Osservazioni sul “Ramo d’oro” di Frazer: Difference between revisions

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<span id="parte-i">'''Parte I'''</span>
<span id="parte-i">Parte I</span>


[Ritengo ora che sarebbe corretto cominciare un <il mio> libro <s>sulle</s> con alcune osservazioni sulla metafisica come una specie di magia.


In ciò, tuttavia, non posso né parlare in favore della magia né farmene beffe.
Della magia dovrebbe essere conservata la profondità. – Qui, anzi, la neutralizzazione <s>di ogni</s> della magia possiede il carattere della magia stessa.
'''(ms 110, p. 177)'''
Quando infatti io ho cominciato parlando del “mondo” (e non di questo albero o tavolo) che cos’altro volevo se non esorcizzare nelle mie parole qualcosa di più elevato?]
'''(ms 110, p. 178)'''
Bisogna cominciare dall’errore e portarlo alla verità.
Cioè bisogna portare alla luce la fonte dell’errore, altrimenti non serve a nulla ascoltare la verità. Essa non può fare breccia se qualcos’altro occupa il suo posto.
Per convincere qualcuno della verità non è sufficiente constatare la verità; è bensì necessario scovare la ''via'' dall’errore alla verità.
Mi devo sempre reimmergere nell’acqua del dubbio.
Il modo in cui Frazer presenta le visioni magiche e religiose dell’essere umano è insoddisfacente: fa apparire tali visioni come ''errori''.
Allora era in errore anche Agostino, che in ogni pagina delle ''Confessioni'' invoca Dio?
Ma – si può dire – se egli non era in errore, lo era il santo buddhista – o chiunque altro – la cui religione porta a espressione visioni del tutto diverse. Invece ''nessuno'' di loro era in errore. Eccetto laddove enunciava una teoria.
L’idea di voler spiegare un’usanza – come ad esempio quella dell’uccisione del re-sacerdote – mi sembra già errata. Frazer non fa che renderla plausibile a gente che pensa in modo del tutto simile a lui. È assai degno di nota il fatto che, alla fin fine, tutte queste usanze vengono per così dire dipinte come sciocchezze.
Non sarà tuttavia mai plausibile che gli esseri umani facciano //tutto questo// per pura stupidità.
Quando per esempio egli ci spiega che il re dovrebbe essere ucciso nel fiore degli anni poiché altrimenti, secondo le visioni dei selvaggi, la sua anima non verrebbe conservata intatta, in tal caso si può soltanto dire: laddove tale usanza e questa visione coincidono, lì non è l’usanza a scaturire dalla visione, ma sono appunto presenti entrambe.
Può ben darsi il caso, e oggigiorno accade spesso, che qualcuno dismetta un’usanza dopo aver riconosciuto un errore sul quale quest’usanza si reggeva. Ma questo fatto <s>usanza</s> si verifica per l’appunto solo laddove è sufficiente portare l’attenzione di costoro sul loro errore al fine di farli desistere dal loro modo di fare. Però le cose non stanno così con le pratiche religiose di un popolo e ''in merito a ciò'' non si ha a che fare proprio con ''alcun'' errore.
Frazer dice che è assai difficile scoprire l’errore nella magia – e perciò essa si è conservata tanto a lungo – perché ad esempio un rituale per evocare la pioggia prima o poi si mostra certamente efficace. Ma allora è appunto strano che non ci si accorga più rapidamente del fatto che prima o poi piove in ogni caso.
Io ritengo che l’intervento di una spiegazione sia già di per sé un errore, poiché si deve soltanto ricostruire in maniera corretta ciò che si ''sa'', e non aggiungervi niente, così che la soddisfazione che si mira a ottenere per mezzo della spiegazione risulti di per se stessa.
E qui ciò che soddisfa non è affatto la spiegazione. Quando Frazer inizia riferendoci la storia del re dei boschi di Nemi, lo fa con un tono che mostra che egli sente e vuole farci sentire che qui accade qualcosa di strano e spaventoso. Tuttavia, alla domanda “perché questo accade?”, si risponde propriamente in questo modo: poiché è spaventoso. Questo significa che proprio ciò che in questa dinamica ci sembra spaventoso, gigantesco, terrificante, tragico, etc., tutto tranne che triviale e irrilevante, proprio ''ciò'' ha portato in vita tale dinamica.
Qui è possibile solo ''descrivere'' e affermare: la vita umana è così.
In confronto all’impressione che ci suscita ciò che viene descritto, la sua spiegazione è troppo precaria.
Ogni spiegazione è un’ipotesi.
Tuttavia, chi ad esempio è reso inquieto dall’amore, non troverà grande aiuto una spiegazione ipotetica. – Essa non lo quieterà.
L’affollarsi dei pensieri che non riescono a emergere, poiché vogliono tutti farsi avanti e perciò si inceppano all’uscita.
Se si associa quel racconto del re-sacerdote di Nemi all’espressione “la maestà della morte”, si vede che esse sono un tutt’uno.
La vita del re-sacerdote rappresenta ciò che si intende con quell’espressione.  
Chi è rapito dalla maestà della morte può portarlo a espressione per mezzo di una vita siffatta. – Neanche questa naturalmente è una spiegazione, ma sostituisce soltanto un simbolo con un altro. Oppure: una cerimonia con un’altra.
Un simbolo religioso non ha alcuna ''opinione'' a suo fondamento.
E solo all’opinione corrisponde l’errore.
Si vorrebbe dire: questa e quest’altra dinamica hanno avuto luogo; ridi, se puoi.
'''(ts 211, p. 315)'''
Gli atti religiosi, o la vita religiosa del re-sacerdote, non è di un genere diverso rispetto a ogni vero e proprio atto religioso di oggi, ad esempio una confessione dei peccati. Anche questo può essere “''spiegato''” e non può essere spiegato.
Dare fuoco in effigie. Baciare l’immagine della persona amata. Questo gesto ''naturalmente non'' si basa su una credenza in un effetto determinato sull’oggetto che l’immagine rappresenta. Esso mira piuttosto a una soddisfazione e per giunta la ottiene. O meglio, non vi ''mira'' affatto; noi agiamo appunto così e allora ci sentiamo soddisfatti.
Si potrebbe anche baciare il nome della persona amata, e qui la sostituzione per mezzo del nome sarebbe chiara.
Il selvaggio che apparentemente per uccidere il proprio nemico trafigge la sua immagine costruisce per davvero la sua capanna in legno e intaglia la sua freccia con perizia e non in effigie.
L’idea che si possa richiamare a sé un oggetto inanimato con un gesto, così come si fa per un uomo. Qui il principio è quello della personificazione.
E la magia si basa sempre sull’idea del simbolismo e del linguaggio.
La rappresentazione di un desiderio è, ''eo ipso'', rappresentazione del suo compimento.
La magia però porta un desiderio alla sua rappresentazione, lo esterna. '''(TS 211, p. 316)'''
Il battesimo come lavaggio. – Sorge un errore solo quando la magia viene approcciata scientificamente.
Se l’adozione di un bambino avviene in modo tale per cui la madre lo estrae dalle proprie vesti, è ben folle credere che qui si commetta un ''errore'' e che lei sia convinta di aver partorito il bambino.
Dalle operazioni magiche sono da distinguere quelle che si basano su una rappresentazione falsa, troppo semplicistica, delle cose e delle dinamiche. Se ad esempio si dice che la malattia si sposta da una parte del corpo alle altre, o si inventano artifici per deviarla come fosse un liquido o uno stato calorico. Ci si fa allora un’immagine falsa, il che significa qui inappropriata.  
Che angustia della vita dell’anima in Frazer! Da ciò: quale impossibilità di concepire una vita diversa da quella inglese della sua epoca!
Frazer non riesce a immaginarsi un sacerdote che non sia fondamentalmente un parroco inglese a noi contemporaneo, con tutta la sua stupidità e mollezza.
Perché a una persona non dovrebbe poter essere sacro il proprio nome? Da un lato è davvero lo strumento più importante che gli venga concesso, dall’altro è come un gioiello con cui viene cinto sin dalla nascita.
Si vede fino a che punto siano ingannevoli le spiegazioni di Frazer – credo – dal fatto che sarebbe possibile inventare assai facilmente per conto proprio dei costumi primitivi e che sarebbe un caso se essi non venissero realmente scoperti da qualche parte. Ciò significa che il principio secondo cui tali costumi sono regolati è ben più generale di quanto Frazer non esplichi e che esso è presente all’interno della nostra stessa anima, così che potremmo concepire da noi tutte le possibilità. – Possiamo ben immaginare ad esempio che il re di una tribù sia tenuto al riparo dalla vista di chiunque, ma altrettanto bene che chiunque
'''(ts 211, p. 317)'''
faccia parte della tribù debba vederlo. Allora non si lascerà certamente che quest’ultima cosa avvenga in maniera più o meno casuale, bensì il re verrà ''mostrato'' al popolo. Forse non verrà consentito a nessuno di toccarlo, forse invece tutti ''dovranno'' toccarlo. Pensiamo che dopo la morte di Schubert, il fratello fece a pezzetti le sue partiture e ne diede alcune battute ai suoi studenti più amati. Questo atto, come segno di pietà, ci risulta ''altrettanto'' comprensibile quanto quello di custodire intatti gli spartiti e non lasciare che nessuno vi abbia accesso. Se il fratello di Schubert avesse bruciato le partiture, anche questo avrebbe potuto essere concepito come segno di pietà.
Il cerimoniale (caldo o freddo), in contrapposizione alla casualità (tiepida), caratterizza la pietà.
Sì, le spiegazioni di Frazer non sarebbero affatto spiegazioni se non facessero appello alla fin fine a un’inclinazione in noi stessi.
Il mangiare e il bere sono collegati a un rischio non soltanto per i selvaggi, ma anche per noi; niente è più naturale che il volersi proteggere da queste cose: e noi stessi potremmo inventare talune misure precauzionali. – Ma secondo quale principio lo facciamo? //Per quale principio le escogitiamo?// Ovviamente questo: tutti i rischi vengono ridotti formalmente ad alcuni assai semplici che sono senz’altro visibili per chiunque. Dunque secondo lo stesso principio secondo il quale le persone incolte fra noi dicono che la malattia si sposta dalla testa al petto etc. etc. La personificazione giocherà naturalmente un ruolo importante in queste immagini semplicistiche, poiché ci è noto //è noto a tutti//, che gli uomini (dunque gli spiriti) possono diventare pericolose per gli uomini.
Che l’ombra di un uomo, che vediamo come una figura umana, o la sua immagine riflessa nello specchio, che la pioggia, il temporale, le fasi lunari, i cambiamenti stagionali, la somiglianza e dissomiglianza degli animali fra di loro e rispetto all’uomo, le raffigurazioni della morte, della nascita e della vita sessuale '''(TS 211, p. 318)''', in breve che tutto ciò che l’uomo percepisce attorno a sé ogni giorno dopo giorno, in modi molteplici fra loro concatenati, emergerà //giocherà un ruolo// nel suo pensiero (nella sua filosofia) e nelle sue usanze va da sé, ovvero è proprio ciò che noi realmente conosciamo e che risulta interessante.
Come avrebbe potuto il fuoco, o la somiglianza del fuoco con il sole, non suscitare un’impressione sullo spirito umano al suo destarsi? Ma magari non “perché non se lo riesce a spiegare” (sciocca superstizione della nostra epoca) – per mezzo di una “spiegazione”, infatti, diventa forse meno impressionante?
La magia che si trova in ''Alice nel paese delle meraviglie'' quando per asciugarsi si legge la cosa più arida che vi sia.
Nel caso della magica guarigione di una malattia, le si ''significa'' ch’essa dovrebbe allontanarsi dal paziente.
Descrivendo un curativo magico siffatto si vorrebbe sempre dire: se la malattia non comprende ''questo'', allora non so ''come'' di debba dirglielo.
Niente è tanto difficile quanto la correttezza al cospetto dei fatti.
Non intendo dire che il ''fuoco'' debba puntualmente suscitare un’impressione a chiunque. Il fuoco non più di qualunque altro fenomeno, e un certo fenomeno per una persona, un altro fenomeno per un’altra. Nessun fenomeno infatti è in sé particolarmente misterioso, ma tutti possono diventarlo ai nostri occhi, e questa è per l’appunto la caratteristica dello spirito umano al suo destarsi: che un fenomeno gli possa diventare significativo. Si potrebbe quasi affermare che l’uomo sia un animale cerimoniale. Il che chiaramente è in parte falso, in parte insensato, ma contiene anche qualcosa di esatto.
Il che significa che si potrebbe cominciare un libro di antropologia in questo modo: se si osservano la vita e i comportamenti dell’uomo su questa terra, si nota che essi, fatte salve le azioni che si potrebbero definire animalesche, come procacciarsi il cibo, etc. etc., sviluppano anche certe azioni che recano con sé un carattere //loro proprio// del tutto differente
'''(ts 211, p. 319)'''
e che si potrebbero chiamare azioni rituali.
Tuttavia, è insensato arrivare ora al punto di affermare che la caratteristica di ''queste'' azioni sia che esse scaturiscono da visioni fallaci della fisica degli oggetti. (Così fa Frazer quando dice che la magia è essenzialmente una fisica erronea, oppure una medicina //farmacopea// erronea, una tecnica erronea, etc.).
Anzi, la caratteristica dell’attitudine rituale non è affatto una veduta, un’opinione, che sia corretta o scorretta, sebbene in sé un’opinione – una credenza – possa anche essere rituale, possa appartenere a un rito.
Quando si giudica scontato che l’uomo si diverta nella sua fantasia, si tenga a mente che tale fantasia non è come un’immagine dipinta o un modello plastico, bensì una raffigurazione complessa dalle componenti eterogenee: parole e immagini.
Si arriva così a non mettere più in contrapposizione l’operato delle parole scritte e orali con l’operato delle “rappresentazioni immaginifiche” degli eventi.
Dobbiamo arare tutto il linguaggio.
Frazer: «... That these observances are dictated by fear of the ghost of the slain seems certain; ...[1]». Ma perché allora Frazer si serve della parola «ghost»? Dunque comprende perfettamente questa superstizione, dal momento che ce la spiega con un termine superstizioso di uso corrente. O meglio, sulla base di questo egli avrebbe potuto vedere che anche in noi qualcosa parla in favore di quel modo di agire dei selvaggi. – Se io, che non credo che vi siano da qualche parte essenze umane-sovrumane che si possono chiamare dèi, se io dico: “Ho paura della vendetta degli dèi”, ciò mostra che con ciò (posso) intendere qualcosa, o posso dare espressione a un sentimento che non è necessariamente collegato a quella credenza.
'''(ts 211, p. 319)'''
Frazer sarebbe capace di credere che un selvaggio muoia per equivoco. Nei libri di scuola per bambini sta scritto che Attila intraprese le sue grandi spedizioni militari poiché riteneva di possedere la spada del dio del tuono.
Frazer è molto più selvaggio della maggior parte dei suoi selvaggi, poiché essi non sono tanto distanti dalla comprensione di una questione spirituale quanto un inglese del XX secolo. Le ''sue'' spiegazioni dei costumi primitivi sono molto più rozze del senso di questi stessi costumi.
La spiegazione storica, la spiegazione come ipotesi di sviluppo è solo ''uno'' dei modi in cui è possibile riunire i dati – sintetizzarli. È altrettanto possibile vedere i dati nei loro rapporti reciproci e riunirli in un’immagine generale, senza che questa assuma la forma di un’ipotesi sullo sviluppo temporale.
Identificazione delle proprie divinità con quelle di altri popoli. Ci si convince che i nomi possiedano lo stesso significato.
Riguardo al modo in cui Frazer colleziona i fatti si vorrebbe dire: «E così il coro allude a una legge segreta». Ora, ''posso'' esprimere //presentare// questa legge, questa idea, tramite un’ipotesi di sviluppo, oppure anche in analogia allo schema di una pianta, attraverso lo schema di una cerimonia religiosa, o piuttosto mediante il raggruppamento del semplice materiale relativo ai fatti, in una rappresentazione “''panoramica''”.
'''(ts 211, p. 321)'''
Il concetto di rappresentazione panoramica ha per noi un significato fondamentale. Esso designa la nostra forma di rappresentazione, il modo in cui '''(TS 211, p. 281)''' vediamo le cose. (Una specie di “visione del mondo” quale apparentemente risulta tipica della nostra epoca. Spengler.)
Tale rappresentazione panoramica veicola quel comprendere //quella comprensione// che consiste proprio nel fatto che noi “vediamo le connessioni”. Da ciò l’importanza di trovare ''elementi di congiunzione''.
'''(ts 211, p. 282)'''
Tuttavia, in questo caso un ipotetico elemento di congiunzione non dovrebbe far altro che indirizzare l’attenzione sulla somiglianza, sulla connessione tra i ''fatti''. Come se qualcuno volesse illustrare //illustrasse// il rapporto interno tra la forma circolare ed ellittica trasformando gradualmente un’ellissi in un cerchio; ''ma non per sostenere che una certa ellissi di fatto, storicamente, sia derivata da un cerchio'' (ipotesi di sviluppo), ma soltanto aguzzare la nostra vista su una connessione formale.
'''(ts 211, p. 322)'''
Vorrei dire: nulla mostra la nostra parentela con quei selvaggi meglio del fatto che Frazer abbia a portata di mano termini per lui e per noi tanto comuni, quali ''ghost'''[2]''''' o ''shade''[3], per descrivere le vedute di questi popoli.
'''(ts 211, p. 250)'''
(Sarebbe certo ben diverso se egli riferisse che i selvaggi si immaginavano //immaginano// che la testa gli caschi a terra dopo aver ucciso un nemico. In questo caso, ''la nostra descrizione'' non avrebbe in sé nulla di superstizioso o magico.)
Anzi, questa particolarità ‹non›[4] si ricollega soltanto alle espressioni ''ghost'', //e// ''shade'', e ci si sofferma troppo poco sul fatto che noi includiamo il termine “anima”, “spirito” (''spirit'') nel nostro proprio vocabolario colto. Al confronto, il fatto che non riteniamo che la nostra anima mangi e beva è un nonnulla.
Nel nostro linguaggio si trova sedimentata un’intera mitologia.  
Esorcizzare o uccidere la morte; ma d’altro canto essa viene raffigurata come scheletro, perciò in un certo senso lei stessa morta. «''As dead as death''».[5] “Nulla è tanto morto quanto la morte, niente tanto bello quanto la stessa bellezza”. L’immagine a partire dalla quale la realtà viene qui pensata è quella secondo cui la bellezza, la morte etc. è la sostanza pura (concentrata), mentre in un oggetto bello è presente come mescolanza. //sono le sostanze pure (concentrate), mentre in un oggetto bello sono presenti come mescolanza.// – Non riconosco qui le mie proprie osservazioni su “oggetto” e “complesso”?
'''(ts 211, p. 250)'''
Nei riti antichi abbiamo l’impiego di un linguaggio gestuale oltremodo sviluppato.
E quando leggo Frazer, a ogni piè sospinto mi vien voglia di dir così: anche nel nostro linguaggio verbale abbiamo davanti agli occhi tutti questi processi, questi mutamenti del significato. Quando ciò che si nasconde nell’ultimo covone viene chiamato “lupo del grano”, ma viene chiamato così anche questo stesso covone, e anche l’uomo che lo lega, riconosciamo qui una dinamica linguistica che ci è ben familiare.[6]
'''(ts 211, p. 281)'''
Io potrei immaginare di aver avuto facoltà di scegliere un’entità della terra come dimora della mia anima e che il mio spirito abbia eletto questa modesta creazione (non-attraente) come sua sede e punto d’osservazione. Ad esempio perché gli risultava odiosa la straordinarietà di una sede bella. A tal fine lo spirito doveva certamente esser molto sicuro di sé.
'''(ms 110, p. 253)'''
Si potrebbe dire: “In prospettiva si può trovare un fascino”, ma questo sarebbe sbagliato. Corretto è dire che ciascuna prospettiva risulta significativa per chi la vede significativa (il che però non vuol dire vederla diversa da com’è). Già, in questo senso, ogni prospettiva è ugualmente significativa.
Ed è certo anche importante che io debba far mio anche il disprezzo degli altri nei miei confronti «↓ verso di me», quale componente essenziale e significativa del mondo visto a partire dalla mia posizione.
'''(ms 110, p. 254)'''
Se a una persona fosse data la possibilità di scegliere di nascere su un albero di un bosco //di farsi partorire su un albero di un bosco//, ci sarebbero quelli che vorrebbero aggiudicarsi l’albero più bello o più alto, altri che opterebbero per il più basso, altri che vorrebbero sceglierne uno nella media o al di sotto della media degli alberi, e questo, voglio dire, non per spirito filisteo, ma proprio per lo stesso motivo, o il genere di motivo, per cui gli altri hanno scelto gli alberi più alti. Il fatto che la percezione che abbiamo della nostra vita sia paragonabile a quella di una creatura che ha potuto scegliersi il proprio posto nel mondo è, credo, il fondamento del mito – o della credenza – che ci siamo scelti il nostro corpo prima della nascita.
'''(ms 110, p. 255)'''
Io credo che la caratteristica dell’uomo primitivo sia che egli non ha a che fare con ''opinioni'' (Frazer la pensa diversamente). Leggo, tra tanti esempi simili, di un re della pioggia in Africa al quale la gente chiede di far piovere ''quando arriva la stagione delle piogge''. Ma questo vuol dire allora che essi non sono propriamente dell’opinione che egli sia in grado di far piovere, altrimenti lo farebbe nel periodo annuale di siccità, nel quale la terra diventa «a parched and arid desert».[7] Se infatti si suppone che quella gente abbia un tempo stabilito questa funzione del re della pioggia per stupidità, è però perfettamente chiaro che avevano già fatto esperienza del fatto che in marzo comincia a piovere e avrebbero di conseguenza fatto sì che il re della pioggia entrasse in azione per la parte restante dell’anno. Oppure ancora: gli esseri umani celebrano ritualmente l’avvento del giorno a ridosso del mattino, quando il sole sta per sorgere, e non durante la notte, quando invece essi si limitano ad accendere le lampade.
[Quando sono arrabbiato per qualcosa, picchio talvolta col bastone sulla terra o contro un albero, etc. Non penso però che la terra sia colpevole o che il colpo possa essere di qualche aiuto. «Sfogo la mia furia». E tutti i riti sono qualcosa di questo genere. Tali azioni possono essere chiamate azioni '''(MS 110, p. 297)''' istintuali. – E una spiegazione storica, riguardo ad esempio il fatto che io o i miei antenati in passato credessimo che pestare sulla terra servisse a qualcosa, è uno specchietto per le allodole, perché è una supposizione inutile e che non spiega ''nulla''. La cosa importante è la somiglianza fra quest’atto e l’atto di una punizione, ma oltre a questa somiglianza non c’è niente da constatare.
Una volta che un tale fenomeno viene posto in relazione a un istinto che io stesso possiedo, ecco che questa è appunto la spiegazione che volevamo //che agognavamo//; cioè quella che risolve questo particolare ''puzzlement''[8] //questa particolare difficoltà//. E un esame //una ricerca ulteriore// sulla storia del mio istinto si muove lungo percorsi diversi.
Non dev’essere stata una ragione di poco conto, anzi non dev’esser stata proprio alcuna ''ragione'' ad aver portato alcune razze umane a venerare l’albero di quercia, bensì solamente il fatto che esse e la quercia erano unite in una comunità di vita //simbiosi//, quindi non per scelta, bensì come la pulce <s>con il cane</s> //e il cane uniti sin dall’origine// //originatisi insieme//. (Se le pulci sviluppassero un rito, esso sarebbe legato al cane).
Si potrebbe dire che non è la loro unione (di quercia e uomo) ad aver dato adito a questi riti, bensì forse la loro separazione //bensì, in un certo senso, la loro separazione//.
Il destarsi dell’intelletto infatti avviene con una separazione dal ''suolo'' originario, dal fondamento originario della vita. (L’origine della ''scelta''.)  
'''(ms 110, p. 298)'''
(La forma dello spirito che si desta è la venerazione.)
'''(ms 110, p. 299)''']
Parte II
[168
Questo non vuol dire naturalmente che il popolo creda che il sovrano abbia tali poteri; egli comunque sa benissimo di non possederli, oppure può ignorarlo nel caso in cui sia un imbecille o un demente. Piuttosto, la definizione della sua forza è naturalmente già stabilita in modo da poter concordare con l’esperienza sua e del popolo. Che in ciò giochi un ruolo una qualche ipocrisia
'''(ms 143, p. 1)'''
è vero solo nella misura in cui essa comunque va a braccetto con la maggior parte delle cose che gli uomini fanno.
169
Se nella nostra società (o almeno nella mia) una persona ride troppo, in maniera semi-involontaria io stringo le labbra, come se con ciò credessi di poter serrare le sue.
'''(ms 143, p. 2)'''
170
Il nonsenso sta proprio qui, nel fatto che Frazer presenti le cose come se questi popoli avessero una raffigurazione completamente falsa (anzi, delirante) sul corso della natura, laddove invece essi hanno soltanto una peculiare interpretazione dei fenomeni. Cioè la loro conoscenza della natura, qualora la mettessero per iscritto, non si distinguerebbe ''fondamentalmente'' dalla nostra. Solo la loro ''magia'' è differente.
'''(ms 143, p. 3)'''
171
«A network of prohibitions and observances of which the intention is not to contribute to his dignity…»[9] Questo è sia vero sia falso. Di certo non la dignità della protezione della persona, ma certamente – per dir così – la sacralità naturale del divino in lui.
Suona tanto semplice: la differenza fra magia e scienza può venire espressa
'''(ms 143, p. 4)'''
dicendo che nella scienza ha luogo un progresso, nella magia no. La magia non possiede una direzione di sviluppo già presente al suo interno.
'''(ms 143, p. 5)'''
[179
C’è molta più verità nell’attribuire all’anima la stessa molteplicità che si attribuisce al corpo di quanta ce n’è in una teoria moderna e annacquata.
Frazer non nota che ci troviamo qui di fronte alla dottrina di Platone e Schopenhauer.
'''(ms 143, p. 6)'''
Ritroviamo tutte le teorie ingenue (infantili) nell’odierna filosofia, soltanto prive di ciò che l’ingenuità ha di accattivante.
'''(ms 143, p. 7)''']
614
Il tratto più appariscente, al di fuori delle somiglianze, mi è parso essere la diversità di tutti questi riti. Si tratta di una molteplicità di volti con tratti comuni che qui e là ancora e ancora si impongono all’attenzione. E ciò che si vorrebbe fare è tracciare linee che uniscano le componenti condivise. A questo punto manca ancora una parte della riflessione, la parte cioè che mette in collegamento questa immagine con i nostri propri sentimenti e pensieri. È questa parte a conferire alla riflessione la sua profondità.
'''(ms 143, p. 8)'''
In tutte queste usanze si scorge d’altronde qualcosa di ''simile'' all’associazione d’idee e con essa imparentato. Si potrebbe parlare di un’associazione di usanze.
'''(ms 143, p. 9)'''
618
Niente ci dice come mai il fuoco debba essere ammantato di una tale aura. E poi, che strano, cosa significa propriamente: «Sembra piovuto giù dal cielo»? Da quale cielo? No, non è affatto scontato che il fuoco venga inteso in questo modo; – eppure è così.
'''(ms 143, p. 10)'''
Qui sembra che solo l’ipotesi doni spessore alla cosa. E ci si può ricordare della descrizione dei bizzarri rapporti fra Sigfrido e Brunilde nel nuovo canto dei ''Nibelunghi''. E cioè che Sigfrido sembra aver già visto una volta Brunilde in passato. Qui è chiaro che ciò che dà profondità a questa usanza è la sua ''connessione'' col bruciare una persona. Se in qualche festa fosse costume che gli uomini (come nel gioco di cavallo e cavaliere) si cavalchino l’un l’altro, non vi vedremmo nulla se non una forma di locomozione che rimanda al modo in cui un uomo monta un cavallo; – se però sapessimo che presso diversi popoli esisteva il costume «↓ ad esempio» di usare gli schiavi e di celebrare certe feste così in sella, allora oggi scopriremmo //scorgeremmo// //troveremmo// nell’usanza innocente della nostra epoca qualcosa di più profondo e meno innocente. La domanda è: questo – diciamo così – lato oscuro inerisce (in sé) al rituale del rogo di Beltane[10] come veniva praticato cento anni fa, o solo se l’ipotesi circa la sua origine dovesse essere convalidata? Io credo che sia chiaramente la natura
'''(ms 143, p. 11)'''
intrinseca della stessa usanza “moderna” ciò che a noi pare oscuro, e i fatti a noi ben noti dei sacrifici umani indicano solo la direzione in cui bisogna vedere l’usanza. Quando parlo della natura intrinseca dell’usanza, intendo tutte le circostanze in cui essa viene messa in pratica e che non sono incluse nel resoconto di una tale festa perché non consistono tanto di atti specifici che caratterizzano la festa quanto in ciò che si potrebbe chiamare lo spirito della festa, del quale si potrebbe rendere conto descrivendo ad esempio il tipo di gente che vi partecipa, i loro altri comportamenti, ovvero il loro carattere; il tipo di giochi che giocano in altre circostanze. E con ciò si vedrebbe che l’oscurità sta nel carattere stesso di queste persone.
'''(ms 143, p. 12)'''
619
Qui c’è qualcosa che assomiglia alle vestigia di un sorteggio. E, in virtù di questo aspetto, ciò guadagna immediatamente spessore. Se noi appurassimo che, in un caso specifico, la torta coi bottoni è stata preparata «originariamente» ad esempio in onore di un fabbricatore di bottoni «per il suo compleanno», e che tale usanza si sia poi instaurata nei dintorni, allora questa usanza perderebbe di fatto ogni «spessore», a meno che questo spessore non sia contenuto nella forma attuale dell’usanza per com’è in sé. Tuttavia, in un caso come questo, si dice spesso: «Questa usanza è ''chiaramente'' antichissima». Da cosa lo si evince? È solo perché si possiede una testimonianza storica di usanze antiche dello stesso tipo? Oppure c’è anche un altro motivo, di quelli che si evincono per interpretazione? Ma quand’anche venga dimostrata storicamente l’origine remota dell’usanza e la provenienza di un’usanza oscura, è ben possibile che l’usanza non abbia oggi più in sé ''niente'' di oscuro, che non le sia rimasto addosso più nulla dell’antico orrore. Forse oggigiorno essa viene messa in pratica soltanto dai bambini, che si cimentano nel preparare la torta e nel decorarla coi bottoni.
'''(ms 143, p. 13)'''
Pertanto, la profondità sta allora solo nel pensiero rivolto a quell’origine. Ma essa può essere del tutto incerta, e si vorrebbe dire: “A che scopo darsi pena per //preoccuparsi di// una faccenda tanto incerta?”  (come una Saggia Else che si guarda indietro). Ma non si tratta di preoccupazioni di quel genere. – Soprattutto: da dove viene la certezza che una tale usanza debba essere antichissima (in cosa consistono i nostri dati, qual è la verificazione)? E quand’anche avessimo poi una certezza, non potremmo comunque sbagliarci e non potrebbe il nostro errore essere confutato «↓ storicamente»? Sicuro, e tuttavia rimane poi sempre ancora qualcosa di cui siamo certi. Diremmo «↓ perciò»: «Bene, in questo caso particolare l’origine può essere un’altra, ma in generale è sicuramente antica». Ciò che per noi è ''evidenza'' di ciò deve includere la profondità di tale supposizione. E questa evidenza è, ancora una volta, «↓ non-ipotetica» psicologica. Se cioè dico: la profondità di questa usanza sta nella sua origine, ''se'' è andata davvero così. Allora o la profondità <s>deve</s> sta nel pensiero rivolto a una tale origine, o la profondità è «↓ essa stessa» solo ipotetica e si può soltanto dire: ''se'' è andata davvero così,
'''(ms 143, p. 14)'''
allora è stata una vicenda oscura e profonda. Voglio dire: l’oscurità, la profondità, non stanno nel fatto che per quanto riguarda la storia di questa usanza le cose siano andate davvero così, poiché forse non sono andate affatto in questo modo; e nemmeno nel fatto che forse o probabilmente si sono svolte così, bensì in ciò che mi dà motivo di supporlo. Da cosa proviene infatti in generale la profondità e oscurità del sacrificio umano? Sono infatti solo le sofferenze delle vittime a farci impressione? I malesseri di tutte le specie, che sono connessi ad altrettanti dolori, non suscitano ''mica'' questa impressione. No, questa profondità e oscurità non si comprende di per sé, se veniamo soltanto a conoscenza della storia dell’azione esteriore; siamo ''noi'' che la riportiamo nella nostra interiorità a partire da un’esperienza.
Il fatto che il sorteggio avvenga mediante un dolce ha (anche) qualcosa di particolarmente raccapricciante (un po’ come il tradimento per mezzo di un bacio), e che a noi questo faccia un effetto particolarmente terribile ancora una volta reca un significato essenziale per la ricerca intorno a tali usanze {a una tale usanza}.
'''(ms 143, p. 15)'''
Quando osservo una tale usanza, o ne sento parlare, è come se vedessi un uomo che discute seriamente con un altro «con un’occasione» di un argomento futile, e dal tono «↓ di voce» e dal volto notassi che quest’uomo, quando si parla di quell’argomento, può essere spaventoso. L’impressione che qui ne ricevo può essere un’impressione profonda ed eccezionalmente grave.
Il ''contesto'' di un modo di agire.
In ogni caso una <s>supposizione</s> convinzione sta a fondamento delle supposizioni circa l’origine – ad esempio – della festa di Beltane: ed è che tali feste non furono inventate da un uomo, per così dire, a casaccio, bensì hanno bisogno di una base infinitamente più estesa per potersi affermare. Se io volessi inventare una festa, essa morirebbe immediatamente o subirebbe un mutamento tale da entrare in corrispondenza con un’inclinazione generale della gente.
Ma cosa ci impedisce di supporre che la festa di Beltane sia sempre stata celebrata nella forma attuale (o del recente passato)? Si vorrebbe dire: è troppo assurda per essere stata inventata così.
'''(ms 143, p. 16)'''
Non è come vedere un rudere e dire: questo un tempo dev’essere stato una casa, poiché nessuno avrebbe eretto un cumulo siffatto di sassi squadrati e irregolari? E se si domandasse: come fai a saperlo? Allora io potrei dir soltanto: me lo insegna l’esperienza che ho degli esseri umani. Invero, laddove essi costruiscono davvero delle rovine, queste assumono le forme di case distrutte.
Si potrebbe anche dire così: chi volesse farci impressione col racconto della festa di Beltane, non avrebbe comunque bisogno di esplicitare l’ipotesi circa la sua origine; gli sarebbe bensì sufficiente presentare il materiale (che porta a tale ipotesi) senza aggiungere altro. A questo punto, si vorrebbe forse dire: «Chiaro! Questo perché l’ascoltatore, o il lettore, trarrà da sé la conclusione!». Deve però trarre questa conclusione in maniera esplicita? Ovvero deve trarre comunque questa conclusione? E di che tipo di conclusione si tratta? Che questo o quello sia ''probabile''?! E se è in grado di trarre la conclusione da sé, <s>perché</s> come fa questa a fargli impressione? Ciò che gli fa impressione deve infatti essere qualcosa che non ha fatto ''lui''! A impressionarlo è dunque solo l’ipotesi enunciata <s>o ciascuna</s> (enunciata da lui o da un altro) o già il materiale?
'''(ms 143, p. 17)'''
Ma non potrei altrettanto bene chiedermi: se io vedo come qualcuno viene assassinato, mi impressiona proprio quel che vedo, oppure solo l’ipotesi che qui un uomo viene assassinato?
Tuttavia, qui non è solamente il pensiero della possibile origine della festa di Beltane a portare con sé tale impressione, bensì ciò che si può chiamare la mostruosa probabilità di questo pensiero. In quanto si tratta di ciò che viene ricavato dal materiale.
Dunque il modo in cui la festa di Beltane è giunta fino a noi è davvero uno spettacolo teatrale ed è simile a quando i bambini giocano a guardie e ladri. Ma certo che no. Poiché, pur essendo architettato in modo che vinca la fazione che porta in salvo la vittima, ciò che poi accade presenta sempre e comunque qualcosa in più, in termini di temperamento, che la mera rappresentazione teatrale non ha. – In ogni caso, quand’anche si trattasse soltanto di una rappresentazione del tutto fredda, ci chiederemmo lo stesso turbati: a che pro questa rappresentazione? Qual è il suo ''senso''?! Ed essa potrebbe ancora turbarci, indipendentemente da ogni interpretazione, per la sua peculiare mancanza di senso. (Ciò mostra di che genere può essere il fondamento di una tale inquietudine). Sia ora data un’interpretazione innocua: il '''(MS 143, p. 18)''' sorteggio viene fatto semplicemente per il piacere di poter minacciare qualcuno di gettarlo tra le fiamme, il che non è gradevole; in tal modo la festa di Beltane diventa però molto più simile a una di quelle goliardie in cui uno del gruppo deve sopportare certe crudeltà, e queste, così come sono, soddisfano un bisogno. E attraverso una spiegazione siffatta la festa di Beltane perderebbe davvero anche ogni mistero, se essa non si distaccasse appunto, sia riguardo alla messa in pratica che per quanto concerne l’attitudine, da quei giochi ordinari come guardie e ladri etc.
Allo stesso modo, potrebbe turbarci il fatto che i bambini in certi giorni diano fuoco a uno spaventapasseri, anche se di ciò non vi fosse alcuna spiegazione. Che strano che ''un'' ''uomo'' debba venir «↓ da loro» bruciato solennemente! Voglio dire: la risposta non è più inquietante del quesito.
Per quale ragione però non dovrebbe essere davvero soltanto (o almeno in parte) il ''pensiero'' a farmi impressione? Non possono forse essere spaventose le rappresentazioni? Non posso sentirmi orribilmente a disagio al pensiero che un tempo la torta coi bottoni venisse impiegata per tirare a sorte la vittima sacrificale? Non ha il ''pensiero''
'''(ms 143, p. 19)'''
qualcosa di spaventoso? – Certo, tuttavia ciò che io scorgo in quei racconti essi è associato a essi sulla base dell’evidenza, anche di quell’evidenza che non sembra a essi immediatamente collegata, e dei pensieri intorno all’umanità e al suo passato, e di tutto ciò di strano che io, in me e nell’altro, scorgo, ho scorto e udito.
'''(ms 143, p. 20)'''
[640
Questo si può ben immaginare – e per esempio vi si potrebbe porre a fondamento il fatto che, altrimenti, i santi protettori entrerebbero in conflitto l’uno con l’altro e solo uno potrebbe sovrintendere alla cosa. Ma anche questa non sarebbe altro che una reinterpretazione (a posteriori) dell’istinto.
Tutte queste ''diverse'' usanze mostrano che qui non si tratta della filiazione dell’una dall’altra,
'''(ms 143, p. 21)'''
bensì di uno spirito comune. E uno potrebbe inventarsi (escogitare) tutte queste cerimonie anche per conto proprio. E lo spirito con il quale le si inventerebbe sarebbe appunto il loro spirito comune.
641
Il nesso fra malattia e sporcizia. «Epurare da una malattia».
Esso fornisce una semplice e infantile teoria della malattia, secondo cui essa è una lordura che può venir ripulita.
Come esistono “teorie infantili della sessualità”, così esistono teorie infantili in generale. Questo non vuol dire però che tutto ciò che combina un bambino scaturisca ''da'' una teoria infantile come sua motivazione.
'''(ms 143, p. 22)'''
Ciò che è corretto e interessante non è affermare che questo è derivato da quest’altro, ma piuttosto: questo potrebbe essere derivato in questo modo.
'''(ms 143, p. 23)'''
643
Che il fuoco sia stato impiegato per purificare è chiaro. Ma niente può essere più verosimile del fatto che gli esseri umani pensanti abbiano in seguito posto le cerimonie di purificazione, anche laddove esse originariamente era state concepite solo come tali, in rapporto al sole. Quando un pensiero si impone a una persona (fuoco-purificazione) e un altro a un’altra
'''(ms 143, p. 24)'''
(fuoco-sole), cosa può essere più verosimile del fatto che a una persona si impongano entrambi i pensieri? I dotti che vorrebbero sempre avere ''una'' teoria!!!
La distruzione ''totale'' che operano le fiamme, diversamente dal ridurre in frantumi, dal lacerare, etc., deve aver fatto impressione agli esseri umani.
Quand’anche non si sapesse alcunché di una tale connessione fra il pensiero della purificazione e quello del sole, si potrebbe supporre che da qualche parte esso si sia presentato.
'''(ms 143, p. 25)'''
680
«soul-stone»[11] In ciò si vede come opera una tale ipotesi.
'''(ms 143, p. 26)'''
681
Questo starebbe a indicare che qui il fondamento è una verità e non una superstizione. (Certo è facile, di fronte agli scienziati sciocchi, cadere nello spirito di contraddizione.) Ma può ben darsi il caso che il corpo completamente depilato ci induca, in un certo senso, a perdere il rispetto di noi stessi.
(''I fratelli Karamazov'')
Non c’è alcun dubbio che una mutilazione che ai nostri
'''(ms 143, p. 27)'''
occhi ci fa apparire indegni, ridicoli, può derubarci di ogni velleità di difenderci. Come a volte noi – o almeno molte persone (io) – ci sentiamo imbarazzati a causa della nostra inferiorità fisica o estetica.
'''(ms 143, p. 28)''']
----[1] …Sembra certo che tali osservanze siano dettate dalla paura dello spirito di colui che è stato ucciso; …
[2] (“spirito”)
[3] (“ombra”)
[4] Aggiunta del traduttore.
[5] '' ''(“Morto come la morte”)
[6] Nel capitolo “La madre e la vergine del grano nell’Europa settentrionale” (''Il ramo d’oro'', cap. XLV, vol. I), Frazer riferisce delle credenze popolari nate fra i contadini (soprattutto donne) per incitarsi a lavorare al raccoglimento e legatura dei mannelli, i covoni, nella convinzione che colui cui fosse toccato l’ultimo se la sarebbe dovuta vedere con uno spirito maligno nascosto nell’ultimo covone, spirito che – soprattutto in Germania, nel Mecklenburgo – era incarnato dal “lupo del grano”. [N.d.T.]
[7] (“un deserto arido e riarso”)
[8] '' ''(“perplessità”),
[9]  (“Un reticolo di proibizioni e osservanze la cui intenzione non è contribuire alla sua dignità”),
[10] Antica festa pagana gaelica, in cui i druidi officiavano un rogo purificatore attraverso il quale passavano per emendarsi il bestiame e anche gli uomini. Inizialmente collocata tra equinozio di primavera e solstizio d’estate, la festa viene tutt’ora celebrata a inizio maggio, soprattutto in alcune campagne fra Irlanda e Scozia.
[11] (“anima-pietra”)
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