Note dettate a G.E. Moore in Norvegia: Difference between revisions

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Ogni ''vera'' proposizione ''mostra'' qualcosa, oltre a ciò che dice, sull’Universo: ''poiché'', se non ha senso, non può essere utilizzata; e se ha senso, rispecchia qualche proprietà logica dell’Universo.
Ogni ''vera'' proposizione ''mostra'' qualcosa, oltre a ciò che dice, sull’Universo: ''poiché'', se non ha senso, non può essere utilizzata; e se ha senso, rispecchia qualche proprietà logica dell’Universo.


Per esempio, prendi ϕa, ϕa ψa, ψa. Semplicemente osservando queste tre proposizioni, posso vedere che la 3 segue dalla 1 e dalla 2; cioè posso vedere ciò che si chiama la verità di una proposizione logica, ossia della proposizione ϕa . ϕa ψa : ⊃ : ψa. Ma questa ''non'' è una proposizione; vedendo però che si tratta di una tautologia posso vedere ciò che ho già visto osservando le tre proposizioni: la differenza è che ''adesso'' vedo {{small caps|CHE}} è una tautologia.<!-- [''Cfr.'' 6.1221.]-->
Per esempio, prendi ϕ''a'', ϕ''a'' ψ''a'', ψ''a''. Semplicemente osservando queste tre proposizioni, posso vedere che la 3 segue dalla 1 e dalla 2; cioè posso vedere ciò che si chiama la verità di una proposizione logica, ossia della proposizione ϕ''a'' . ϕ''a'' ψ''a'' : ⊃ : ψ''a''. Ma questa ''non'' è una proposizione; vedendo però che si tratta di una tautologia posso vedere ciò che ho già visto osservando le tre proposizioni: la differenza è che ''adesso'' vedo {{small caps|CHE}} è una tautologia.<!-- [''Cfr.'' 6.1221.]-->


Vogliamo dire, per comprendere [quanto] sopra, quali proprietà deve avere un simbolo per essere una tautologia.
Vogliamo dire, per comprendere [quanto] sopra, quali proprietà deve avere un simbolo per essere una tautologia.
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È ''ovvio'' che, per esempio, con una proposizione soggetto-predicato, ''sempre che'' essa abbia un qualche senso, ne ''vedi'' la forma non appena ''comprendi'' la proposizione'','' nonostante tu non sappia se è vera o falsa,. Anche se ci ''fossero'' proposizioni della forma «M è una cosa», esse sarebbero superflue (tautologiche) perché quello che ciò tenta di dire è qualcosa che ''vedi'' già quando vedi «M».
È ''ovvio'' che, per esempio, con una proposizione soggetto-predicato, ''sempre che'' essa abbia un qualche senso, ne ''vedi'' la forma non appena ''comprendi'' la proposizione'','' nonostante tu non sappia se è vera o falsa,. Anche se ci ''fossero'' proposizioni della forma «M è una cosa», esse sarebbero superflue (tautologiche) perché quello che ciò tenta di dire è qualcosa che ''vedi'' già quando vedi «M».


Nell’espressione menzionata sopra «{{nowrap|''a'' R ''b''}}», parlavamo solo di questo «R» particolare, ma ciò che vogliamo fare è parlare di tutti i simboli simili. Dobbiamo dire: in ''qualunque'' simbolo di questa forma ciò che corrisponde a «R» propriamente non è un nome, e il fatto che [«R» sta tra «a» e «b»] esprime una relazione. Questo è ciò che si tentava di esprimere con l’espressione priva di senso: simboli come questo sono di un certo tipo. Questo non puoi dirlo, perché per dirlo devi prima sapere qual è il simbolo: e nel saperlo ''vedi'' [il] tipo e dunque anche [il] tipo di [ciò che è] simbolizzato. Ossia, nel sapere ''che cosa'' simbolizza, sai tutto ciò che c’è da sapere; non puoi ''dire'' nulla ''riguardo'' al simbolo.
Nell’espressione menzionata sopra «{{nowrap|''a'' R ''b''}}», parlavamo solo di questo «R» particolare, ma ciò che vogliamo fare è parlare di tutti i simboli simili. Dobbiamo dire: in ''qualunque'' simbolo di questa forma ciò che corrisponde a «R» propriamente non è un nome, e il fatto che [«R» sta tra «''a''» e «''b''»] esprime una relazione. Questo è ciò che si tentava di esprimere con l’espressione priva di senso: simboli come questo sono di un certo tipo. Questo non puoi dirlo, perché per dirlo devi prima sapere qual è il simbolo: e nel saperlo ''vedi'' [il] tipo e dunque anche [il] tipo di [ciò che è] simbolizzato. Ossia, nel sapere ''che cosa'' simbolizza, sai tutto ciò che c’è da sapere; non puoi ''dire'' nulla ''riguardo'' al simbolo.


Per esempio: considera le due proposizioni 1) «ciò che simbolizza qui è una cosa», 2) «ciò che simbolizza qui è un fatto relazionale (= relazione)». Queste proposizioni sono prive di senso per due ragioni: ''a'') perché menzionano «cosa» e «relazione»; ''b'') perché le menzionano in proposizioni della stessa forma. Le due proposizioni, se propriamente analizzate, devono essere espresse in forme interamente diverse; e non vi devono figurare né la parola «cosa» né la parola «relazione».
Per esempio: considera le due proposizioni 1) «ciò che simbolizza qui è una cosa», 2) «ciò che simbolizza qui è un fatto relazionale (= relazione)». Queste proposizioni sono prive di senso per due ragioni: ''a'') perché menzionano «cosa» e «relazione»; ''b'') perché le menzionano in proposizioni della stessa forma. Le due proposizioni, se propriamente analizzate, devono essere espresse in forme interamente diverse; e non vi devono figurare né la parola «cosa» né la parola «relazione».
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''Ora'' vedremo come analizzare correttamente le proposizioni in cui figurano «cosa», «relazione», etc.
''Ora'' vedremo come analizzare correttamente le proposizioni in cui figurano «cosa», «relazione», etc.


1) Prendi ϕx. Vogliamo spiegare il significato di «in “ϕx” una ''cosa'' simbolizza». L’analisi è:
1) Prendi ϕ''x''. Vogliamo spiegare il significato di «in “ϕ''x''” una ''cosa'' simbolizza». L’analisi è:


:(∃y) . y simbolizza . y = «x» . «ϕx»
:(∃''y'') . y simbolizza . y = «x» . «ϕ''x''»


[«x» è il nome di y: «ϕx» «“ϕx” è alla sinistra di “x”» e ''dice'' ϕx.]
[«x» è il nome di y: «ϕ''x''» «“ϕ''x''” è alla sinistra di “x”» e ''dice'' ϕ''x''.]


N.B. «x» non può essere il nome di questo singolo frego y, perché questo non è una cosa: ma può essere il nome di una ''cosa''; e dobbiamo comprendere che quel che stiamo facendo è spiegare ciò che si intenderebbe dicendo di un simbolo ideale, che effettivamente consisteva nel fatto che una ''cosa'' era a sinistra di un’altra, che in esso a simbolizzare era una ''cosa'' .
N.B. «x» non può essere il nome di questo singolo frego y, perché questo non è una cosa: ma può essere il nome di una ''cosa''; e dobbiamo comprendere che quel che stiamo facendo è spiegare ciò che si intenderebbe dicendo di un simbolo ideale, che effettivamente consisteva nel fatto che una ''cosa'' era a sinistra di un’altra, che in esso a simbolizzare era una ''cosa'' .


(N. B. Nell’espressione (∃y) . ϕy, si ''è'' inclini a dire che ciò significa «c’è una ''cosa'' tale per cui…». Invece dovremmo dire «c’è una y, tale per cui…»; dove il fatto che la y simbolizza esprime ciò che intendiamo.)
(N. B. Nell’espressione (∃''y'') . ϕy, si ''è'' inclini a dire che ciò significa «c’è una ''cosa'' tale per cui…». Invece dovremmo dire «c’è una y, tale per cui…»; dove il fatto che la y simbolizza esprime ciò che intendiamo.)


In generale: quando tali proposizioni sono analizzate, mentre le parole «cosa», «fatto», etc. scompariranno, al loro posto apparirà un nuovo simbolo, della stessa forma di quello di cui stiamo parlando; e dunque sarà immediatamente ovvio che ''non possiamo'' ottenere l’un tipo di proposizione a partire dall’altro per sostituzione.
In generale: quando tali proposizioni sono analizzate, mentre le parole «cosa», «fatto», etc. scompariranno, al loro posto apparirà un nuovo simbolo, della stessa forma di quello di cui stiamo parlando; e dunque sarà immediatamente ovvio che ''non possiamo'' ottenere l’un tipo di proposizione a partire dall’altro per sostituzione.
Line 85: Line 85:
Se hai una proposizione inanalizzabile nella quale figurano nomi e relazioni particolari (e proposizione ''inanalizzabile'' = proposizione in cui figurano solo simboli fondamentali = simboli non suscettibili di ''definizione'') allora da essa puoi sempre formare una proposizione della forma {{nowrap|(∃''x'', ''y'', R) . ''x'' R ''y''}}, la quale, pur non contenendo nomi o relazioni particolari, è inanalizzabile.
Se hai una proposizione inanalizzabile nella quale figurano nomi e relazioni particolari (e proposizione ''inanalizzabile'' = proposizione in cui figurano solo simboli fondamentali = simboli non suscettibili di ''definizione'') allora da essa puoi sempre formare una proposizione della forma {{nowrap|(∃''x'', ''y'', R) . ''x'' R ''y''}}, la quale, pur non contenendo nomi o relazioni particolari, è inanalizzabile.


2) Qui la questione può essere esplicata nel modo seguente. Prendi ϕa e ϕA: e chiediti che cosa si intende dicendo «c’è una cosa in ϕa e un complesso in ϕA»?
2) Qui la questione può essere esplicata nel modo seguente. Prendi ϕ''a'' e ϕ''a'': e chiediti che cosa si intende dicendo «c’è una cosa in ϕ''a'' e un complesso in ϕ''a''»?


:1) significa: (∃x) . ϕx . x = a
:1) significa: (∃''x'') . ϕ''x'' . x = a


:2) significa: (∃x, ψξ) . ϕA = ψx . ϕx.<!--<ref>ξ è il simbolo di Frege per una ''Argumentstelle'', per mostrare che ψ è un ''Funktionsbuchstabe''. [''Edd.'']</ref>-->
:2) significa: (∃''x'', ψξ) . ϕ''a'' = ψ''x'' . ϕ''x''.<!--<ref>ξ è il simbolo di Frege per una ''Argumentstelle'', per mostrare che ψ è un ''Funktionsbuchstabe''. [''Edd.'']</ref>-->


''Uso di proposizioni logiche''. Puoi trovarne una così complicata da non accorgerti, osservandola, che è una tautologia; ma hai mostrato che può essere derivata con certe operazioni da certe altre proposizioni secondo la nostra regola per la costruzione delle tautologie; e dunque sei in grado di vedere che una cosa segue da un’altra, mentre altrimenti non saresti stato capace di vederlo. Per esempio, se la nostra tautologia è della forma p ⸧ q puoi vedere che q segue da p; e avanti così.
''Uso di proposizioni logiche''. Puoi trovarne una così complicata da non accorgerti, osservandola, che è una tautologia; ma hai mostrato che può essere derivata con certe operazioni da certe altre proposizioni secondo la nostra regola per la costruzione delle tautologie; e dunque sei in grado di vedere che una cosa segue da un’altra, mentre altrimenti non saresti stato capace di vederlo. Per esempio, se la nostra tautologia è della forma p ⸧ q puoi vedere che q segue da p; e avanti così.
Line 115: Line 115:
L’interpretazione di un simbolismo non deve dipendere dal fatto di fornire una diversa interpretazione a simboli degli stessi tipi.
L’interpretazione di un simbolismo non deve dipendere dal fatto di fornire una diversa interpretazione a simboli degli stessi tipi.


L’asimmetria viene introdotta fornendo una descrizione di una forma particolare di simbolo che chiamiamo una «tautologia». La descrizione del simbolo-ab, presa da sola, è simmetrica nei confronti di a e di b; ma questa descrizione più il fatto che ciò che soddisfa la descrizione di una tautologia ''è'' una tautologia è asimmetrico rispetto a essi. (Dire che una descrizione è simmetrica rispetto a due simboli significa che potremmo sostituirne uno con l’altro e che la descrizione rimarrebbe la stessa, ossia avrebbe lo stesso significato.)
L’asimmetria viene introdotta fornendo una descrizione di una forma particolare di simbolo che chiamiamo una «tautologia». La descrizione del simbolo-ab, presa da sola, è simmetrica nei confronti di ''a'' e di ''b''; ma questa descrizione più il fatto che ciò che soddisfa la descrizione di una tautologia ''è'' una tautologia è asimmetrico rispetto a essi. (Dire che una descrizione è simmetrica rispetto a due simboli significa che potremmo sostituirne uno con l’altro e che la descrizione rimarrebbe la stessa, ossia avrebbe lo stesso significato.)


Prendi {{nowrap|p . q}} e q. Quando scrivi {{nowrap|p . q}} nella notazione ab, è impossibile vedere soltanto dal simbolo che q ne consegue, perché se tu dovessi interpretare il polo del vero come quello del falso, lo stesso simbolo starebbe per p ∨ q, da cui q non consegue. Ma non appena dici ''quali'' simboli sono tautologie, tutt’a un tratto diventa possibile vedere, dal fatto che essi sono tautologie e dal simbolo originale, che q ne consegue.
Prendi {{nowrap|p . q}} e q. Quando scrivi {{nowrap|p . q}} nella notazione ab, è impossibile vedere soltanto dal simbolo che q ne consegue, perché se tu dovessi interpretare il polo del vero come quello del falso, lo stesso simbolo starebbe per p ∨ q, da cui q non consegue. Ma non appena dici ''quali'' simboli sono tautologie, tutt’a un tratto diventa possibile vedere, dal fatto che essi sono tautologie e dal simbolo originale, che q ne consegue.
Line 123: Line 123:
Ciò che non è arbitrario nei nostri simboli non sono i simboli stessi, né le regole che forniamo; ma il fatto che, avendo dato certe regole, altre sono fissate = seguono logicamente.<!-- [''Cfr.'' 3.342.]-->
Ciò che non è arbitrario nei nostri simboli non sono i simboli stessi, né le regole che forniamo; ma il fatto che, avendo dato certe regole, altre sono fissate = seguono logicamente.<!-- [''Cfr.'' 3.342.]-->


Quindi, anche se sarebbe possibile interpretare la forma che prendiamo per la forma di una tautologia come invece la forma di una contraddizione, e viceversa, esse ''sono'' diverse nella forma logica perché, nonostante la forma apparente dei simboli sia la stessa, ciò che in essi ''simbolizza'' è diverso, e dunque ciò che riguardo ai simboli consegue da un’interpretazione sarà diverso da ciò che consegue dall’altra. Ma la differenza tra a e b ''non'' è una differenza nella forma logica, cosicché da questa differenza soltanto non seguirà nulla per quanto riguarda l’interpretazione di altri simboli. Dunque, per esempio, i simboli p . q, p ∨ q sembrano avere esattamente la ''stessa'' forma logica nella notazione ab. Eppure, dicono qualcosa di completamente diverso; e, se ti chiedi perché, la risposta pare essere: in un caso il frego in cima ha la forma b, nell’altro caso ha la forma a. Mentre l’interpretazione di una tautologia come una tautologia è un’interpretazione di una ''forma logica'', non l’elargizione di un significato a un frego dalla forma particolare. La cosa importante è che l’interpretazione della forma del simbolismo deve essere fissata fornendo un’interpretazione alle sue ''proprietà logiche'', ''non'' fornendo interpretazioni a particolari freghi.
Quindi, anche se sarebbe possibile interpretare la forma che prendiamo per la forma di una tautologia come invece la forma di una contraddizione, e viceversa, esse ''sono'' diverse nella forma logica perché, nonostante la forma apparente dei simboli sia la stessa, ciò che in essi ''simbolizza'' è diverso, e dunque ciò che riguardo ai simboli consegue da un’interpretazione sarà diverso da ciò che consegue dall’altra. Ma la differenza tra ''a'' e ''b'' ''non'' è una differenza nella forma logica, cosicché da questa differenza soltanto non seguirà nulla per quanto riguarda l’interpretazione di altri simboli. Dunque, per esempio, i simboli p . q, p ∨ q sembrano avere esattamente la ''stessa'' forma logica nella notazione ab. Eppure, dicono qualcosa di completamente diverso; e, se ti chiedi perché, la risposta pare essere: in un caso il frego in cima ha la forma b, nell’altro caso ha la forma a. Mentre l’interpretazione di una tautologia come una tautologia è un’interpretazione di una ''forma logica'', non l’elargizione di un significato a un frego dalla forma particolare. La cosa importante è che l’interpretazione della forma del simbolismo deve essere fissata fornendo un’interpretazione alle sue ''proprietà logiche'', ''non'' fornendo interpretazioni a particolari freghi.


Le costanti logiche non possono essere trasformate in variabili: perché ''ciò'' che simbolizza in esse ''non'' è lo stesso; tutti i simboli a cui può essere sostituita una variabile simbolizzano allo ''stesso'' modo.
Le costanti logiche non possono essere trasformate in variabili: perché ''ciò'' che simbolizza in esse ''non'' è lo stesso; tutti i simboli a cui può essere sostituita una variabile simbolizzano allo ''stesso'' modo.
Line 129: Line 129:
Descriviamo un simbolo e diciamo arbitrariamente «un simbolo così descritto è una tautologia». E allora ne segue immediatamente sia che ogni altro simbolo rispondente alla stessa descrizione è una tautologia, sia che ogni simbolo che ''non'' vi corrisponde non lo è. Ossia, abbiamo arbitrariamente stabilito che ogni simbolo così descritto dev’essere una tautologia; e, una volta stabilito questo, per quanto riguarda qualunque altro simbolo non è più arbitrario se sia una tautologia oppure no.
Descriviamo un simbolo e diciamo arbitrariamente «un simbolo così descritto è una tautologia». E allora ne segue immediatamente sia che ogni altro simbolo rispondente alla stessa descrizione è una tautologia, sia che ogni simbolo che ''non'' vi corrisponde non lo è. Ossia, abbiamo arbitrariamente stabilito che ogni simbolo così descritto dev’essere una tautologia; e, una volta stabilito questo, per quanto riguarda qualunque altro simbolo non è più arbitrario se sia una tautologia oppure no.


Avendo così stabilito cos’è una tautologia e cosa non lo è, possiamo allora, avendo stabilito di nuovo arbitrariamente che la relazione a-b è transitiva, ricavare dall’insieme di questi due fatti che «p ≡ ~(~p)» è una tautologia. Perché ~(~p) = a-b-a-p-b-a-b. Il punto è: il processo di ragionamento con cui arriviamo al risultato che a-b-a-p-b-a-b è lo ''stesso simbolo'' che a-p-b è esattamente identico a quello per mezzo del quale scopriamo che il suo significato è lo stesso, ossia quello in cui ragioniamo che se b-a-p-b-a, allora ''non'' a-p-b, se a-b-a-p-b-a-b allora ''non'' b-a-p-b-a, e perciò se a-b-a-p-b-a-b, allora a-p-b.
Avendo così stabilito cos’è una tautologia e cosa non lo è, possiamo allora, avendo stabilito di nuovo arbitrariamente che la relazione ''a''-''b'' è transitiva, ricavare dall’insieme di questi due fatti che «''p'' ≡ ~(~''p'')» è una tautologia. Perché ~(~''p'') = ''a''-''b''-''a''-''p''-''b''-''a''-''b''. Il punto è: il processo di ragionamento con cui arriviamo al risultato che ''a''-''b''-''a''-''p''-''b''-''a''-''b'' è lo ''stesso simbolo'' che ''a''-''p''-''b'' è esattamente identico a quello per mezzo del quale scopriamo che il suo significato è lo stesso, ossia quello in cui ragioniamo che se ''b''-''a''-''p''-''b''-''a'', allora ''non'' ''a''-''p''-''b'', se ''a''-''b''-''a''-''p''-''b''-''a''-''b'' allora ''non'' ''b''-''a''-''p''-''b''-''a'', e perciò se ''a''-''b''-''a''-''p''-''b''-''a''-''b'', allora ''a''-''p''-''b''.


Dal fatto che a-b è transitivo segue che dove abbiamo a-b-a la prima a intrattiene con la seconda a la stessa relazione che intrattiene con b. Proprio come dal fatto che a-vero implica b-falso, e che b-falso implica c-vero, ricaviamo che a-vero implica c-vero. E saremo in grado di vedere, avendo stabilito la descrizione di una tautologia, che p ≡ ~(~p) è una tautologia.
Dal fatto che ''a''-''b'' è transitivo segue che dove abbiamo ''a''-''b''-''a'' la prima ''a'' intrattiene con la seconda ''a'' la stessa relazione che intrattiene con ''b''. Proprio come dal fatto che ''a''-vero implica ''b''-falso, e che ''b''-falso implica ''c''-vero, ricaviamo che ''a''-vero implica ''c''-vero. E saremo in grado di vedere, avendo stabilito la descrizione di una tautologia, che {{nowrap|''p'' ≡ ~(~''p'')}} è una tautologia.


Il fatto che, quando viene fornita una certa regola, un simbolo è tautologico ''mostra'' una verità logica.
Il fatto che, quando viene fornita una certa regola, un simbolo è tautologico ''mostra'' una verità logica.
Line 139: Line 139:
Questo simbolo potrebbe essere interpretato sia come una tautologia sia come una contraddizione.
Questo simbolo potrebbe essere interpretato sia come una tautologia sia come una contraddizione.


Nello stabilire che ciò va interpretato come una tautologia e non come una contraddizione, non sto assegnando un ''significato'' ad a e a b; ovverosia non sto dicendo che essi simbolizzano cose diverse ma nello stesso modo. Sto dicendo invece che il modo in cui il polo a è connesso con l’intero simbolo simbolizza in un ''modo diverso'' dal modo in cui simbolizzerebbe se il simbolo venisse interpretato come una contraddizione. E aggiungo i freghi a e b solo per mostrare in quali modi la connessione sta simbolizzando, affinché risulti evidente che ogniqualvolta lo stesso frego figura nella posizione corrispondente in un altro simbolo, anche in quel caso la connessione sta simbolizzando nello stesso modo.
Nello stabilire che ciò va interpretato come una tautologia e non come una contraddizione, non sto assegnando un ''significato'' ad ''a'' e a ''b''; ovverosia non sto dicendo che essi simbolizzano cose diverse ma nello stesso modo. Sto dicendo invece che il modo in cui il polo ''a'' è connesso con l’intero simbolo simbolizza in un ''modo diverso'' dal modo in cui simbolizzerebbe se il simbolo venisse interpretato come una contraddizione. E aggiungo i freghi ''a'' e ''b'' solo per mostrare in quali modi la connessione sta simbolizzando, affinché risulti evidente che ogniqualvolta lo stesso frego figura nella posizione corrispondente in un altro simbolo, anche in quel caso la connessione sta simbolizzando nello stesso modo.


Potremmo, naturalmente, simbolizzare ogni funzione ab senza utilizzare affatto due poli ''esterni'', semplicemente, per esempio, omettendo il polo b; e qui a simbolizzare sarebbe il fatto che le tre coppie di poli interni delle proposizioni siano connessi in un certo modo con il polo a, mentre l’altra coppia ''non'' vi era connessa. E quindi la differenza tra i freghi a e b, dove li utilizziamo, mostra soltanto che è un diverso stato di cose che sta simbolizzando in un caso e nell’altro: in un caso il fatto che certi poli interni ''sono'' connessi in un certo modo con un polo esterno, nell’altro caso ''il fatto che non'' lo sono.
Potremmo, naturalmente, simbolizzare ogni funzione ab senza utilizzare affatto due poli ''esterni'', semplicemente, per esempio, omettendo il polo b; e qui a simbolizzare sarebbe il fatto che le tre coppie di poli interni delle proposizioni siano connessi in un certo modo con il polo a, mentre l’altra coppia ''non'' vi era connessa. E quindi la differenza tra i freghi ''a'' e ''b'', dove li utilizziamo, mostra soltanto che è un diverso stato di cose che sta simbolizzando in un caso e nell’altro: in un caso il fatto che certi poli interni ''sono'' connessi in un certo modo con un polo esterno, nell’altro caso ''il fatto che non'' lo sono.


Il simbolo per una tautologia, in qualunque forma lo mettiamo, sia che omettiamo il polo a sia che omettiamo il polo b, è sempre passibile di venire impiegato come il simbolo di una contraddizione; soltanto non nello stesso linguaggio.
Il simbolo per una tautologia, in qualunque forma lo mettiamo, sia che omettiamo il polo ''a'' sia che omettiamo il polo ''b'', è sempre passibile di venire impiegato come il simbolo di una contraddizione; soltanto non nello stesso linguaggio.


La ragione per cui ~x è privo di significato è semplicemente che non abbiamo dato alcun significato al simbolo ~ξ. Cioè, sebbene ϕx e ϕp diano l’impressione di essere dello stesso tipo, non lo sono, perché per poter fornire un significato a ~x dovresti avere una qualche ''proprietà'' ~ξ. Ciò che simbolizza in ϕξ è che ϕ sta a sinistra di ''un'' nome vero e proprio e ovviamente ciò non si verifica in ~p. Ciò che è comune a tutte le proposizioni in cui figura il nome di una proprietà (per parlare in approssimativamente) è il fatto che tale nome sta a sinistra di una ''forma-nome''.
La ragione per cui ~''x'' è privo di significato è semplicemente che non abbiamo dato alcun significato al simbolo ~ξ. Cioè, sebbene ϕ''x'' e ϕ''p'' diano l’impressione di essere dello stesso tipo, non lo sono, perché per poter fornire un significato a ~''x'' dovresti avere una qualche ''proprietà'' ~ξ. Ciò che simbolizza in ϕξ è che ϕ sta a sinistra di ''un'' nome vero e proprio e ovviamente ciò non si verifica in ~p. Ciò che è comune a tutte le proposizioni in cui figura il nome di una proprietà (per parlare in approssimativamente) è il fatto che tale nome sta a sinistra di una ''forma-nome''.


La ragione per cui, per esempio, sembra che «Platone Socrate» possa avere un significato, mentre non si sospetterà mai che «Abracadabra Socrate» ne abbia uno, consiste nel fatto che sappiamo che «Platone» ha un significato e non osserviamo che, affinché l’intera espressione abbia un significato, ciò che è necessario ''non'' è che «Platone» abbia un significato, ma che ce l’abbia il fatto ''che'' «Platone» ''sta a sinistra di un nome''.
La ragione per cui, per esempio, sembra che «Platone Socrate» possa avere un significato, mentre non si sospetterà mai che «Abracadabra Socrate» ne abbia uno, consiste nel fatto che sappiamo che «Platone» ha un significato e non osserviamo che, affinché l’intera espressione abbia un significato, ciò che è necessario ''non'' è che «Platone» abbia un significato, ma che ce l’abbia il fatto ''che'' «Platone» ''sta a sinistra di un nome''.
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La ragione per cui «la proprietà di non essere verde non è verde» è ''privo di senso'' consiste nel fatto che abbiamo fornito un significato soltanto al fatto che «verde» sta a destra di un nome; e «la proprietà di non essere verde» ovviamente ''non'' è un nome.
La ragione per cui «la proprietà di non essere verde non è verde» è ''privo di senso'' consiste nel fatto che abbiamo fornito un significato soltanto al fatto che «verde» sta a destra di un nome; e «la proprietà di non essere verde» ovviamente ''non'' è un nome.


ϕ non potrà mai stare a sinistra del simbolo di una proprietà (o in qualsiasi altra relazione con esso).  Perché il simbolo di una proprietà, per esempio ψx, è ''che'' ψ sta alla sinistra di una forma-nome, e un altro simbolo ϕ non potrà mai stare a sinistra di un tale ''fatto'': se potesse, disporremmo di un linguaggio illogico, il che è impossibile.
ϕ non potrà mai stare a sinistra del simbolo di una proprietà (o in qualsiasi altra relazione con esso).  Perché il simbolo di una proprietà, per esempio ψ''x'', è ''che'' ψ sta alla sinistra di una forma-nome, e un altro simbolo ϕ non potrà mai stare a sinistra di un tale ''fatto'': se potesse, disporremmo di un linguaggio illogico, il che è impossibile.


p è falso = ~(p è vero) Def.
:''p'' è falso = ~(''p'' è vero) Def.


È molto importante che le relazioni logiche apparenti ∨, ⸧, etc. necessitino di parentesi, punti, etc., ovverosia che abbiano «raggi d’azione»; ciò basta a mostrare che esse non sono relazioni. Questo fatto è stato trascurato proprio per la sua universalità – che è proprio ciò che lo rende tanto importante.<!-- [''Cfr.'' 5.461.]-->
È molto importante che le relazioni logiche apparenti ∨, ⸧, etc. necessitino di parentesi, punti, etc., ovverosia che abbiano «raggi d’azione»; ciò basta a mostrare che esse non sono relazioni. Questo fatto è stato trascurato proprio per la sua universalità – che è proprio ciò che lo rende tanto importante.<!-- [''Cfr.'' 5.461.]-->
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Le relazioni ''interne'' sono relazioni tra tipi che non possono essere espresse in proposizioni, ma sono tutte mostrate nei simboli stessi, e possono essere esibite sistematicamente in tautologie. Il motivo per cui giungiamo a chiamarle «relazioni» consiste nel fatto che le proposizioni logiche hanno con esse una relazione analoga a quelle che proposizioni propriamente relazionali hanno con le relazioni.
Le relazioni ''interne'' sono relazioni tra tipi che non possono essere espresse in proposizioni, ma sono tutte mostrate nei simboli stessi, e possono essere esibite sistematicamente in tautologie. Il motivo per cui giungiamo a chiamarle «relazioni» consiste nel fatto che le proposizioni logiche hanno con esse una relazione analoga a quelle che proposizioni propriamente relazionali hanno con le relazioni.


Le proposizioni possono avere l’una con l’altra molte relazioni interne diverse. ''Quella'' che ci autorizza a dedurne una dall’altra è che se, diciamo, ci sono  ϕa e ϕa ψa, allora ϕa . ϕa ψa : ⸧ : ψa è una tautologia.
Le proposizioni possono avere l’una con l’altra molte relazioni interne diverse. ''Quella'' che ci autorizza a dedurne una dall’altra è che se, diciamo, ci sono  ϕ''a'' e ϕ''a'' ψ''a'', allora ϕ''a'' . ϕ''a'' ψ''a'' : ⸧ : ψ''a'' è una tautologia.


Il simbolo d’identità esprime la relazione interna tra una funzione e il suo argomento: per esempio, ϕa = (∃x) . ϕx . x = a.
Il simbolo d’identità esprime la relazione interna tra una funzione e il suo argomento: per esempio, ϕ''a'' = (∃''x'') . ϕ''x'' . x = a.


È possibile vedere che la proposizione (∃x) . ϕx . x = a : ≡ : ϕa è una tautologia se si esprimono le ''condizioni'' della verità di (∃x) . ϕx . x = a, in successione, per esempio dicendo: ciò è vero ''se'' questo e questo; e ciò a suo volta è vero ''se'' questo e questo, etc., per (∃x) . ϕx . x = a; e poi anche per ϕa. Esprimere la questione in tal modo comporta di per sé una notazione gravosa, di cui la notazione ab è una traduzione più elegante.
È possibile vedere che la proposizione (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a'' : ≡ : ϕ''a'' è una tautologia se si esprimono le ''condizioni'' della verità di (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a'', in successione, per esempio dicendo: ciò è vero ''se'' questo e questo; e ciò a suo volta è vero ''se'' questo e questo, etc., per (∃''x'') . ϕ''x'' . ''x'' = ''a''; e poi anche per ϕ''a''. Esprimere la questione in tal modo comporta di per sé una notazione gravosa, di cui la notazione ab è una traduzione più elegante.


Ciò che simbolizza in un simbolo è ciò che è comune a tutti i simboli con cui, in accordo con le regole della logica = regole sintattiche per la manipolazione dei simboli, lo si potrebbe sostituire.<!-- [''Cfr''. 3.344.]-->
Ciò che simbolizza in un simbolo è ciò che è comune a tutti i simboli con cui, in accordo con le regole della logica = regole sintattiche per la manipolazione dei simboli, lo si potrebbe sostituire.<!-- [''Cfr''. 3.344.]-->


La domanda se una proposizione ha senso (''Sinn'') non può mai dipendere dalla ''verità'' di un’altra proposizione che verte su un costituente della prima. Per esempio, la domanda se (x) x = x ha significato (''Sinn'') non può dipendere dalla domanda se (∃x) x = x è ''vera''. Non descrive affatto la realtà, e ha a che fare quindi soltanto con simboli; e dice che essi devono ''simbolizzare'', ma non ''che cosa'' simbolizzano.
La domanda se una proposizione ha senso (''Sinn'') non può mai dipendere dalla ''verità'' di un’altra proposizione che verte su un costituente della prima. Per esempio, la domanda se (x) x = x ha significato (''Sinn'') non può dipendere dalla domanda se (∃''x'') x = x è ''vera''. Non descrive affatto la realtà, e ha a che fare quindi soltanto con simboli; e dice che essi devono ''simbolizzare'', ma non ''che cosa'' simbolizzano.


È ovvio che i punti e le parentesi sono simboli, ed è ovvio che non hanno alcun significato ''indipendente''. Per introdurre le cosiddette «costanti logiche» nella maniera corretta, devi dunque introdurre la nozione generale di ''tutte'' le loro ''possibili'' combinazioni = la forma generale di una proposizione. Introduci dunque sia le funzioni ab, sia l’identità, sia l’universalità (le tre costanti fondamentali) contemporaneamente.
È ovvio che i punti e le parentesi sono simboli, ed è ovvio che non hanno alcun significato ''indipendente''. Per introdurre le cosiddette «costanti logiche» nella maniera corretta, devi dunque introdurre la nozione generale di ''tutte'' le loro ''possibili'' combinazioni = la forma generale di una proposizione. Introduci dunque sia le funzioni ab, sia l’identità, sia l’universalità (le tre costanti fondamentali) contemporaneamente.


La ''proposizione variabile'' p ⸧ p non è identica alla ''proposizione variabile'' ~(p . ~p). Gli universali corrispondenti ''sarebbero'' identici. La proposizione variabile ~(p . ~p) mostra che da ~(p . q) ottieni una tautologia sostituendo ~p a q, mentre l’altra non lo mostra.
La ''proposizione variabile'' ''p'' ''p'' non è identica alla ''proposizione variabile'' ~(''p'' . ~''p''). Gli universali corrispondenti ''sarebbero'' identici. La proposizione variabile ~(p . ~p) mostra che da ~(p . q) ottieni una tautologia sostituendo ~''p'' a ''q'', mentre l’altra non lo mostra.


È molto importante rendersi conto che il fatto di avere due relazioni diverse (a,b)R, (cd)S ''non'' stabilisce una correlazione tra a e c, e b e d, oppure tra a e d, e b e c: non viene stabilita proprio nessuna correlazione. Naturalmente, nel caso di due coppie di termini uniti dalla ''stessa'' relazione, una correlazione c’è. Questo mostra che la teoria secondo cui un fatto relazionale conterrebbe i termini e le relazioni uniti da una ''copula'' (ε<sub>2</sub>) non è vera; se fosse vera, infatti, dovrebbe esserci una corrispondenza tra i termini di diverse relazioni.
È molto importante rendersi conto che il fatto di avere due relazioni diverse (''a'',''b'')R, (''c'',''d'')S ''non'' stabilisce una correlazione tra ''a'' e ''c'', e ''b'' e ''d'', oppure tra ''a'' e ''d'', e ''b'' e ''c'': non viene stabilita proprio nessuna correlazione. Naturalmente, nel caso di due coppie di termini uniti dalla ''stessa'' relazione, una correlazione c’è. Questo mostra che la teoria secondo cui un fatto relazionale conterrebbe i termini e le relazioni uniti da una ''copula'' (ε<sub>2</sub>) non è vera; se fosse vera, infatti, dovrebbe esserci una corrispondenza tra i termini di diverse relazioni.


Sorge la domanda: come può una proposizione (o funzione) figurare in un’altra proposizione? La proposizione o funzione stessa non potrà mai stare in relazione con gli altri simboli. Perciò dobbiamo introdurre immediatamente funzioni e nomi nella nostra forma generale di una proposizione; spiegando cosa si intende dando significato al fatto che i nomi stanno tra i |,<!--<ref>Forse «tra gli operatori di Sheffer». [''Edd.'']</ref>--> e che la funzione sta a sinistra dei nomi.
Sorge la domanda: come può una proposizione (o funzione) figurare in un’altra proposizione? La proposizione o funzione stessa non potrà mai stare in relazione con gli altri simboli. Perciò dobbiamo introdurre immediatamente funzioni e nomi nella nostra forma generale di una proposizione; spiegando cosa si intende dando significato al fatto che i nomi stanno tra i |,<!--<ref>Forse «tra gli operatori di Sheffer». [''Edd.'']</ref>--> e che la funzione sta a sinistra dei nomi.
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Le funzioni logiche si presuppongono tutte a vicenda. Proprio come possiamo vedere che ~p non ha senso, se neanche p ce l’ha; così possiamo anche dire che p non ha senso se non ha senso ~p. La questione è ben diversa con ϕa e a; poiché qui a ha un significato indipendente da ϕa, anche se ϕa lo presuppone.
Le funzioni logiche si presuppongono tutte a vicenda. Proprio come possiamo vedere che ~''p'' non ha senso, se neanche ''p'' ce l’ha; così possiamo anche dire che ''p'' non ha senso se non ha senso ~''p''. La questione è ben diversa con ϕ''a'' e ''a''; poiché qui ''a'' ha un significato indipendente da ϕ''a'', anche se ϕ''a'' lo presuppone.


Le costanti logiche sembrano essere simboli-complessi, ma d’altro canto sono reciprocamente intercambiabili. Dunque non sono davvero complessi; ciò che simbolizza è semplicemente il modo generale in cui sono combinate.
Le costanti logiche sembrano essere simboli-complessi, ma d’altro canto sono reciprocamente intercambiabili. Dunque non sono davvero complessi; ciò che simbolizza è semplicemente il modo generale in cui sono combinate.
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Diversi tipi logici possono non avere assolutamente nulla in comune. Ma il mero fatto che si possa parlare della possibilità di una relazione di n posizioni, o di un’analogia tra una relazione con due posizioni e una relazione con quattro posizioni, mostra che relazioni con posizioni in numero diverso hanno qualcosa in comune, che dunque non si tratta qui di una differenza di tipo, ma di una differenza come quella tra nomi diversi – qualcosa che dipende dall’esperienza. Ciò risponde alla domanda su come possiamo sapere di essere davvero arrivati alla forma più generale di una proposizione. Dobbiamo solo introdurre ciò che è ''comune'' a tutte le relazioni con posizioni in numero qualsiasi.
Diversi tipi logici possono non avere assolutamente nulla in comune. Ma il mero fatto che si possa parlare della possibilità di una relazione di n posizioni, o di un’analogia tra una relazione con due posizioni e una relazione con quattro posizioni, mostra che relazioni con posizioni in numero diverso hanno qualcosa in comune, che dunque non si tratta qui di una differenza di tipo, ma di una differenza come quella tra nomi diversi – qualcosa che dipende dall’esperienza. Ciò risponde alla domanda su come possiamo sapere di essere davvero arrivati alla forma più generale di una proposizione. Dobbiamo solo introdurre ciò che è ''comune'' a tutte le relazioni con posizioni in numero qualsiasi.


La relazione tra «io credo e «p» può essere confrontata con la relazione tra «“p” dice (besagt) p» e p: il fatto che ''io'' sia un semplice è tanto impossibile quanto il fatto che lo sia «p».
La relazione tra «io credo ''p''» e «''p''» può essere confrontata con la relazione tra «“p” dice (besagt) p» e p: il fatto che ''io'' sia un semplice è tanto impossibile quanto il fatto che lo sia «p».




{{paid for by|the University of Milan}}
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