Libro marrone: Difference between revisions

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Nel raccontare il proprio apprendimento del linguaggio, Agostino dice che per insegnargli a parlare gli sono stati fatti imparare i nomi delle cose. È chiaro che chiunque si esprima così ha in mente il modo in cui un bambino apprende parole quali “uomo”, “zucchero”, “tavolo”, ecc. Non pensa invece almeno inizialmente a “oggi”, “non”, “ma”, “magari”.
Nel raccontare il proprio apprendimento del linguaggio, Agostino dice che per insegnargli a parlare gli sono stati fatti imparare i nomi delle cose. È chiaro che chiunque si esprima così ha in mente il modo in cui un bambino apprende parole quali “uomo”, “zucchero”, “tavolo”, ecc. Non pensa invece, almeno inizialmente, a “oggi”, “non”, “ma”, “magari”.


Immaginiamo che un uomo descriva una partita a scacchi senza accennare all’esistenza delle operazioni dei pedoni. Tale descrizione del gioco in quanto fenomeno naturale risulterà incompleta. D’altro canto si potrebbe dire che costui abbia descritto in maniera completa un gioco diverso. In questo senso si può asserire che la descrizione di Agostino dell’apprendimento del linguaggio era corretta per un linguaggio più semplice del nostro. Immaginiamo questo linguaggio: -
Immaginiamo che un uomo descriva una partita a scacchi senza accennare all’esistenza delle operazioni dei pedoni. Tale descrizione del gioco in quanto fenomeno naturale risulterà incompleta. D’altro canto si potrebbe dire che costui ha descritto in maniera completa un gioco diverso. In questo senso si può asserire che la descrizione di Agostino dell’apprendimento del linguaggio era corretta per un linguaggio più semplice del nostro. Immaginiamo questo linguaggio:


{{ParBBit|color=brown |part=1 |paragraph=1}} La sua funzione è la comunicazione tra un costruttore A e il suo operaio B. B deve passare ad A delle pietre di costruzione. Ci sono cubi, mattoni, lastre, travi, colonne. Il linguaggio consiste delle parole “cubo”, “mattone”, “lastra”, “colonna”. Quando A pronuncia una di queste parole, B gli porge una pietra di una certa forma. Immaginiamo una società in cui questo sia l’unico tipo di linguaggio. Per apprendere il linguaggio dagli adulti il bambino viene addestrato al suo uso. Utilizzo la parola “addestrato” nella stessa identica accezione di quando parliamo di un animale addestrato a fare certe cose. Con ricompense, punizioni e mezzi simili. Una parte di quest’addestramento consiste nel fatto che indichiamo una pietra, vi dirigiamo l’attenzione del bambino e pronunciamo una parola. Questa procedura la chiamerò insegnamento ''deittico'' delle parole. Nell’uso pratico di questo linguaggio, un uomo pronuncia le parole in quanto ordini e l’altro agisce assecondandoli. Imparare e insegnare un simile linguaggio comporteranno la seguente procedura: il bambino si limita a “nominare” le cose, cioè, quando il maestro indica le cose, a pronunciare le parole del linguaggio. In realtà ci sarà un esercizio ancora più semplice: il bambino ripete le parole pronunciate dal maestro.
{{ParBBit|color=brown |part=1 |paragraph=1}} La sua funzione è la comunicazione tra un costruttore A e il suo operaio B. B deve passare ad A delle pietre di costruzione. Ci sono blocchi, mattoni, lastre, travi, colonne. Il linguaggio consiste delle parole “blocco”, “mattone”, “lastra”, “colonna”. Quando A pronuncia una di queste parole, B gli porge una pietra di una certa forma. Immaginiamo una società in cui questo sia l’unico tipo di linguaggio. Per apprendere il linguaggio dagli adulti il bambino viene addestrato al suo uso. Utilizzo la parola “addestrato” nella stessa identica accezione di quando parliamo di un animale addestrato a fare certe cose. Con ricompense, punizioni e mezzi simili. Una parte di quest’addestramento consiste nel fatto che indichiamo una pietra, vi dirigiamo l’attenzione del bambino e pronunciamo una parola. Chiamerò questa procedura insegnamento ''deittico'' delle parole. Nell’uso pratico di questo linguaggio, un uomo pronuncia le parole in quanto ordini e l’altro agisce in accordo con essi. Imparare e insegnare un simile linguaggio comporterà la seguente procedura: il bambino si limita a “nominare” le cose, cioè, quando il maestro indica le cose, a pronunciare le parole del linguaggio. In realtà ci sarà un esercizio ancora più semplice: il bambino ripete le parole pronunciate dal maestro.


(Nota: obiezione: nel linguaggio 1) la parola “mattone” non ha lo stesso significato che ha nel ''nostro'' linguaggio. – Questo è vero se nel nostro linguaggio ci sono usi della parola “mattone!” diversi dagli usi della stessa parola nel linguaggio 1). Ma talvolta noi non usiamo “mattone!” proprio allo stesso modo? Oppure dovremmo dire che nel farlo ci serviamo in realtà di un’espressione ellittica, di una forma abbreviata di “passami un mattone”? È giusto dire che con il ''nostro'' “mattone!” ''intendiamo'' “passami un mattone!”? Perché dovrei tradurre l’espressione “mattone!” nell’espressione “passami un mattone”? E se si tratta di sinonimi, allora perché non dovrei affermare: se dice “mattone!” intende “mattone!”…? Oppure: se è in grado di intendere “passami un mattone!”, a meno di non voler asserire che nel pronunciare “mattone” lui in realtà nella propria mente, a se stesso, dice sempre “passami un mattone”, perché non potrebbe voler dire solo “mattone!”? Ma che ragione potremmo avere per asserire ciò? Immaginiamo che qualcuno domandi: se un uomo ordina “passami un mattone”, deve intenderlo in tre parole, oppure non può intenderlo come un’unica parola composita, sinonimo della singola parola “mattone!” Si sarebbe tentati di rispondere: l’uomo ''intende'' tutte e tre le parole se nel suo linguaggio usa tale frase in contrasto con le altre frasi in cui queste parole vengono impiegate, per esempio “porta via questi due mattoni”. Se però chiedessi: “In che modo questa frase si distingue dalle altre? Deve averle pensate contemporaneamente, o appena prima o appena dopo, oppure basta che in passato le abbia imparate, ecc.?” Posta una simile domanda, pare irrilevante quale delle alternative sia corretta. Siamo propensi a dire che l’unico aspetto da rimarcare è che tali differenze debbano esistere nel sistema linguistico adoperato e che, mentre l’uomo pronuncia la frase in questione, non c’è alcun bisogno che siano presenti nella sua mente. Ora mettiamo a confronto la conclusione con la prima domanda. Nel porre l’interrogativo iniziale, sembrava che si trattasse di una domanda sullo stato mentale dell’uomo che pronuncia la frase, ma l’idea di significato a cui siamo giunti alla fine non concerne stati mentali. I significati dei segni li concepiamo talvolta quali stati mentali dell’uomo che li impiega, in altri casi invece come il ruolo che suddetti segni ricoprono in un sistema linguistico. Secondo William James all’uso di parole come “e”, “se” e “o” si accompagnano emozioni specifiche. Non ci sono dubbi che spesso alcuni gesti si leghino a tali parole. E naturalmente ci sono sensazioni visive e muscolari connesse a questi gesti. Tuttavia è chiaro che suddette sensazioni non accompagnano tutti gli utilizzi di parole come “non” o “e”. Se in qualche linguaggio la parola “ma” significa ciò che “non” significa in italiano, è evidente che non bisogna paragonare i significati di queste due parole paragonando le sensazioni che producono. Chiediti con quali mezzi possiamo scoprire le sensazioni che le stesse parole producono in persone diverse in situazioni diverse. Chiediti: “Se dico ‘dammi una mela e una pera e esci dalla stanza’, nel pronunciare le due parole ‘e’ ho provato le stesse sensazioni?” Non neghiamo però che chi usa “ma” in maniera analoga a come in italiano si impiega “non, pronunciando la parola “ma”, sperimenterà più o meno le stesse sensazioni provate dagli italiani nel dire “non”. E nei due linguaggi alla parola “ma” in genere corrisponderanno diversi poli di esperienze.
(Nota: obiezione: nel linguaggio 1) la parola “mattone” non ha lo stesso significato che ha nel ''nostro'' linguaggio. – Questo è vero se nel nostro linguaggio ci sono usi della parola “mattone!” diversi dagli usi della stessa parola nel linguaggio 1). Ma talvolta noi non usiamo “mattone!” proprio allo stesso modo? Oppure dovremmo dire che nel farlo ci serviamo in realtà di un’espressione ellittica, di una forma abbreviata di “passami un mattone”? È giusto dire che con il ''nostro'' “mattone!” ''intendiamo'' “passami un mattone!”? Perché dovrei tradurre l’espressione “mattone!” nell’espressione “passami un mattone”? E se si tratta di sinonimi, allora perché non dovrei affermare: se dice “mattone!” intende “mattone!”…? Oppure: se è in grado di intendere “passami un mattone!”, a meno di non voler asserire che nel pronunciare “mattone” lui in realtà nella propria mente, a se stesso, dice sempre “passami un mattone”, perché non potrebbe voler dire solo “mattone!”? Ma che ragione potremmo avere per asserire ciò? Immaginiamo che qualcuno domandi: se un uomo ordina “passami un mattone”, deve intenderlo in tre parole, oppure non può intenderlo come un’unica parola composita, sinonimo della singola parola “mattone!” Si sarebbe tentati di rispondere: l’uomo ''intende'' tutte e tre le parole se nel suo linguaggio usa tale frase in contrasto con le altre frasi in cui queste parole vengono impiegate, per esempio “porta via questi due mattoni”. Se però chiedessi: “In che modo questa frase si distingue dalle altre? Deve averle pensate contemporaneamente, o appena prima o appena dopo, oppure basta che in passato le abbia imparate, ecc.?” Posta una simile domanda, pare irrilevante quale delle alternative sia corretta. Siamo propensi a dire che l’unico aspetto da rimarcare è che tali differenze debbano esistere nel sistema linguistico adoperato e che, mentre l’uomo pronuncia la frase in questione, non c’è alcun bisogno che siano presenti nella sua mente. Ora mettiamo a confronto la conclusione con la prima domanda. Nel porre l’interrogativo iniziale, sembrava che si trattasse di una domanda sullo stato mentale dell’uomo che pronuncia la frase, ma l’idea di significato a cui siamo giunti alla fine non concerne stati mentali. I significati dei segni li concepiamo talvolta quali stati mentali dell’uomo che li impiega, in altri casi invece come il ruolo che suddetti segni ricoprono in un sistema linguistico. Secondo William James all’uso di parole come “e”, “se” e “o” si accompagnano emozioni specifiche. Non ci sono dubbi che spesso alcuni gesti si leghino a tali parole. E naturalmente ci sono sensazioni visive e muscolari connesse a questi gesti. Tuttavia è chiaro che suddette sensazioni non accompagnano tutti gli utilizzi di parole come “non” o “e”. Se in qualche linguaggio la parola “ma” significa ciò che “non” significa in italiano, è evidente che non bisogna paragonare i significati di queste due parole paragonando le sensazioni che producono. Chiediti con quali mezzi possiamo scoprire le sensazioni che le stesse parole producono in persone diverse in situazioni diverse. Chiediti: “Se dico ‘dammi una mela e una pera e esci dalla stanza’, nel pronunciare le due parole ‘e’ ho provato le stesse sensazioni?” Non neghiamo però che chi usa “ma” in maniera analoga a come in italiano si impiega “non, pronunciando la parola “ma”, sperimenterà più o meno le stesse sensazioni provate dagli italiani nel dire “non”. E nei due linguaggi alla parola “ma” in genere corrisponderanno diversi poli di esperienze.