Libro marrone: Difference between revisions

no edit summary
mNo edit summary
No edit summary
Line 453: Line 453:
A queste illustrazioni dell’utilizzo della parola “può” bisognerebbe accompagnarne altre che mostrino la varietà dei nostri usi dei termini “dimenticare” e “tentare,” poiché tali impieghi sono strettamente connessi con la parola “può.” Considera i seguenti casi: ''a'') prima B ha recitato la formula tra sé, adesso “ha un vuoto mentale assoluto.” ''b'') Prima B ha recitato la formula tra sé, adesso per un attimo non sa più “se era 2ⁿ o 3ⁿ”. ''c'') Si è scordato un nome e ce l’ha “sulla punta della lingua.” Oppure ''d'') non si ricorda se il nome non l’ha mai saputo o se l’è solo dimenticato.
A queste illustrazioni dell’utilizzo della parola “può” bisognerebbe accompagnarne altre che mostrino la varietà dei nostri usi dei termini “dimenticare” e “tentare,” poiché tali impieghi sono strettamente connessi con la parola “può.” Considera i seguenti casi: ''a'') prima B ha recitato la formula tra sé, adesso “ha un vuoto mentale assoluto.” ''b'') Prima B ha recitato la formula tra sé, adesso per un attimo non sa più “se era 2ⁿ o 3ⁿ”. ''c'') Si è scordato un nome e ce l’ha “sulla punta della lingua.” Oppure ''d'') non si ricorda se il nome non l’ha mai saputo o se l’è solo dimenticato.


Adesso prestiamo attenzione a come ci serviamo della parola “tentare:” ''a'') un uomo tenta di aprire la porta tirandola più forte che può. ''b'') Tenta di aprire l’anta di una cassaforte tentando di indovinarne la combinazione. ''c'') Tenta di trovare la combinazione tentando di ricordarsela, oppure ''d'') girando la manopola e auscultando con uno stetoscopio. Confronta i vari processi che chiamiamo “tentare di ricordare.” Paragona ''e'') tentare di muovere il dito contro una resistenza (per esempio qualcuno che lo trattiene) e ''f'') quando hai intrecciato le mani in un modo particolare e hai l’impressione di “non sapere cosa fare per muovere il dito in un determinato modo”.
Adesso prestiamo attenzione a come ci serviamo della parola “tentare:” ''a'') un uomo tenta di aprire la porta tirandola più forte che può. ''b'') Tenta di aprire l’anta di una cassaforte tentando di indovinarne la combinazione. ''c'') Tenta di trovare la combinazione tentando di ricordarsela, oppure ''d'') girando la manopola e auscultando con uno stetoscopio. Confronta i vari processi che chiamiamo “tentare di ricordare.” Paragona ''e'') tentare di muovere il dito contro una resistenza (per esempio qualcuno che lo trattiene) e <span id="p-62"></span>''f'') quando hai intrecciato le mani in un modo particolare e hai l’impressione di “non sapere cosa fare per muovere il dito in un determinato modo”.


(Considera anche la classe di casi in cui diciamo “posso fare così-e-così ma non lo farò;” “se potessi, lo farei”… per esempio sollevare cinquanta kili; “se volessi, potrei”… per esempio recitare l’alfabeto).
(Considera anche la classe di casi in cui diciamo “posso fare così-e-così ma non lo farò;” “se potessi, lo farei”… per esempio sollevare cinquanta kili; “se volessi, potrei”… per esempio recitare l’alfabeto).
Line 825: Line 825:
Consideriamo alcune caratteristiche di atti volontari e involontari. Nel caso del sollevamento del carico pesante, le varie esperienze dello sforzo sono naturalmente quelle che caratterizzano in maniera più netta il sollevamento volontario del peso. Confronta invece con quello appena tratteggiato il caso di scrivere volontariamente, qui nella maggioranza dei casi non ci sarà sforzo; anche se abbiamo l’impressione che scrivere stanchi la mano e tenda i muscoli, non si tratta dell’esperienza di “tirare” e “spingere” che noi chiameremmo tipiche azioni volontarie. Paragona inoltre il modo in cui sollevi la mano per alzare un peso dal modo in cui la sollevi, per esempio, per indicare qualcosa sopra di te. Quest’ultimo va certamente annoverato tra gli atti volontari, anche se quasi certamente l’elemento dello sforzo resterà del tutto assente; infatti il sollevare il braccio per indicare un oggetto è molto simile al sollevare un occhio per guardarlo e qui ci riesce quasi impossibile concepire un qualche sforzo. – Descriviamo ora un atto involontario di sollevare il braccio. C’è il caso del nostro esperimento, caratterizzato dall’assenza totale di tensione muscolare e dal nostro atteggiamento di osservazione nei confronti dell’alzarsi del braccio. Abbiamo però appena esaminato un esempio in cui non c’era tensione muscolare e ci sono casi in cui, nonostante il fatto che assumiamo un atteggiamento di osservazione nei confronti dell’azione in corso, quest’ultima la chiameremmo volontaria. Ma in un’ampia classe di casi è proprio la specifica impossibilità ad assumere un atteggiamento di osservazione nei confronti di un’azione a caratterizzarla in quanto volontaria: prova per esempio, nell’atto di sollevarla volontariamente, a osservare la tua mano alzarsi. Naturalmente, mentre per così dire compi l’esperimento, la ''vedi'' alzarsi, ma non riesci a seguirla con gli occhi nello stesso modo. Ciò potrebbe diventare più chiaro se confronti due casi in cui si seguono con gli occhi due linee su un foglio; ''A'') essendo una linea irregolare come questa [[File:Brown Book 2-Ts310,118.png|60px|link=]] e ''B'') essendo una frase scritta. Scoprirai che soffermandosi su ''A'') lo sguardo, per così dire, tende continuamente a cadere e a intopparsi e invece nel leggere la frase ''B)'' scivola con scorrevolezza.
Consideriamo alcune caratteristiche di atti volontari e involontari. Nel caso del sollevamento del carico pesante, le varie esperienze dello sforzo sono naturalmente quelle che caratterizzano in maniera più netta il sollevamento volontario del peso. Confronta invece con quello appena tratteggiato il caso di scrivere volontariamente, qui nella maggioranza dei casi non ci sarà sforzo; anche se abbiamo l’impressione che scrivere stanchi la mano e tenda i muscoli, non si tratta dell’esperienza di “tirare” e “spingere” che noi chiameremmo tipiche azioni volontarie. Paragona inoltre il modo in cui sollevi la mano per alzare un peso dal modo in cui la sollevi, per esempio, per indicare qualcosa sopra di te. Quest’ultimo va certamente annoverato tra gli atti volontari, anche se quasi certamente l’elemento dello sforzo resterà del tutto assente; infatti il sollevare il braccio per indicare un oggetto è molto simile al sollevare un occhio per guardarlo e qui ci riesce quasi impossibile concepire un qualche sforzo. – Descriviamo ora un atto involontario di sollevare il braccio. C’è il caso del nostro esperimento, caratterizzato dall’assenza totale di tensione muscolare e dal nostro atteggiamento di osservazione nei confronti dell’alzarsi del braccio. Abbiamo però appena esaminato un esempio in cui non c’era tensione muscolare e ci sono casi in cui, nonostante il fatto che assumiamo un atteggiamento di osservazione nei confronti dell’azione in corso, quest’ultima la chiameremmo volontaria. Ma in un’ampia classe di casi è proprio la specifica impossibilità ad assumere un atteggiamento di osservazione nei confronti di un’azione a caratterizzarla in quanto volontaria: prova per esempio, nell’atto di sollevarla volontariamente, a osservare la tua mano alzarsi. Naturalmente, mentre per così dire compi l’esperimento, la ''vedi'' alzarsi, ma non riesci a seguirla con gli occhi nello stesso modo. Ciò potrebbe diventare più chiaro se confronti due casi in cui si seguono con gli occhi due linee su un foglio; ''A'') essendo una linea irregolare come questa [[File:Brown Book 2-Ts310,118.png|60px|link=]] e ''B'') essendo una frase scritta. Scoprirai che soffermandosi su ''A'') lo sguardo, per così dire, tende continuamente a cadere e a intopparsi e invece nel leggere la frase ''B)'' scivola con scorrevolezza.


Adesso prendi in considerazione un caso in cui assumiamo un atteggiamento di osservazione nei confronti di un’azione volontaria, intendo il caso molto istruttivo del disegnare un quadrato con le sue diagonali mettendo uno specchio sul foglio e muovendo la mano assecondando ciò che si vede nello specchio. Qui si è propensi a dire che le nostre vere ''azioni'', quelle a cui la volizione si applica ''immediatamente'', non sono i movimenti della mano ma qualcosa che li precede, come le azioni dei muscoli. Siamo portati a paragonare tale caso con il seguente: immagina di avere davanti una serie di leve, con le quali, per mezzo di un ingranaggio nascosto, dirigi i movimenti di una matita su un foglio. Avremmo quindi dei dubbi su quale leva tirare per produrre i movimenti desiderati della matita e potremmo dire di aver tirato ''apposta'' tale leva, pur non volendo d’altronde produrre il risultato sbagliato che ne è conseguito. Nonostante ci si suggerisca da solo facilmente, un simile paragone è foriero di molti equivoci. Perché nel caso in cui ci troviamo di fronte delle leve, prima di tirarne una c’è stato qualcosa come l’atto di decidere quale tirare. Ma la nostra volizione agisce per così dire su una tastiera di muscoli, scegliendo quale sarà il prossimo da utilizzare? – A caratterizzare alcune delle azioni che chiamiamo volontarie è il fatto che, in qualche modo, “sappiamo cosa stiamo per fare” prima di farlo. In questo senso diciamo di sapere qual è l’oggetto che indicheremo e quello che chiameremmo “l’atto di sapere” potrebbe consistere nel guardare l’oggetto prima di indicarlo e nel descrivere la sua posizione con parole o immagini. Potremmo descrivere il processo di disegnare il quadrato guardando lo specchio dicendo che i nostri atti erano intenzionali per quanto riguarda l’aspetto motorio ma non per quanto concerne l’aspetto visivo. In quanto prova di tale affermazione, per esempio, potremmo indicare la nostra abilità di ripetere a comando un movimento della mano che ha generato un risultato sbagliato. Ovviamente però sarebbe assurdo dire che il carattere motorio di questo movimento volontario consisteva nel fatto che prima sapevamo ciò che avremo fatto, come se avessimo avuto nella mente un’immagine della sensazione cinestetica e avessimo deciso di generare tale sensazione. Ricorda l’esperimento (?) p. 62; se qui, invece di indicare da lontano il dito che ordini al soggetto di muovere, glielo tocchi, costui lo muoverà sempre senza alcuna difficoltà. Qui si è tentati di dire “certo che ora lo posso muovere, perché adesso so quale dito mi è stato chiesto di muovere.” Questo ci dà l’idea che adesso io ti abbia mostrato che muscolo contrarre per causare il risultato desiderato. La parola “certo” dà l’impressione che, toccandoti il dito io, ti abbia fornito un’unità di informazione per dirti cosa fare. (Come se di solito, quando dici a un uomo di muovere il tale dito, lui potesse eseguire l’ordine perché sa come causare suddetto movimento).
Adesso prendi in considerazione un caso in cui assumiamo un atteggiamento di osservazione nei confronti di un’azione volontaria, intendo il caso molto istruttivo del disegnare un quadrato con le sue diagonali mettendo uno specchio sul foglio e muovendo la mano assecondando ciò che si vede nello specchio. Qui si è propensi a dire che le nostre vere ''azioni'', quelle a cui la volizione si applica ''immediatamente'', non sono i movimenti della mano ma qualcosa che li precede, come le azioni dei muscoli. Siamo portati a paragonare tale caso con il seguente: immagina di avere davanti una serie di leve, con le quali, per mezzo di un ingranaggio nascosto, dirigi i movimenti di una matita su un foglio. Avremmo quindi dei dubbi su quale leva tirare per produrre i movimenti desiderati della matita e potremmo dire di aver tirato ''apposta'' tale leva, pur non volendo d’altronde produrre il risultato sbagliato che ne è conseguito. Nonostante ci si suggerisca da solo facilmente, un simile paragone è foriero di molti equivoci. Perché nel caso in cui ci troviamo di fronte delle leve, prima di tirarne una c’è stato qualcosa come l’atto di decidere quale tirare. Ma la nostra volizione agisce per così dire su una tastiera di muscoli, scegliendo quale sarà il prossimo da utilizzare? – A caratterizzare alcune delle azioni che chiamiamo volontarie è il fatto che, in qualche modo, “sappiamo cosa stiamo per fare” prima di farlo. In questo senso diciamo di sapere qual è l’oggetto che indicheremo e quello che chiameremmo “l’atto di sapere” potrebbe consistere nel guardare l’oggetto prima di indicarlo e nel descrivere la sua posizione con parole o immagini. Potremmo descrivere il processo di disegnare il quadrato guardando lo specchio dicendo che i nostri atti erano intenzionali per quanto riguarda l’aspetto motorio ma non per quanto concerne l’aspetto visivo. In quanto prova di tale affermazione, per esempio, potremmo indicare la nostra abilità di ripetere a comando un movimento della mano che ha generato un risultato sbagliato. Ovviamente però sarebbe assurdo dire che il carattere motorio di questo movimento volontario consisteva nel fatto che prima sapevamo ciò che avremo fatto, come se avessimo avuto nella mente un’immagine della sensazione cinestetica e avessimo deciso di generare tale sensazione. Ricorda l’esperimento [[#p-62|p. 62]]; se qui, invece di indicare da lontano il dito che ordini al soggetto di muovere, glielo tocchi, costui lo muoverà sempre senza alcuna difficoltà. Qui si è tentati di dire “certo che ora lo posso muovere, perché adesso so quale dito mi è stato chiesto di muovere.” Questo ci dà l’idea che adesso io ti abbia mostrato che muscolo contrarre per causare il risultato desiderato. La parola “certo” dà l’impressione che, toccandoti il dito io, ti abbia fornito un’unità di informazione per dirti cosa fare. (Come se di solito, quando dici a un uomo di muovere il tale dito, lui potesse eseguire l’ordine perché sa come causare suddetto movimento).


(Qui è interessante pensare al caso in cui succhia un liquido da un tubo; se ti chiedessero con quale parte del corpo hai succhiato, tu saresti propenso a dire la bocca, ma in realtà si è trattato degli stessi muscoli che impieghi per respirare).
(Qui è interessante pensare al caso in cui succhia un liquido da un tubo; se ti chiedessero con quale parte del corpo hai succhiato, tu saresti propenso a dire la bocca, ma in realtà si è trattato degli stessi muscoli che impieghi per respirare).