse. ''Quella'' che ci autorizza a dedurne una dall’altra è che se, diciamo, ci sono ϕ''a'' e ϕ''a'' ⸧ ψ''a'', allora ϕ''a'' . ϕ''a'' ⸧ ψ''a'' : ⸧ : ψ''a'' è una tautologia.


Il simbolo d’identità esprime la relazione interna tra una funzione e il suo argomento: per esempio, ϕ''a'' = (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a''.
Il simbolo d’identità esprime la relazione interna tra una funzione e il suo argomento: per esempio, ϕ''a'' = (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a''.


È possibile vedere che la proposizione (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a'' : ≡ : ϕ''a'' è una tautologia se si esprimono le ''condizioni'' della verità di (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a'', in successione, per esempio dicendo: ciò è vero ''se'' questo e questo; e ciò a suo volta è vero ''se'' questo e questo, etc., per (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a''; e poi anche per ϕ''a''. Esprimere la questione in tal modo comporta di per sé una notazione gravosa, di cui la notazione ''ab'' è una traduzione più elegante.
È possibile vedere che la proposizione (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a'' : : ϕ''a'' è una tautologia se si esprimono le ''condizioni'' della verità di (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a'', in successione, per esempio dicendo: ciò è vero ''se'' questo e questo; e ciò a suo volta è vero ''se'' questo e questo, etc., per (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a''; e poi anche per ϕ''a''. Esprimere la questione in tal modo comporta di per sé una notazione gravosa, di cui la notazione ''ab'' è una traduzione più elegante.


Ciò che simbolizza in un simbolo è ciò che è comune a tutti i simboli con cui, in accordo con le regole della logica = regole sintattiche per la manipolazione dei simboli, lo si potrebbe sostituire.<!-- [''Cfr''. 3.344.]-->
Ciò che simbolizza in un simbolo è ciò che è comune a tutti i simboli con cui, in accordo con le regole della logica = regole sintattiche per la manipolazione dei simboli, lo si potrebbe sostituire.<!-- [''Cfr''. 3.344.]-->