Tractatus logico-philosophicus (visualizzazione ad albero)
Se le cose possono comparire negli stati di cose, allora questo deve già appartenere loro.
(Qualcosa di logico non può essere meramente possibile. La logica si occupa di ogni possibilità e tutte le possibilità sono i suoi fatti.)
Come non possiamo affatto rappresentarci oggetti spaziali al di fuori dello spazio, né temporali al di fuori del tempo, così non possiamo rappresentarci nessun oggetto al di fuori della possibilità del suo collegamento con altri.
Se posso rappresentarmi l'oggetto nel contesto dello stato di cose, allora non posso rappresentarmelo al di fuori della possibilità di questo contesto.
(Ogni possibilità di questo genere deve appartenere alla natura dell'oggetto.)
Non si può scoprire in seguito una nuova possibilità.
La macchia nel campo visivo non deve certo essere rossa, ma deve avere un colore: ha intorno a sé, in un certo senso, lo spazio dei colori. Il suono deve avere una altezza, l'oggetto del tatto una durezza ecc.
Poiché se la cosa non è individuata da niente, allora non posso individuarla, poiché altrimenti sarebbe appunto individuata.
(Il sussistere di stati di cose è da noi chiamato anche un fatto positivo, il non-sussistere un fatto negativo.)
Questa connessione degli elementi dell'immagine è chiamata la struttura dell'immagine e la possibilità di questa è chiamata la forma della raffigurazione dell'immagine.
L'immagine spaziale tutto ciò che è spaziale, quella cromatica tutto ciò che è colorato, ecc.
Il metodo di proiezione è il pensare il senso della proposizione.
Quindi la possibilità di ciò che è proiettato, ma non ciò che è proiettato.
Nella proposizione, dunque, non è ancora contenuto il suo senso, ma vi è contenuta la possibilità di esprimerlo.
(«Il contenuto della proposizione» vuol dire il contenuto della proposizione dotata di senso.)
Nella proposizione è contenuta la forma del suo senso, ma non il suo contenuto.
Il segno proposizionale è un fatto.
Infatti nella proposizione stampata, ad es., il segno proposizionale non sembra essenzialmente diverso dalla parola.
(Per questo Frege ha potuto chiamare la proposizione un nome composto.)
La reciproca posizione spaziale di queste cose esprime allora il senso della proposizione.
(I nomi assomigliano a punti, le proposizioni a frecce: esse hanno senso.)
Il complesso può essere dato solo attraverso la sua descrizione, e questa sarà esatta o non esatta. La proposizione nella quale si parla di un complesso non sarà, se questo non esiste, insensata, ma semplicemente falsa.
Che un elemento della proposizione designi un complesso si può vedere da un'indeterminatezza nelle proposizioni in cui tale elemento compare. Noi sappiamo che questa proposizione non determina ancora tutto. (La designazione della generalità contiene un archetipo.)
La sintesi del simbolo di un complesso in un simbolo semplice può essere espressa da una definizione.
Due segni, un segno primitivo e uno definito attraverso segni primitivi, non possono designare nello stesso modo. Non si possono dissezionare i nomi attraverso definizioni. (Né alcun segno che da solo e in modo indipendente ha un significato.)
(La proposizione stessa è un'espressione.)
È espressione tutto ciò di essenziale per il senso della proposizione che le proposizioni possono avere in comune tra di loro.
L'espressione caratterizza una forma e un contenuto.
Infatti in questa forma l'espressione sarà costante, e tutto il resto variabile.
(Nel caso limite le variabili divengono costanti, l'espressione diviene proposizione.)
Chiamo una tale variabile «variabile proposizionale».
(Incluso il nome variabile.)
La fissazione dei valori è la variabile.
La fissazione è una descrizione di queste proposizioni.
La fissazione quindi tratterà solo di simboli, non del loro significato.
E solo questo è essenziale a tale fissazione: che essa è solo una descrizione di simboli e non dice niente sul simbolizzato.
Come avviene la descrizione delle proposizioni è inessenziale.
Così la parola «è» compare come copula, come segno di identità e come espressione dell'esistenza; «esistere» come verbo intransitivo alla stessa stregua di «andare»; «identico» come aggettivo; parliamo di un qualcosa, ma anche dell'accadere di qualcosa.
(Nella proposizione «Rosa è rosa» – dove la prima parola è un nome di persona, l'ultima un aggettivo – queste parole non hanno semplicemente diverso significato, ma sono simboli diversi.)
(L'ideografia di Frege e Russell è un tale linguaggio, che tuttavia non esclude ancora tutti gli errori.)
(Se tutto sta come se un segno avesse significato, allora esso ha significato.)
Assumiamo infatti che la funzione F (f x) possa essere il proprio stesso argomento; allora si darebbe una proposizione «F (F (f x))», ma in questa la funzione F esterna e la funzione F interna devono avere significati diversi, poiché quella interna ha la forma φ (f x), quella esterna la forma ψ (φ (f x)). In comune a entrambe le funzioni vi è solo la lettera «F», che però da sola non simbolizza niente.
Questo diventa subito chiaro se anziché «F (F (u))» scriviamo «(∃ φ) : F (φ u) . φ u = F u».
Con ciò si risolve il paradosso di Russell.
Accidentali sono i tratti che derivano dal particolare modo in cui viene prodotto il segno proposizionale. Essenziali quelli senza i quali la proposizione non sarebbe capace di esprimere il suo senso.
E allo stesso modo, in generale, l'essenziale nel simbolo è ciò che hanno in comune tutti i simboli che possono assolvere lo stesso scopo.
(Ecco il modo in cui una particolare notazione possibile può rivelarci qualcosa di generale.)
(Altrimenti con la negazione, la somma logica, il prodotto logico ecc. verrebbero introdotti sempre nuovi elementi – in coordinazione.)
(L'impalcatura logica intorno all'immagine determina lo spazio logico. La proposizione attraversa tutto lo spazio logico.)
Il linguaggio comune è una parte dell'organismo umano e non è meno complicato di quest'ultimo.
È umanamente impossibile dedurne in modo immediato la logica del linguaggio.
Il linguaggio traveste il pensiero. Di modo che non si può concludere dalla forma esteriore del vestito alla forma del pensiero sotto il vestito; perché la forma esteriore del vestito è fatta per tutt'altri scopi che quello di permettere di riconoscere la forma del corpo.
Gli accordi taciti per la comprensione del linguaggio comune sono enormemente complessi.
(Esse sono domande dello stesso tipo di quella se il buono sia o meno lo stesso che il bello.)
E non è stupefacente che i problemi più profondi propriamente non siano problemi.
La proposizione è un modello della realtà così come ce la rappresentiamo.
E tuttavia questi linguaggi segnici si rivelano, anche nel senso abituale, come immagini di ciò che presentano.
Poiché anche queste irregolarità raffigurano ciò che devono esprimere; solo in modo diverso.
A tutti è comune la costruzione logica.
(Come nella fiaba i due giovani, i loro due cavalli e i loro gigli. Essi sono tutti in un certo senso uno.)
E da essa si è sviluppata la scrittura alfabetica, senza che l'essenziale della raffigurazione andasse perso.
La proposizione mostra come le cose stanno se è vera. E dice che stanno così.
A questo scopo la realtà deve essere descritta completamente dalla proposizione.
La proposizione è la descrizione di uno stato di cose.
Come la descrizione di un oggetto lo descrive secondo le sue proprietà esterne, così la proposizione descrive la realtà secondo le sue proprietà interne.
La proposizione costruisce un mondo con l'aiuto di un'impalcatura logica, e perciò dalla proposizione si può anche vedere come sta tutto ciò che logicamente ne consegue se essa è vera. Si possono trarre conclusioni da una proposizione falsa.
(La si può quindi comprendere senza sapere se è vera.)
La si comprende quando si comprendono le sue parti costituenti.
(E il vocabolario non traduce solo i sostantivi, ma anche verbi, aggettivi, congiunzioni ecc.; e li tratta tutti allo stesso modo.)
Con le proposizioni invece ci spieghiamo.
La proposizione ci comunica uno stato di cose; quindi dev'essere essenzialmente connessa con lo stato di cose.
E la connessione consiste appunto in questo: che la proposizione è l'immagine logica dello stato di cose.
La proposizione asserisce qualcosa solo in quanto è un'immagine.
Si potrebbe addirittura dire, invece che «questa proposizione ha questo e questo senso», «questa proposizione presenta questo e questo stato di cose».
Il mio pensiero fondamentale è che le «costanti logiche» non stanno per alcunché. Che niente può stare per la logica dei fatti.
(Anche la proposizione «ambulo» è composta, poiché la sua radice dà un altro senso con un'altra desinenza, e la sua desinenza con un'altra radice.)
Entrambi devono possedere la stessa molteplicità logica (matematica). (Vedi la Meccanica di Hertz a proposito dei modelli dinamici.)
Se volessimo cercare di farlo attraverso l'introduzione di un indice nei posti per l'argomento – per esempio così: «(G, G) . F (G, G)» – ciò non sarebbe sufficiente – non potremmo stabilire l'identità delle variabili. E così via.
Tutti questi modi di designazione non sono sufficienti perché essi non hanno la necessaria molteplicità matematica.
Allora si potrebbe dire ad es. che «p» designa in modo vero ciò che «~p» designa in modo falso, ecc.
Che in una proposizione compaia la negazione non è ancora un'indicazione del suo senso (~~p = p).
Le proposizioni «p» e «~p» hanno senso contraddittorio, ma corrisponde loro una e la stessa realtà.
Tuttavia per poter dire che un punto è nero o bianco devo prima sapere quando un punto si chiama nero e quando lo si chiama bianco; per poter dire che «p» è vera (o falsa) devo aver determinato in quali circostanze chiamo «p» vera, e così facendo determino il senso della proposizione.
Ora, il punto in cui la similitudine zoppica è questo: possiamo indicare un punto del foglio anche senza sapere che cosa è bianco e cosa nero; a una proposizione senza senso però non corrisponde proprio niente, poiché essa non designa alcuna cosa (valore di verità) le cui proprietà si chiamino per esempio «falso» o «vero»; il verbo di una proposizione non è – come credeva Frege – «è vero» o «è falso», bensì ciò che «è vero» deve già contenere il verbo.
La proposizione che nega determina un altro luogo logico rispetto alla proposizione negata.
La proposizione che nega determina un luogo logico con l'aiuto del luogo logico della proposizione negata, descrivendo il primo come collocato al di fuori del secondo.
Che si possa negare di nuovo la proposizione negata basta per mostrare che ciò che viene negato è già una proposizione, e non solo la bozza di una proposizione.
(La parola «filosofia» deve significare qualcosa che sta sopra o sotto, ma non accanto, alle scienze della natura.)
La filosofia non è una teoria, ma un'attività.
Un'opera filosofica consiste essenzialmente di chiarificazioni.
La filosofia non dà come risultato «proposizioni filosofiche», ma il chiarificarsi di proposizioni.
La filosofia deve rendere chiari pensieri che altrimenti sono, per così dire, nebulosi e sfocati, e delimitarli precisamente.
La teoria della conoscenza è la filosofia della psicologia.
Il mio studio dei linguaggi segnici non corrisponde allo studio dei processi di pensiero, che i filosofi consideravano così essenziale per la filosofia della logica? Solamente, essi si impelagarono perlopiù in ricerche psicologiche inessenziali, e vi è un pericolo analogo anche per il mio metodo.
Deve delimitare l'impensabile dall'interno, attraverso il pensabile.
Per poter presentare la forma logica dovremmo poterci porre con la proposizione al di fuori della logica, cioè al di fuori del mondo.
Ciò che si rispecchia nel linguaggio non può essere presentato dal linguaggio.
Ciò che si esprime nel linguaggio non può essere espresso da noi mediante il linguaggio.
La proposizione mostra la forma logica della realtà.
La esibisce.
Se due proposizioni si contraddicono a vicenda, questo è mostrato dalla loro struttura; lo stesso se esse seguono una dall'altra. E così via.
(Anziché «proprietà della struttura» dico anche «proprietà interna»; anziché «relazione delle strutture», «relazione interna».
Introduco queste espressioni per mostrare la ragione della confusione, molto comune tra i filosofi, tra le relazioni interne e le relazioni vere e proprie (esterne).)
Il sussistere di certe proprietà e relazioni interne non può tuttavia essere asserito mediante proposizioni; esso si mostra invece nelle proposizioni che presentano quegli stati di cose e vertono su quegli oggetti.
(Questo colore blu e quello stanno eo ipso nella relazione interna di più chiaro e più scuro. È impensabile che questi due oggetti non stiano in questa relazione.)
(Qui all'uso oscillante delle parole «proprietà» e «relazione» corrisponde l'uso oscillante della parola «oggetto».)
Affermare che la proposizione ha una proprietà formale sarebbe tanto insensato quanto negarlo.
La serie dei numeri non è ordinata secondo una relazione esterna, ma secondo una relazione interna.
Analogamente la serie delle proposizioni
«a R b»,
«(∃x) : a R x . x R b»,
«(∃x, y) : a R x . x R y . y R b», e così di seguito.
(Se b sta in una di queste relazioni ad a, allora chiamo b un successore di a.)
(Introduco questa espressione per rendere chiara la ragione della confusione dei concetti logici con i concetti veri e propri, la quale attraversa tutta la vecchia logica.)
Che qualcosa cada sotto un concetto formale come suo oggetto non può essere espresso mediante una proposizione. Ciò si mostra invece nel segno di questo oggetto stesso. (Il nome mostra di designare un oggetto, il segno numerico di designare un numero ecc.)
I concetti formali non possono essere presentati, come i concetti veri e propri, attraverso una funzione.
Poiché i loro caratteri, le proprietà formali, non vengono espressi attraverso funzioni.
L'espressione della proprietà formale è un tratto di certi simboli.
Il segno dei caratteri di un concetto formale è quindi un tratto distintivo di tutti i simboli i cui significati cadono sotto il concetto.
L'espressione del concetto formale dunque è una variabile proposizionale in cui solo questo tratto caratteristico è costante.
Ogni variabile infatti presenta una forma costante che tutti i suoi valori possiedono, e che può essere considerata una proprietà formale di questi valori.
Ovunque la parola «oggetto» («cosa», «entità», ecc.) viene impiegata correttamente, essa nell'ideografia viene espressa attraverso il nome variabile.
Per esempio nella proposizione «vi sono 2 oggetti che…» attraverso «(∃x, y)…».
Ovunque viene impiegata diversamente, cioè come parola che indica un concetto vero e proprio, si originano pseudo-proposizioni insensate.
Così ad es. non si può dire «vi sono oggetti» come si dice «vi sono libri». E allo stesso modo non si può dire «vi sono 100 oggetti» o «vi sono ℵ0 oggetti». Ed è insensato parlare del numero di tutti gli oggetti.
Lo stesso vale per le parole «complesso», «fatto», «funzione», «numero», ecc.
Esse simbolizzano tutte concetti formali e vengono presentate nell'ideografia attraverso variabili, non (come pensavano Frege e Russell) attraverso funzioni o classi.
Espressioni come «1 è un numero», «vi è un solo zero» e tutte quelle di questo genere sono insensate.
(Dire «vi è un solo 1» è tanto insensato quanto lo sarebbe dire: «2 + 2 è uguale a 4 alle ore 3».)
- a R b,
- (∃x) : a R x . x R b,
- (∃x y) : a R x . x R y . y R b, …
Il termine generale di una serie formale può essere espresso solo mediante una variabile, poiché il concetto di termine di questa serie formale è un concetto formale. (Questo è stato trascurato da Frege e Russell; il modo in cui essi vogliono esprimere le proposizioni generali, come quella qui sopra, è perciò errato; esso contiene un circolo vizioso.)
Possiamo determinare il termine generale della serie formale indicando il suo primo termine e la forma generale dell'operazione che genera l'elemento successivo dalla proposizione precedente.
(Così ad es. non si può chiedere: «Vi sono proposizioni soggetto-predicato inanalizzabili?»)
Perciò nella logica non vi sono numeri speciali e perciò non vi è alcun monismo filosofico o dualismo filosofico ecc.
Si pone qui la questione di come si costituisca la connessione proposizionale.
Scrivo la proposizione elementare come funzione dei nomi nella forma: «f x», «φ (x, y)», ecc.
Oppure la indico mediante le lettere p, q, r.
«a = b» vuol dire quindi: il segno «a» può essere sostituito con il segno «b».
(Se introduco un nuovo segno «b» attraverso un'uguaglianza, stabilendo che esso debba sostituire un segno «a» già noto, allora (come Russell) scrivo l'uguaglianza – definizione – nella forma «a = b def.». La definizione è una regola segnica.)
Se per esempio conosco il significato di una parola inglese e di una tedesca che ha lo stesso significato, è impossibile che io non sappia che le due parole hanno lo stesso significato; è impossibile che io non riesca a tradurle l'una nell'altra.
Espressioni come «a = a», o derivate da queste, non sono né proposizioni elementari né segni comunque dotati di senso. (Questo si mostrerà più tardi.)
Ciascuna combinazione di stati di cose può sussistere, le altre non sussistendo.
| p | q | r |
|---|---|---|
| V | V | V |
| F | V | V |
| V | F | V |
| V | V | F |
| F | F | V |
| F | V | F |
| V | F | F |
| F | F | F |
| p | q |
|---|---|
| V | V |
| F | V |
| V | F |
| F | F |
| p |
|---|
| V |
| F |
L'assenza di questo segno significa il non-accordo.
La proposizione è l'espressione delle sue condizioni di verità.
(Frege aveva quindi perfettamente ragione quando le ha poste in apertura come spiegazione dei segni della sua ideografia. In Frege, tuttavia, è errata la spiegazione del concetto di verità: se «il vero» e «il falso» fossero davvero oggetti e fossero gli argomenti in ~p ecc., allora secondo la determinazione di Frege il senso di «~p» non sarebbe in alcun modo determinato.)
Qualcosa di analogo vale naturalmente per tutti i segni che esprimono lo stesso che gli schemi delle «V» ed «F».
«
| p | q | |
|---|---|---|
| V | V | V |
| F | V | V |
| V | F | |
| F | F | V |
»
è un segno proposizionale.
(Il «segno di affermazione» di Frege «[math]\displaystyle{ \vdash }[/math]» è logicamente del tutto privo di significato; in Frege (e Russell) esso indica solo che questi autori tengono per vere le proposizioni da esso contrassegnate. «[math]\displaystyle{ \vdash }[/math]» non appartiene quindi alla struttura della proposizione più di quanto [le appartenga] per esempio il numero della proposizione. È impossibile che una proposizione dica di se stessa che è vera.)
Se la sequenza di possibilità di verità nello schema è stabilita una volta per tutte mediante una regola di combinazione, allora l'ultima colonna da sola è già un'espressione delle condizioni di verità. Se riscriviamo questa colonna come riga, il segno proposizionale diviene:
«(VV–V)(p, q)» o, più esplicitamente, «(VVFV)(p, q)».
(Il numero dei posti nella parentesi a sinistra è determinato dal numero dei termini in quella a destra.)
I gruppi di condizioni di verità che appartengono alle possibilità di verità di un certo numero di proposizioni elementari possono essere ordinati in una serie.
Nell'un caso la proposizione è vera per tutte le possibilità di verità delle proposizioni elementari. Diciamo che le condizioni di verità sono tautologiche.
Nell'altro caso la proposizione è falsa per tutte le possibilità di verità [delle proposizioni elementari]: le condizioni di verità sono contraddittorie.
Nel primo caso chiamiamo la proposizione una tautologia, nel secondo caso una contraddizione.
La tautologia non ha condizioni di verità, poiché essa è vera senza condizioni; e la contraddizione non è vera sotto alcuna condizione.
Tautologia e contraddizione sono prive di senso.
(Come il punto dal quale si dipartono due frecce in direzione contraria l'una rispetto all'altra.)
(Ad es. non so nulla del tempo se so che piove o non piove.)
Nella tautologia le condizioni dell'accordo con il mondo – le relazioni di presentazione – si annullano a vicenda, in modo tale che essa non sta in alcuna relazione di presentazione con la realtà.
(La proposizione, l'immagine, il modello sono, in senso negativo, come un corpo fisso che limita la libertà di movimento di altri [corpi]; in senso positivo, come lo spazio limitato da una sostanza fissa in cui un corpo ha posto.)
La tautologia lascia alla realtà l'intero – infinito – spazio logico; la contraddizione riempie l'intero spazio logico e non lascia alla realtà alcun punto. Nessuna delle due perciò può determinare in alcun modo la realtà.
(Certo, possibile, impossibile: qui abbiamo l'indicazione di quella gradazione di cui abbiamo bisogno nella teoria della probabilità.)
Questo vuol dire che le proposizioni che sono vere per ogni stato di cose non possono assolutamente essere un collegamento di segni, poiché altrimenti potrebbero corrispondere a esse solo collegamenti determinati di oggetti.
(E non vi è alcun collegamento logico a cui non corrisponde alcun collegamento degli oggetti).
Tautologia e contraddizione sono i casi limite del collegamento di segni, cioè ne sono la dissoluzione.
È chiaro che nella descrizione della forma proposizionale più generale può essere descritto solo ciò che essa ha di essenziale – altrimenti infatti essa non sarebbe la più generale.
Che vi sia una forma proposizionale generale è dimostrato dall'impossibilità che vi sia una proposizione la cui forma non si sarebbe potuta prevedere (cioè costruire). La forma generale della proposizione è: le cose stanno così e così.
(La proposizione elementare è una funzione di verità di se stessa.)
Nel «+c» di Russell per esempio «c» è un indice che segnala che l'intero segno è il segno dell'addizione per i numeri cardinali. Ma questa simbolizzazione riposa su una convenzione arbitraria e si potrebbe scegliere al posto di «+c» un segno semplice; in «~p» però «p» non è un indice, ma un argomento: il senso di «~p» non può venir compreso senza che prima sia stato compreso il senso di «p». (Nel nome Giulio Cesare, «Giulio» è un indice. L'indice è sempre una parte di una descrizione dell'oggetto al cui nome lo associamo. Ad es. Il Cesare della gens Iulia.)
La confusione tra argomento e indice è alla base, se non m'inganno, della teoria del significato delle proposizioni e delle funzioni di Frege. Per Frege le proposizioni della logica erano nomi e i loro argomenti gli indici di questi nomi.
Questo è il fondamento della teoria della probabilità.
| (VVVV)(p, q) | tautologia | (Se p, allora p; e se q, allora q.) (p ⊃ p . q ⊃ q) |
| (FVVV)(p, q) | a parole: | Non sia p che q. (~(p . q)) |
| (VFVV)(p, q) | » » | Se q, allora p. (q ⊃ p) |
| (VVFV)(p, q) | » » | Se p, allora q. (p ⊃ q) |
| (VVVF)(p, q) | » » | p o q. (p ∨ q) |
| (FFVV)(p, q) | » » | Non q. ~q |
| (FVFV)(p, q) | » » | Non p. ~p |
| (FVVF)(p, q) | » » | p o q, ma non sia p che q. (p . ~q : ∨ : q . ~p) |
| (VFFV)(p, q) | » » | Se p, allora q; e se q, allora p. (p ≡ q) |
| (VFVF)(p, q) | » » | p |
| (VVFF)(p, q) | » » | q |
| (FFFV)(p, q) | » » | Né p né q. (~p . ~q) o (p | q) |
| (FFVF)(p, q) | » » | p e non q. (p . ~q) |
| (FVFF)(p, q) | » » | q e non p. (q . ~p) |
| (VFFF)(p, q) | » » | q e p. (q . p) |
| (FFFF)(p, q) | contraddizione | (p e non p; e q e non q.) (p . ~p . q . ~q) |
Chiamo fondamenti di verità di una proposizione quelle possibilità di verità degli argomenti di verità della proposizione che la rendono vera.
Due proposizioni sono contraddittorie quando non vi è alcuna proposizione dotata di senso che le afferma entrambe.
Ogni proposizione che ne contraddice un'altra la nega.
(Che si possa concludere da (x) . f x a f a mostra che la generalità è presente anche nel simbolo «(x) . f x».)
La modalità dell'inferenza va tratta soltanto dalle due proposizioni.
Solo esse stesse possono giustificare l'inferenza.
«Leggi d'inferenza», intese – come in Frege e Russell – a giustificare le inferenze, sono prive di senso, e sarebbero superflue.
La credenza nel nesso di causa è la superstizione.
(«A sa che si verifica p» è privo di senso se p è una tautologia.)
La contraddizione scompare per così dire al di fuori di tutte le proposizioni, la tautologia all'interno.
La contraddizione è il limite esterno delle proposizioni, la tautologia il loro centro privo di sostanza.
Proposizioni indipendenti l'una dall'altra (ad es. due qualsiasi proposizioni elementari) danno l'una all'altra la probabilità ½.
Se p segue da q, la proposizione «q» dà alla proposizione «p» la probabilità 1. La certezza dell'inferenza logica è un caso limite della probabilità.
(Applicazione alla tautologia e alla contraddizione.)
Quindi questo non è un dato di fatto matematico.
Se ora dico: è altrettanto probabile che io estragga una palla bianca o una nera, questo vuol dire: tutte le circostanze che mi sono note (incluse le leggi naturali assunte ipoteticamente) non danno al capitare dell'un evento più probabilità che al capitare dell'altro. Il che vuol dire che danno a ciascuno – come si comprende facilmente dalle spiegazioni date sopra – la probabilità ½.
Ciò che confermo sperimentalmente è che il capitare dei due eventi è indipendente dalle circostanze, per quanto le conosco.
Essa comporta una descrizione generale di una forma proposizionale.
Solo in mancanza della certezza usiamo la probabilità. – Se non conosciamo perfettamente un fatto, ma pur sappiamo qualcosa sulla sua forma.
(Una proposizione può essere un'immagine imperfetta di un certo stato di cose, ma è sempre una immagine perfetta.)
La proposizione della probabilità è per così dire un estratto da altre proposizioni.
Negazione, addizione logica, moltiplicazione logica ecc. ecc. sono operazioni.
(La negazione inverte il senso della proposizione.)
Essa porta a espressione la differenza delle forme.
(E ciò che è in comune tra le basi e il risultato dell'operazione sono appunto le basi.)
L'operazione in effetti non enuncia niente, solo il proprio risultato, e questo dipende dalle basi dell'operazione.
(Operazione e funzione non possono essere scambiate l'una con l'altra.)
In un senso simile parlo dell'applicazione successiva di più operazioni a un certo numero di proposizioni.
L'operazione di verità è il modo in cui dalle proposizioni elementari risulta la funzione di verità.
Secondo l'essenza dell'operazione di verità, allo stesso modo in cui dalle proposizioni elementari risulta la loro funzione di verità, dalle funzioni di verità risulta una nuova funzione di verità. Ogni operazione di verità genera, da funzioni di verità di proposizioni elementari, di nuovo una funzione di verità di proposizioni elementari, una proposizione. Il risultato di ogni operazione di verità con i risultati di operazioni di verità con proposizioni elementari è di nuovo il risultato di una operazione di verità con proposizioni elementari.
Ogni proposizione è il risultato di operazioni di verità con proposizioni elementari.
Ed è facile vedere che il segno proposizionale al n. 4.442 esprime una funzione di verità di proposizioni elementari anche se «p» e «q» sono funzioni di verità di proposizioni elementari.
La possibilità di definire i «segni primitivi» logici di Frege e di Russell l'uno con riferimento all'altro mostra già che questi non sono segni primitivi e, a maggior ragione, che essi non designano alcuna relazione.
Ed è evidente che il «⊃» che noi definiamo mediante «~» e «∨» è identico a quello mediante il quale e mediante «~» definiamo «∨»; e che questo «∨» è identico al primo. E così via.
Ma tutte le proposizioni della logica dicono lo stesso – cioè niente.
Se ad es. si può generare un'affermazione mediante una doppia negazione, allora la negazione è – in qualche senso – contenuta nell'affermazione? «~~p» nega ~p o afferma p? O fa entrambe le cose?
La proposizione «~~p» non tratta della negazione come di un oggetto; ma la possibilità della negazione è già implicata nell'affermazione.
E se vi fosse un oggetto chiamato «~», «~~p» dovrebbe dire qualcosa di diverso da «p». Poiché l'una proposizione tratterebbe appunto di ~, l'altra no.
(In breve, per l'introduzione dei segni primitivi vale, mutatis mutandis, lo stesso che Frege (nei Grundgesetze der Arithmetik) ha detto per l'introduzione di segni mediante definizioni.)
(Così nei Principia Mathematica di Russell e Whitehead compaiono definizioni e leggi fondamentali espresse a parole. Perché qui improvvisamente parole? Questo richiederebbe una giustificazione. Essa manca e deve mancare; poiché il procedimento, di fatto, non è consentito.)
Se però l'introduzione di un nuovo espediente in una certa posizione si è dimostrata necessaria, ci si deve subito chiedere: dove, allora, questo espediente dev'essere sempre applicato? Adesso bisogna spiegare la sua posizione nella logica.
O piuttosto: deve rendersi chiaro che nella logica non vi sono numeri.
Non vi sono numeri speciali.
Nella logica non può esservi niente di più generale o di più particolare.
Gli uomini hanno sempre avuto il sentimento che debba esservi un ambito di domande le cui risposte sono – a priori – unite simmetricamente, secondo una struttura chiusa e regolare.
Un ambito nel quale vale la sentenza: simplex sigillum veri.
L'uso delle parentesi con questi segni primitivi apparenti indica già che questi non sono i segni primitivi reali. E certo nessuno crederà che le parentesi abbiano un significato autonomo.
Nella proposizione elementare sono già contenute tutte le operazioni logiche. Poiché «f a» dice lo stesso che «(∃x) . f x . x = a».
Dov'è composizione sono anche argomento e funzione, e dove sono questi sono già tutte le costanti logiche.
Si potrebbe dire: l'unica costante logica è ciò che tutte le proposizioni, per loro natura, hanno in comune l'una con l'altra.
Ma questa è la forma generale della proposizione.
Un segno possibile deve anche poter designare. Tutto ciò che nella logica è possibile è anche lecito. («Socrate è identico» non vuol dire niente perché non vi è alcuna proprietà che si chiama «identico». La proposizione è insensata perché non abbiamo stabilito una determinazione arbitraria, ma non perché il simbolo sarebbe illegittimo in sé e per sé.)
In un certo senso, nella logica non possiamo sbagliarci.
Segni che realizzano uno scopo sono logicamente equivalenti; segni che non realizzano alcuno scopo sono logicamente privi di significato.
(Anche se crediamo di averlo fatto.)
Quindi «Socrate è identico» non dice niente perché alla parola «identico» non abbiamo dato alcun significato come aggettivo. Infatti, quando funziona come segno d'identità, questa parola simbolizza in modo del tutto diverso – la relazione di designazione è un'altra – così che anche il simbolo è del tutto diverso nei due casi; i due simboli hanno in comune solo il segno, per caso.
Questa operazione nega tutte le proposizioni nella parentesi di destra e io la chiamo la negazione di queste proposizioni.
(Se quindi, per esempio, ξ ha i 3 valori P, Q, R, allora [math]\displaystyle{ ( \bar{\xi} ) }[/math] = (P, Q, R).)
I valori delle variabili si stabiliscono.
Il fatto di stabilirli consiste nel descrivere le proposizioni per cui sta la variabile.
Come avvenga la descrizione dei termini dell'espressione tra parentesi è inessenziale.
Noi possiamo distinguere tre modalità della descrizione: 1. L'enumerazione diretta. In questo caso possiamo semplicemente inserire al posto della variabile i suoi valori costanti. 2. L'enunciazione di una funzione f x i cui valori sono, per tutti i valori di x, le proposizioni da descrivere. 3. L'enunciazione di una legge formale secondo la quale quelle proposizioni sono costruite. In questo caso i termini dell'espressione tra parentesi sono tutti i termini di una serie formale.
[math]\displaystyle{ N ( \bar{\xi} ) }[/math] è la negazione di tutti i valori della variabile proposizionale ξ.
Quello che in «~p» nega non è però il «~», bensì ciò che è comune a tutti i segni di questa notazione che negano p.
Cioè la regola comune secondo la quale «~p», «~~~p», «~p ∨ ~p», «~p . ~p», ecc. ecc. (ad infinitum) vengono costruite. E questo qualcosa che è comune [a tutti i segni che negano p] rispecchia la negazione.
E così si può dire: due proposizioni sono contraddittorie se non hanno niente in comune, e: ogni proposizione ha solo un negativo, poiché vi è una sola proposizione che si trova del tutto al di fuori di essa.
Si mostra così anche nella notazione di Russell che «q : p ∨ ~p» dice lo stesso che «q»; che «p ∨ ~p» non dice niente.
Ed è così, poiché il simbolo «p» e «q» presuppone esso stesso «∨», «~» ecc. Se il segno «p» in «p ∨ q» non sta per un segno complesso, allora esso, da solo, non può avere senso; allora però non possono avere senso nemmeno i segni che hanno lo stesso senso di p, come «p ∨ p», «p . p» ecc. Se tuttavia «p ∨ p» non ha senso, allora neanche «p ∨ q» può avere senso.
Ma anche qui la proposizione negativa è indirettamente costruita attraverso la positiva.
La proposizione positiva deve presupporre l'esistenza della proposizione negativa e viceversa.
Frege e Russell hanno introdotto la generalità in connessione con il prodotto logico o con la somma logica. Così [però] diveniva difficile comprendere le proposizioni (∃x) . f x e (x) . f x, contenute nelle quali vi sono entrambe le idee.
Quando le proposizioni elementari sono date, sono anche date con ciò tutte le proposizioni elementari.
Certezza, possibilità o impossibilità di uno stato di cose non sono espresse da una proposizione, ma dal fatto che un'espressione sia una tautologia, una proposizione dotata di senso o una contraddizione.
Quel precedente al quale ci si vorrebbe sempre richiamare deve trovarsi già nel simbolo stesso.
Per venire quindi al modo abituale di espressione, dopo un'espressione «vi è uno e un solo x che…» si deve dire semplicemente: e questo x è a.
Segno di riconoscimento del simbolo composito: esso ha qualcosa in comune con altri simboli.
(Se una proposizione elementare è vera, con ciò è comunque vera una proposizione elementare in più.)
Certo si potrebbe allora dire che proprio solo a ha questa relazione con a, ma per esprimere ciò avremmo bisogno appunto del segno di uguaglianza.
(Quindi, in luogo del russelliano «(∃x, y) . f x, y)»: «(∃x, y) . f (x, y) . ∨ . (∃x) . f x, x)».)
E la proposizione «un solo x soddisfa f ( )» suona: «(∃x) . f x : ~(∃x, y) . f x . f y».
Tutti i problemi che porta con sé l'«axiom of infinity» di Russell possono essere risolti già qui.
Ciò che l'axiom of infinity intende dire si esprimerebbe nel linguaggio con l'esservi infiniti nomi con significati diversi.
(A questo proposito è già nonsenso premettere l'ipotesi p ⊃ p a una proposizione per assicurarle argomenti della forma giusta, poiché l'ipotesi, per un argomento che non sia una proposizione, diventa non falsa, ma insensata, e poiché la proposizione stessa con il genere sbagliato di argomenti diventa insensata, cosicché essa stessa garantisce contro gli argomenti illegittimi tanto bene, o tanto male, quanto l'ipotesi priva di senso aggiunta a questo scopo.)
Soprattutto in certe forme proposizionali della psicologia, come «A crede che si verifichi p», o «A pensa p», ecc.
Qui infatti, guardando superficialmente, sembra che la proposizione p stia in una sorta di relazione con un oggetto A.
(E nella moderna teoria della conoscenza (Russell, Moore, ecc.) queste proposizioni sono state in effetti intese così.)
Un'anima composita non sarebbe infatti più un'anima.
Questo spiega bene anche come la figura

possa essere vista come cubo in due modi; e [spiega bene anche] tutti i fenomeni simili. Poiché vediamo davvero due fatti diversi.
(Se bado prima ai vertici a e solo di sfuggita ai b, gli a appaiono davanti; e viceversa.)
La proposizione elementare consiste di nomi. Poiché tuttavia non possiamo indicare il numero dei nomi con significato diverso, non possiamo indicare neanche la composizione della proposizione elementare.
(E se ci ritroviamo nella situazione di dover rispondere a una tale questione guardando al mondo, ciò mostra che siamo su una strada radicalmente sbagliata.)
La logica è prima di ogni esperienza – che qualcosa è così. Essa è prima del come, non prima del cosa.
(Non vi è un numero speciale.)
Ha un senso chiedere cosa deve essere affinché qualcosa possa verificarsi?
Dove però si possono formare simboli secondo un sistema, lì ciò che è logicamente importante è questo sistema, e non i singoli simboli.
E come sarebbe possibile che io nella logica avessi a che fare con forme che posso inventare? Al contrario devo avere a che fare con ciò che mi rende possibile inventarle.
Le gerarchie sono e devono essere indipendenti dalla realtà.
(I nostri problemi non sono astratti, bensì forse i più concreti che vi siano.)
Ciò che si trova nell'applicazione non può essere anticipato dalla logica.
Questo è chiaro: la logica non può collidere con la sua applicazione.
Ma la logica e la sua applicazione devono toccarsi.
Quindi la logica e la sua applicazione non possono sovrapporsi l'una all'altra.
Dunque nella logica non possiamo dire: nel mondo vi è questo e questo, quello no.
Apparentemente, infatti, ciò presupporrebbe che noi escludessimo certe possibilità, e questo non può verificarsi, poiché altrimenti la logica dovrebbe uscire dai limiti del mondo; se essa cioè potesse considerare questi limiti anche dall'altro lato.
Non possiamo pensare ciò che non possiamo pensare; quindi non possiamo nemmeno dire ciò che non possiamo pensare.
Ciò, infatti, che il solipsismo intende è del tutto corretto; solo non può essere detto, ma si mostra.
Che il mondo è il mio mondo si mostra nel significare i limiti del linguaggio (del solo linguaggio che io comprendo) i limiti del mio mondo.
E niente nel campo visivo permette di concludere che esso viene visto da un occhio.

Tutto ciò che vediamo potrebbe anche essere altrimenti.
Tutto ciò che possiamo affatto descrivere potrebbe anche essere altrimenti.
Non vi è alcun ordine a priori delle cose.
L'Io entra nella filosofia con questo: che «il mondo è il mio mondo».
L'Io filosofico non è l'uomo, non è il corpo umano o l'anima umana di cui tratta la psicologia, bensì il soggetto metafisico, non una parte del mondo, ma il suo limite.
Questa è la forma generale della proposizione.
Questa è la forma più generale del passaggio da una proposizione a un'altra.
[math]\displaystyle{ x = \Omega^{0 \prime} x \text{ Def.} }[/math] e
[math]\displaystyle{ \Omega^{\prime} \Omega^{ \nu \prime} x = \Omega^{ \nu + 1 \prime} x \text{ Def.} }[/math]
Secondo questa regola segnica quindi scriviamo la serie [math]\displaystyle{ x, \Omega ' x, \Omega ' \Omega ' x, \Omega ' \Omega ' \Omega ' x, ..... }[/math]
così: [math]\displaystyle{ \Omega^{0 \prime} x, \Omega^{0+1 \prime} x, \Omega^{0 + 1 + 1 \prime} x, \Omega^{0 + 1 + 1 + 1 \prime} x, ..... }[/math]
Dunque, invece che «[math]\displaystyle{ [ x, \xi, \Omega ' \xi ] }[/math]», scrivo:
«[math]\displaystyle{ [ \Omega^{0 \prime} x, \Omega^{ \nu \prime} x, \Omega^{ \nu + 1 \prime} x ] }[/math]».
E definisco:
[math]\displaystyle{ 0 + 1 = 1 \text{ Def.} }[/math]
[math]\displaystyle{ 0 + 1 + 1 = 2 \text{ Def.} }[/math]
[math]\displaystyle{ 0 + 1 + 1 + 1 = 3 \text{ Def.} }[/math]
(e così di seguito).
Il concetto di numero è il numero variabile.
E il concetto dell'uguaglianza di numeri è la forma generale di tutte le particolari uguaglianze di numeri.
Questo è connesso col fatto che la generalità di cui abbiamo bisogno nella matematica non è la generalità casuale.
Che le loro parti costitutive così legate diano una tautologia caratterizza la logica delle loro parti costitutive.
Affinché proposizioni legate in modo determinato diano una tautologia, esse devono avere determinate proprietà della struttura. Che esse così collegate diano una tautologia mostra quindi che esse possiedono queste proprietà della struttura.

ed esprimo la correlazione tra la verità o falsità dell'intera proposizione e le combinazioni di verità degli argomenti di verità mediante linee nel modo seguente:

Questo segno presenterebbe dunque ad es. la proposizione p ⊃ q. Ora voglio ad es. controllare se la proposizione ~(p . ~p) (principio di non contraddizione) è una tautologia. La forma «~ ξ» viene scritta, nella nostra notazione,

la forma «ξ . η» così:

Perciò la proposizione ~(p . ~q) ha questo aspetto:

Se inseriamo qui «p» al posto di «q» e controlliamo il collegamento delle V e F più esterne con le più interne, risulta che la verità dell'intera proposizione è associata a tutte le combinazioni di verità del suo argomento, la sua falsità a nessuna delle combinazioni di verità.
Questo metodo potrebbe anche essere chiamato un metodo di annullamento. Nella proposizione logica le proposizioni vengono portate all'equilibrio reciproco e lo stato di equilibrio mostra allora come logicamente queste proposizioni devono essere costruite.
Vediamo ad es. che «q» segue da «p ⊃ q . p» da queste due proposizioni stesse, ma possiamo mostrarlo anche così: collegandole in «p ⊃ q . p :⊃:q» e mostrando ora che questa è una tautologia.
(Non vi è, come riteneva Russell, una legge della contraddizione propria di ogni «type»: una sola basta, poiché non viene applicata a se stessa.)
Essere generale infatti vuol dire solo: valere casualmente per tutte le cose. Una proposizione non generalizzata può essere tautologica tanto quanto una generalizzata.
E questo facciamo quando «dimostriamo» una proposizione logica. Poiché, senza occuparci di un senso e di un significato, formiamo la proposizione logica a partire da altre secondo semplici regole segniche.
La dimostrazione delle proposizioni logiche consiste nel fatto che le facciamo risultare da altre proposizioni logiche attraverso l'applicazione successiva di certe operazioni che, a partire dalle prime, generano sempre di nuovo tautologie. (In effetti da una tautologia seguono solo tautologie.)
Naturalmente questo modo di mostrare che le sue proposizioni sono tautologie è perfettamente inessenziale alla logica, non fosse che perché le proposizioni da cui parte la dimostrazione devono mostrare, senza alcuna dimostrazione, di essere tautologie.
Ogni proposizione della logica è un modus ponens presentato in segni. (E non si può esprimere il modus ponens con una proposizione.)
Ogni tautologia mostra da sé di essere una tautologia.
La logica è trascendentale.
Le proposizioni della matematica sono equazioni e quindi pseudo-proposizioni.
(Nella filosofia la domanda «per cosa utilizziamo propriamente quella parola, quella proposizione?» conduce sempre di nuovo a risultati di grande valore.)
Che esse possano essere sostituite l'una con l'altra caratterizza la forma logica di due proposizioni.
È una proprietà di «1 + 1 + 1 + 1» che essa possa essere concepita come «(1 + 1) + (1 + 1)».
L'essenziale nell'equazione è però che essa non è necessaria per mostrare che le due espressioni collegate dal segno di uguaglianza hanno lo stesso significato, poiché questo può essere visto dalle due espressioni stesse.
Le equazioni infatti esprimono la sostituibilità di due espressioni e noi procediamo da un certo novero di equazioni a equazioni nuove sostituendo espressioni con altre [espressioni] in accordo con le equazioni.
[math]\displaystyle{ ( \Omega^{ \nu} )^{\mu \prime} x = \Omega^{ \nu \times \mu \prime} x \text{ Def.} }[/math]
[math]\displaystyle{ \Omega^{2 \times 2 \prime} x = (\Omega^2 )^{2 \prime} x = ( \Omega^2 )^{1+1 \prime} x = \Omega^{2 \prime} \Omega^{2 \prime} x = \Omega^{1 + 1 \prime} \Omega^{1 + 1 \prime} x }[/math]
[math]\displaystyle{ (\Omega ' \Omega)^{\prime} (\Omega ' \Omega)^{\prime} x = \Omega ' \Omega ' \Omega ' \Omega ' x = \Omega^{1 + 1 + 1 + 1 \prime} x = \Omega^{4 \prime} x }[/math]
(Come con il sistema dei numeri [si deve poter scrivere] ogni numero che si voglia, così con il sistema della meccanica si deve poter scrivere ogni proposizione della fisica che si voglia.)
Così, neanche il fatto che il mondo possa essere descritto mediante la meccanica newtoniana asserisce alcunché su di esso; asserisce però qualcosa il fatto che esso possa essere descritto così dalla meccanica newtoniana come appunto può esserlo. E dice qualcosa sul mondo anche il fatto che esso possa essere descritto più semplicemente mediante una certa meccanica che mediante un'altra.
Leggi come il principio di ragione ecc. trattano della rete, non di ciò che la rete descrive.
Ma ciò non può certo essere detto: ciò si mostra.
Perciò la descrizione del passare del tempo è possibile solo se ci appoggiamo a un altro processo.
Per lo spazio vale qualcosa di perfettamente analogo. Dove ad es. si dice che non può accadere nessuno di due eventi (che si escludono a vicenda) perché non esiste una causa per cui dovrebbe accadere l'uno piuttosto che l'altro, là si tratta in realtà di questo: che non si può affatto descrivere uno dei due eventi se non esiste una qualche asimmetria. E se una tale asimmetria esiste, allora possiamo concepirla come causa dell'accadere dell'uno e del non-accadere dell'altro.

La mano destra e sinistra sono di fatto perfettamente congruenti. E che non si possa sovrapporle non ha con ciò niente a che fare.
Si potrebbe indossare il guanto destro sulla mano sinistra se si potesse rivoltarlo nello spazio quadridimensionale.
Ed entrambi[, moderni e antichi,] hanno al contempo ragione e torto. Gli antichi sono però più chiari in quanto ammettono un chiaro termine [alle spiegazioni], mentre nel nuovo sistema deve sembrare che tutto sia spiegato.
Pensiamo a come questa contraddizione si presenta nella fisica, cioè all'incirca così: una particella non può nello stesso momento avere due velocità; il che vuol dire che essa non può essere al medesimo tempo in due punti diversi; il che vuol dire che particelle che sono in punti diversi in un unico momento non possono essere identiche.
(È chiaro che il prodotto logico di due proposizioni elementari non può essere né una tautologia né una contraddizione. L'asserzione che nello stesso momento un punto del campo visivo ha due colori diversi è una contraddizione.)
Se vi è un valore che ha valore, esso deve trovarsi al di fuori di tutto l'accadere ed essere-così. Poiché tutto l'accadere e l'essere-così è casuale.
Ciò che lo rende non-casuale non può trovarsi nel mondo, poiché altrimenti sarebbe di nuovo casuale.
Deve trovarsi al di fuori del mondo.
Le proposizioni non possono esprimere niente di ciò che è più elevato.
L'etica è trascendentale.
(Etica ed estetica sono uno.)
(Ed è chiaro anche che il premio dev'essere qualcosa di gradevole, la punizione qualcosa di sgradevole.)
E la volontà come fenomeno interessa solo la psicologia.
In breve, il mondo deve allora divenire per mezzo del volere un mondo del tutto diverso. Deve, per così dire, ridursi o crescere come intero.
Il mondo di colui che è felice è un mondo diverso rispetto a quello di colui che è infelice.
Se per eternità non si intende durata temporale infinita, ma intemporalità, allora vive in eterno colui che vive nel presente.
La nostra vita è tanto priva di fine quanto il nostro campo visivo è privo di limite.
(Quelli che qui vanno risolti non sono problemi della scienza naturale.)
Il sentimento del mondo come tutto limitato è il sentimento mistico.
L'enigma non vi è.
Se è possibile porre una data domanda, essa può anche avere risposta.
Il dubbio può sussistere solo dove sussiste una domanda; una domanda solo dove sussiste una risposta e questa solo dove qualcosa può essere detto.
(Non è questa la ragione per cui coloro a cui il senso della vita divenne chiaro dopo lungo dubitare poi non seppero dire in cosa questo senso consistesse?)
Egli deve oltrepassare queste proposizioni, e allora vede il mondo correttamente.
- ↑ Le cifre decimali con cui sono numerate le singole proposizioni indicano il peso logico delle proposizioni, l'enfasi a loro attribuita nella mia presentazione. Le proposizioni n.1, n.2, n.3 ecc. sono commenti alla proposizione numero n; le proposizioni n.m1, n.m2, ecc. commenti alla proposizione numero n.m; e così via.