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Osserva questo gioco linguistico e vedi se riesci a trovare la relazione misteriosa tra l’oggetto e il suo nome. – La relazione di nome e oggetto, possiamo dire, consiste nel fatto che uno scarabocchio è scritto sopra un oggetto (o in qualche altra relazione altrettanto banale) e nient’altro. Questo però non ci soddisfa, perché abbiamo l’impressione che in sé uno scarabocchio scritto su un oggetto non rivesta per noi alcuna importanza e non ci interessi affatto. Ed è vero; tutta l’importanza risiede nell’uso particolare che facciamo dello scarabocchio scritto sull’oggetto e noi, in un certo senso, semplifichiamo la questione dicendo che il nome ha una relazione peculiare con il suo oggetto, una relazione diversa dal fatto, diciamo, di essere scritto sull’oggetto, o di essere pronunciato da una persona che con un dito indica l’oggetto. Una filosofia primitiva condensa l’intero uso del nome nell’idea di una relazione, che dunque diviene una relazione misteriosa. (Confronta le idee di attività mentali quali desiderare, credere, pensare, ecc. che per la stessa ragione hanno in sé un che di misterioso e inesplicabile.) | Osserva questo gioco linguistico e vedi se riesci a trovare la relazione misteriosa tra l’oggetto e il suo nome. – La relazione di nome e oggetto, possiamo dire, consiste nel fatto che uno scarabocchio è scritto sopra un oggetto (o in qualche altra relazione altrettanto banale) e nient’altro. Questo però non ci soddisfa, perché abbiamo l’impressione che in sé uno scarabocchio scritto su un oggetto non rivesta per noi alcuna importanza e non ci interessi affatto. Ed è vero; tutta l’importanza risiede nell’uso particolare che facciamo dello scarabocchio scritto sull’oggetto e noi, in un certo senso, semplifichiamo la questione dicendo che il nome ha una relazione peculiare con il suo oggetto, una relazione diversa dal fatto, diciamo, di essere scritto sull’oggetto, o di essere pronunciato da una persona che con un dito indica l’oggetto. Una filosofia primitiva condensa l’intero uso del nome nell’idea di una relazione, che dunque diviene una relazione misteriosa. (Confronta le idee di attività mentali quali desiderare, credere, pensare, ecc. che per la stessa ragione hanno in sé un che di misterioso e inesplicabile.) | ||
Potremmo usare l’espressione | Potremmo usare l’espressione “La relazione tra nome e oggetto non consiste solo in questa connessione banale, ‘puramente esteriore’”, intendendo che ciò che chiamiamo il rapporto tra nome e oggetto è caratterizzato dall’impiego complessivo del nome; ma allora è chiaro che tra nome e oggetto non c’è una sola relazione, ma tante quanti sono gli usi dei suoni o degli scarabocchi che chiamiamo nomi. | ||
Possiamo dire dunque che, se nominare qualcosa dev’essere più del solo fatto di emettere un suono indicando un oggetto, allora in un modo o nell’altro deve entrare in gioco la conoscenza di come il suono o il fregio va usato nel specifico. | Possiamo dire dunque che, se nominare qualcosa dev’essere più del solo fatto di emettere un suono indicando un oggetto, allora in un modo o nell’altro deve entrare in gioco la conoscenza di come il suono o il fregio va usato nel specifico. | ||
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Non si tratta allora di una domanda senza importanza, ma di una domanda che tocca l’essenza della questione: “‘A’ e ‘B’ servono a ricordarmi tali aspetti? posso eseguire un ordine come ‘vedi questo disegno sotto l’aspetto ‘A’? ci sono, in qualche modo, immagini di questi aspetti correlate ai nomi ‘A’ e ‘B’ (come [[File:Brown Book 2-Ts310,134d.png|80px|link=]] e [[File:Brown Book 2-Ts310,134e.png|80px|link=]])? ‘A’ e ‘B’ vengono impiegati per comunicare con altre persone? e qual è di preciso il gioco che viene giocato con essi?” | Non si tratta allora di una domanda senza importanza, ma di una domanda che tocca l’essenza della questione: “‘A’ e ‘B’ servono a ricordarmi tali aspetti? posso eseguire un ordine come ‘vedi questo disegno sotto l’aspetto ‘A’? ci sono, in qualche modo, immagini di questi aspetti correlate ai nomi ‘A’ e ‘B’ (come [[File:Brown Book 2-Ts310,134d.png|80px|link=]] e [[File:Brown Book 2-Ts310,134e.png|80px|link=]])? ‘A’ e ‘B’ vengono impiegati per comunicare con altre persone? e qual è di preciso il gioco che viene giocato con essi?” | ||
Quando dico | Quando dico “Non vedo meri tratti di penna (un mero scarabocchio) ma un volto (o parola) con questa fisionomia particolare”, non voglio affermare alcuna caratteristica generale di ciò che vedo, bensì affermare che vedo quella fisionomia particolare che in effetti vedo. È ovvio che qui la mia espressione si muove in circolo. Ma ciò accade perché in realtà la fisionomia particolare che ho visto avrebbe dovuto entrare nella mia proposizione. – Quando mi accorgo che “Mentre leggo una frase, per tutto il tempo ha luogo un’esperienza peculiare”, devo in realtà proseguire piuttosto a lungo nella lettura prima di ottenere l’impressione peculiare che ci fa dire così. | ||
Allora avrei potuto dire, | Allora avrei potuto dire, “Osservo che la stessa esperienza ha luogo per tutto il tempo”, ma volevo dire: “Non noto solo che rimane sempre la stessa esperienza, noto proprio un’esperienza particolare”. Guardando una parete dal colore uniforme potrei affermare, “Non vedo solo che è ovunque dello stesso colore, vedo anche il colore particolare”. Dicendo così però presuppongo un’idea errata della funzione di una frase. – Sembra che tu voglia specificare il colore che vedi, ma non dicendo qualcosa su di esso, né paragonandolo con un campione – bensì indicandolo; impiegandolo al contempo come campione e come ciò con cui il campione viene confrontato. | ||
Considera l’esempio: mi chiedi di scrivere alcune righe e, mentre io lo faccio, dici, | Considera l’esempio: mi chiedi di scrivere alcune righe e, mentre io lo faccio, dici, “Mentre scrivi senti qualcosa nella mano?”. Io rispondo, “Sì, ho una sensazione particolare”. – Mentre scrivo, non posso dire a me stesso “Ho ''questa'' sensazione”? Certo che posso dirlo e, nel dire “questa sensazione”, mi concentro sulla sensazione. – Che cosa faccio però con tale frase? A che cosa mi serve? Sembra che stia indicando a me stesso ciò che provo – come se il mio atto di concentrazione fosse un atto “interiore” di indicare, di cui nessuno si accorge tranne me, questo comunque non è importante. Ma prestando attenzione alla sensazione non la indico. Piuttosto, prestare attenzione alla sensazione significa produrla o modificarla. (D’altronde prestare attenzione a una sedia non significa produrre o modificare la sedia.) | ||
La frase | La frase “Mentre scrivo provo ''questa'' sensazione” è dello stesso tipo della frase “Vedo questo”. Non intendo la frase come quando la si usa per informare qualcuno che si sta guardando l’oggetto che si indica, e nemmeno come quando la si usa, ad esempio in ),<ref>Il riferimento è mancante nel testo originale. ''N.d.C.''</ref> per comunicare che si vede un certo disegno nel modo A e non nel modo B. Intendo la frase “Vedo questo” per come talvolta la contempliamo quando rimuginiamo su certi problemi filosofici. In tali casi rimaniamo, per così dire, attaccati a una particolare impressione visiva fissando un certo oggetto, e sentiamo che è perfettamente naturale dire a noi stessi “Vedo questo” anche se non conosciamo ulteriori impieghi di questa frase. | ||
“Di certo ha senso dire che cosa vedo, e come potrei farlo meglio che lasciando che sia quello che vedo a parlare da solo?” | “Di certo ha senso dire che cosa vedo, e come potrei farlo meglio che lasciando che sia quello che vedo a parlare da solo?” | ||
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In realtà sto eseguendo gli atti connessi al prestare attenzione che potrebbero accompagnare l’uso di un campione. Ed è questo a dare l’idea che mi stia servendo di un campione. L’errore è simile al fatto di credere che una definizione ostensiva dica qualcosa sull’oggetto verso cui dirige la nostra attenzione. | In realtà sto eseguendo gli atti connessi al prestare attenzione che potrebbero accompagnare l’uso di un campione. Ed è questo a dare l’idea che mi stia servendo di un campione. L’errore è simile al fatto di credere che una definizione ostensiva dica qualcosa sull’oggetto verso cui dirige la nostra attenzione. | ||
Quando ho detto | Quando ho detto “Mi sbaglio sulla funzione di una frase” era perché con il suo ausilio pareva che indicassi a me stesso il colore che vedo, e invece osservavo soltanto un campione di colore. Mi sembrava che il campione fosse la descrizione del proprio colore. | ||
Immagina che io dica a qualcuno | Immagina che io dica a qualcuno “Osserva la luce particolare della stanza”. – In certe circostanze il senso di quest’ordine sarà perfettamente chiaro, per esempio se il tramonto arrossa le pareti. Supponi però che in una qualunque altra occasione in cui non c’è nulla di notevole nell’illuminazione io dica “Osserva la luce particolare di questa della stanza”: – Be’, non c’è una luce particolare? Quindi dove sta la difficoltà nell’osservarla? La persona però a cui abbiamo detto di osservare la luce, quando questa non aveva nulla di particolare, probabilmente si guarderebbe in giro e direbbe “Be’, che cos’ha?”. A questo punto io potrei dire “È proprio la stessa luce di ieri a quest’ora”, oppure “È la stessa identica luce un po’ fioca che si vede in quest’immagine della stanza”. | ||
Nel primo caso, quando la stanza era illuminata di un rosso suggestivo, avresti potuto indicare la peculiarità che, pur non esplicitandolo, volevo tu osservassi. Per esempio per indicarla avresti potuto utilizzare un campione di quel colore particolare. In questo caso saremo propensi a dire che la peculiarità si è aggiunta all’aspetto normale della stanza. | Nel primo caso, quando la stanza era illuminata di un rosso suggestivo, avresti potuto indicare la peculiarità che, pur non esplicitandolo, volevo tu osservassi. Per esempio per indicarla avresti potuto utilizzare un campione di quel colore particolare. In questo caso saremo propensi a dire che la peculiarità si è aggiunta all’aspetto normale della stanza. | ||
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Nel secondo caso, quando nella stanza c’era soltanto la luce normale e nel suo aspetto non c’era nulla di notevole, ti sei trovato disorientato quando ti ho detto di osservare la luce nella stanza. Hai potuto solo guardarti attorno in attesa di una precisazione ulteriore in grado di completare il senso del comando originale. | Nel secondo caso, quando nella stanza c’era soltanto la luce normale e nel suo aspetto non c’era nulla di notevole, ti sei trovato disorientato quando ti ho detto di osservare la luce nella stanza. Hai potuto solo guardarti attorno in attesa di una precisazione ulteriore in grado di completare il senso del comando originale. | ||
Ma in entrambi i casi la camera non era illuminata in una maniera particolare? Be’, per come è formulata, questa domanda è priva di senso, come anche la risposta | Ma in entrambi i casi la camera non era illuminata in una maniera particolare? Be’, per come è formulata, questa domanda è priva di senso, come anche la risposta “Era…”. L’ordine “Osserva la luce particolare di questa stanza” non implica alcuna affermazione sull’aspetto della stanza. Pareva che dicesse “Questa stanza ha una luce particolare, non c’è bisogno che la nomini; osservala!”. La luce a cui si fa riferimento, sembra, è data da un campione, e tu lo devi utilizzare; come faresti per copiare la sfumatura esatta di un campione di colore esibita da una tavolozza. In realtà però l’ordine è simile a questo: “Afferra questo campione!”. | ||
Immagina di dire | Immagina di dire “C’è una luce particolare che devo osservare”. Potresti immaginarti in tal caso intento a guardarti in giro invano, ovvero senza vedere la luce. | ||
Avresti potuto ricevere un campione, per esempio un pezzo di materiale colorato, e poi l’ordine | Avresti potuto ricevere un campione, per esempio un pezzo di materiale colorato, e poi l’ordine “Osserva il colore di questa superficie”. – Possiamo operare una distinzione tra l’osservare la forma del campione, prestare attenzione a essa, e il prestare attenzione al suo colore. Tuttavia il fatto di prestare attenzione al colore non può essere descritto come il fatto di guardare una cosa che è connessa al campione, bensì come il fatto di guardare il campione in un modo particolare. | ||
Quando obbediamo all’ordine | Quando obbediamo all’ordine “Osserva il colore…”, ciò che facciamo è aprire gli occhi al colore. “Osserva il colore…” non significa “Vedi il colore che vedi”. L’ordine “Guarda questo-e-quello” è del tipo di “Gira la testa in quella direzione”; ciò che vedrai nel farlo non rientra nell’ordine. Con il prestare attenzione, il guardare, produci un’impressione; non puoi guardare l’impressione. | ||
Immagina che al nostro ordine qualcuno risponda | Immagina che al nostro ordine qualcuno risponda “Va bene, adesso sto osservando la luce particolare della stanza”, – suonerebbe come se egli potesse indicarci di che luce si tratti. L’ordine, cioè, sembrerebbe averti detto di fare qualcosa con questa luce particolare piuttosto che con un’altra (alla stregua di “Dipingi questa luce, non quella”). Tu però obbedisci all’ordine afferrando ''la luce'' piuttosto che le dimensioni, le forme, ecc. | ||
(Paragona | (Paragona “Afferra il colore di questo campione” con “Afferra questa penna”, ovvero eccola qui, afferrala.) | ||
Torno alla frase | Torno alla frase “Questa faccia ha un’espressione particolare”. Anche qui non ho confrontato la mia impressione da nulla, non l’ho distinta da nulla, non mi sono servito del campione posto davanti a me. La frase era l’enunciazione di uno stato di attenzione. | ||
Ciò che va spiegato è questo: perché parliamo alla nostra impressione? – Leggi, ti metti in uno stato di attenzione e dici: | Ciò che va spiegato è questo: perché parliamo alla nostra impressione? – Leggi, ti metti in uno stato di attenzione e dici: “Senza dubbio accade qualcosa di peculiare”. Sei portato a proseguire: “Qui c’è una certa fluidità”; ma senti che questa è soltanto una descrizione inadeguata e che l’esperienza deve bastare a se stessa. “Senza dubbio accade qualcosa di peculiare” è come dire “Ho avuto un’esperienza”. Tu però non vuoi esprimere un’affermazione generica indipendente dall’esperienza particolare che hai avuto, bensì un’affermazione in cui fa il suo ingresso questa esperienza. | ||
Hai un’impressione. Questo ti porta ad affermare | Hai un’impressione. Questo ti porta ad affermare “Ho un’impressione'' particolare''” e questa frase sembra dire, a te stesso almeno, quale impressione hai. Come se ti riferissi a un’immagine pronta nella tua mente e dicessi “Ecco, la mia impressione è così”. Invece hai solo indicato la tua impressione. Nel nostro caso ),<ref>Il riferimento è mancante nel testo originale. ''N.d.C.''</ref> dire “Noto il colore particolare di questa parete” è come disegnare, per esempio, un rettangolo nero attorno a una piccola porzione del muro e designare quella porzione come campione in vista di impieghi ulteriori. | ||
Quando leggevi, mentre facevi per così dire molta attenzione a ciò che accadeva mentre leggevi, pareva che osservassi il fatto di leggere sotto una lente di ingrandimento e vedessi il processo della lettura. (In realtà il caso è più simile all’osservare qualcosa attraverso un vetro colorato.) Tu pensi di aver scorto il processo della lettura, il modo particolare in cui i segni si traducono in parole pronunciate. | Quando leggevi, mentre facevi per così dire molta attenzione a ciò che accadeva mentre leggevi, pareva che osservassi il fatto di leggere sotto una lente di ingrandimento e vedessi il processo della lettura. (In realtà il caso è più simile all’osservare qualcosa attraverso un vetro colorato.) Tu pensi di aver scorto il processo della lettura, il modo particolare in cui i segni si traducono in parole pronunciate. | ||
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Ho letto una riga con attenzione particolare; sono colpito dalla lettura e ciò mi porta a dire che ho osservato qualcos’altro oltre al mero fatto di vedere i segni scritti e di dire le parole. Ho anche espresso ciò dicendo che ho notato un’atmosfera particolare attorno al vedere e al dire. In che modo una metafora come quella contenuta nell’ultima frase mi si può presentare lo si vede più chiaramente esaminando l’esempio seguente: se hai sentito delle frasi pronunciate in tono monocorde, sei propenso a dire che le parole erano tutte avvolte da una particolare atmosfera. Non si userebbe tuttavia un modo di rappresentazione peculiare se si dicesse che pronunciare la frase in tono monocorde era aggiungere qualcosa al dirla e basta? Non si potrebbe anche concepire tale tono monocorde quale risultato del ''togliere'' alla frase la sua intonazione? Circostanze diverse ci farebbero adottare modi di rappresentazione diversi. Se per esempio certe parole vanno lette in tono monocorde, poiché ce lo indica un pentagramma con una nota sostenuta posta sotto le parole scritte, tale notazione suggerirebbe con grande forza l’idea che si sia aggiunto qualcosa al mero pronunciare la frase. | Ho letto una riga con attenzione particolare; sono colpito dalla lettura e ciò mi porta a dire che ho osservato qualcos’altro oltre al mero fatto di vedere i segni scritti e di dire le parole. Ho anche espresso ciò dicendo che ho notato un’atmosfera particolare attorno al vedere e al dire. In che modo una metafora come quella contenuta nell’ultima frase mi si può presentare lo si vede più chiaramente esaminando l’esempio seguente: se hai sentito delle frasi pronunciate in tono monocorde, sei propenso a dire che le parole erano tutte avvolte da una particolare atmosfera. Non si userebbe tuttavia un modo di rappresentazione peculiare se si dicesse che pronunciare la frase in tono monocorde era aggiungere qualcosa al dirla e basta? Non si potrebbe anche concepire tale tono monocorde quale risultato del ''togliere'' alla frase la sua intonazione? Circostanze diverse ci farebbero adottare modi di rappresentazione diversi. Se per esempio certe parole vanno lette in tono monocorde, poiché ce lo indica un pentagramma con una nota sostenuta posta sotto le parole scritte, tale notazione suggerirebbe con grande forza l’idea che si sia aggiunto qualcosa al mero pronunciare la frase. | ||
Sono colpito dalla lettura di una frase e dico che la frase mi ha mostrato qualcosa, che in essa ho scorto qualcosa. Questo mi ha fatto pensare all’esempio seguente: un amico e io una volta stavamo guardando delle aiuole di viole. Ogni aiuola ne mostrava un tipo diverso. Ognuna, in successione, ci ha impressionati. A proposito il mio amico ha detto | Sono colpito dalla lettura di una frase e dico che la frase mi ha mostrato qualcosa, che in essa ho scorto qualcosa. Questo mi ha fatto pensare all’esempio seguente: un amico e io una volta stavamo guardando delle aiuole di viole. Ogni aiuola ne mostrava un tipo diverso. Ognuna, in successione, ci ha impressionati. A proposito il mio amico ha detto “Che varietà di schemi di colore, e ognuno dice qualcosa”. Era proprio la stessa cosa che avrei voluto dire io. | ||
Confronta tale affermazione con la seguente: | Confronta tale affermazione con la seguente: “Ognuno di questi uomini dice qualcosa”. ‒ ‒ | ||
Se ci avessero chiesto cosa diceva lo schema di colore delle viole, mi pare che la risposta giusta sarebbe stata che diceva se stesso. Quindi avremmo potuto impiegare una forma intransitiva di espressione come | Se ci avessero chiesto cosa diceva lo schema di colore delle viole, mi pare che la risposta giusta sarebbe stata che diceva se stesso. Quindi avremmo potuto impiegare una forma intransitiva di espressione come “Ognuno di questi schemi di colore ci impressiona”. | ||
Talvolta si è detto che ciò che la musica comunica consiste in sensazioni di gioia, malinconia, trionfo, ecc. ecc. e ciò che ci urta in tale tesi è che sembra voler dire che la musica è uno strumento per produrre in noi una successione di sensazioni. Se ne potrebbe desumere che qualunque altro modo di generare suddetti sentimenti sarebbe in grado per noi di fare le veci della musica. A questo siamo tentati di ribattere | Talvolta si è detto che ciò che la musica comunica consiste in sensazioni di gioia, malinconia, trionfo, ecc. ecc. e ciò che ci urta in tale tesi è che sembra voler dire che la musica è uno strumento per produrre in noi una successione di sensazioni. Se ne potrebbe desumere che qualunque altro modo di generare suddetti sentimenti sarebbe in grado per noi di fare le veci della musica. A questo siamo tentati di ribattere “La musica ci comunica ''se stessa''!”. | ||
Vale un discorso simile per espressioni come | Vale un discorso simile per espressioni come “Ognuno di questi schemi di colore ci impressiona”. Sentiamo di volerci difendere dall’idea che uno schema di colore sia un modo di produrre in noi una certa impressione – come se lo schema di colore fosse una droga e noi fossimo interessati solo all’effetto prodotto da tale droga. – Vogliamo evitare ogni forma di espressione che sembri riferirsi a un effetto prodotto da un oggetto su un soggetto. (Qui lambiamo il problema dell’idealismo e del realismo e quello dell’oggettività o soggettività delle proposizioni dell’estetica.) Dire “Io vedo questo e sono impressionato” tende a far sembrare che l’impressione sia una qualche sensazione che accompagna il vedere, e che la frase dica qualcosa come “Io vedo questo e sento una pressione”. | ||
Avrei potuto adoperare l’espressione | Avrei potuto adoperare l’espressione “Ognuno di questi schemi di colore ha significato”; – non ho detto “Ha significato” perché avrei innescato la domanda “Quale significato?”, che nel caso in questione è priva di senso. Stiamo distinguendo tra schemi senza significato e schemi dotati di significato; nel nostro gioco però non ci sono espressioni come “Questo schema ha questo-e-questo significato”. E nemmeno espressioni come “Questi due schemi hanno significati diversi”, a meno che essa voglia dire “Questi sono due schemi diversi e hanno entrambi un significato”. | ||
È facile però capire perché saremmo propensi a impiegare la forma transitiva di espressione. Vediamo infatti quale uso facciamo di espressioni come | È facile però capire perché saremmo propensi a impiegare la forma transitiva di espressione. Vediamo infatti quale uso facciamo di espressioni come “Questo volto dice qualcosa”, cioè quali sono le situazioni in cui ci serviamo di tale espressione, che genere di frase precederebbe o seguirebbe (in quale tipo di conversazione rientrerebbe). Forse dopo aver fatto un’affermazione simile diremmo “Guarda la linea di queste sopracciglia!” oppure “Che occhi ''scuri'' e che viso ''pallido''!”; queste espressioni attirerebbero l’attenzione su certi elementi. Nella stessa connessione utilizzeremmo paragoni, come per esempio “Il naso sembra un becco”, – ma anche espressioni come “Nel complesso il volto esprime stupefazione”, e qui abbiamo impiegato “esprimere” transitivamente. | ||
Possiamo ora considerare frasi che, potremmo dire, forniscono un’analisi dell’impressione che ricaviamo, per esempio, da un volto. Prendiamo un’affermazione come | Possiamo ora considerare frasi che, potremmo dire, forniscono un’analisi dell’impressione che ricaviamo, per esempio, da un volto. Prendiamo un’affermazione come “La particolare impressione di questa faccia è dovuta agli occhi piccoli e alla fronte bassa”. Qui le parole “la particolare impressione” possono fare le veci di una specificazione determinata, per esempio “l’espressione stupida”. O invece possono significare “ciò che rende questa espressione notevole” (cioè straordinaria); oppure “ciò che ci colpisce in questo volto” (cioè “quello che attira la nostra attenzione”). O ancora la frase potrebbe significare “Se alteri anche di pochissimo ''questi'' tratti, l’espressione cambia del tutto (mentre invece potresti modificarne altri senza che l’espressione subisca un cambiamento lontanamente paragonabile)”. La forma di quest’affermazione, comunque, non deve indurci erroneamente a pensare che in ogni caso ci sia un’affermazione supplementare della forma di “Prima l’espressione era ''questa'', dopo il cambiamento è ''quella''”. Possiamo dire naturalmente “Smith ha aggrottato la fronte e la sua espressione è cambiata da questa a quella”, indicando per esempio due disegni del suo viso. – (Confronta con ciò le seguenti due affermazioni: “Ha detto queste parole” e “Le sue parole dicevano qualcosa”.) | ||
Quando, cercando di vedere in che cosa consisteva il leggere, ho letto una frase scritta, ho lasciato che il leggerla si imprimesse su di me e ho detto di aver avuto una particolare impressione, mi si sarebbe potuto chiedere per esempio se a generare tale particolare impressione non sia stata, poniamo, la grafia. Cioè se la mia impressione non sarebbe stata diversa se la scrittura fosse stata diversa, o se per esempio ogni parola della frase fosse state scritta con una grafia diversa. In questo senso potremmo anche chiederci se l’impressione in fondo non era dovuta al ''senso'' della frase particolare che ho letto. Si potrebbe suggerire: leggi un’altra frase (o la stessa frase scritta in un’altra grafia) e vedi se diresti ancora di aver avuto la stessa impressione. La risposta potrebbe essere: | Quando, cercando di vedere in che cosa consisteva il leggere, ho letto una frase scritta, ho lasciato che il leggerla si imprimesse su di me e ho detto di aver avuto una particolare impressione, mi si sarebbe potuto chiedere per esempio se a generare tale particolare impressione non sia stata, poniamo, la grafia. Cioè se la mia impressione non sarebbe stata diversa se la scrittura fosse stata diversa, o se per esempio ogni parola della frase fosse state scritta con una grafia diversa. In questo senso potremmo anche chiederci se l’impressione in fondo non era dovuta al ''senso'' della frase particolare che ho letto. Si potrebbe suggerire: leggi un’altra frase (o la stessa frase scritta in un’altra grafia) e vedi se diresti ancora di aver avuto la stessa impressione. La risposta potrebbe essere: “Sì, l’impressione che ho avuto era davvero dovuta alla grafia”. – Questo però ''non'' implicherebbe che quando prima ho detto che la frase mi ha dato un’impressione particolare io abbia distinto un’impressione rispetto a un’altra, o che la mia affermazione non fosse del tipo di “Questa frase ha ''la propria espressione''”. Ciò diventerà più chiaro se consideriamo l’esempio seguente: immagina di avere tre facce disegnate una accanto all’altra: a) [[File:Brown Book 2-Ts310,159a.png|40px|link=]], b) [[File:Brown Book 2-Ts310,159b.png|40px|link=]], c) [[File:Brown Book 2-Ts310,159c.png|40px|link=]]. Dovrebbero essere assolutamente identiche, tranne che per un tratto in più in b) e due punti in c). Contemplo la prima pensando “Questa faccia ha un’espressione peculiare”. Mi si mostra la seconda e mi si chiede se ha la stessa espressione. Rispondo “Sì”. Poi mi mostrano la terza e dico “Questa ha un’espressione diversa”. Si potrebbe dire che nelle mie due risposte io abbia distinto la faccia e la sua espressione: perché, pur essendo b) diversa da a), io dico che hanno la stessa espressione, mentre la differenza tra c) e a) corrisponde a una differenza di espressione; e questo può portarci a pensare che anche nella mia prima enunciazione ho distinto la faccia e la sua espressione. | ||
Torniamo all’idea di una sensazione di familiarità che sorge quando vedo oggetti familiari. Ponderando la questione se un tale senso esiste o no, probabilmente guardiamo un qualche oggetto e diciamo | Torniamo all’idea di una sensazione di familiarità che sorge quando vedo oggetti familiari. Ponderando la questione se un tale senso esiste o no, probabilmente guardiamo un qualche oggetto e diciamo “Quando osservo il mio vecchio cappotto e il cappello, non provo una sensazione particolare?”. A questo però rispondiamo ora: con quale sensazione la confronti, oppure da quale la distingui? Diresti che il tuo vecchio cappotto ti genera la stessa sensazione del tuo vecchio amico A, il cui aspetto ti è altrettanto familiare, o che ''ogni volta'' che guardi il cappotto hai una sensazione, ad esempio, di intimità e di calore? | ||
“Non esiste dunque qualcosa come una sensazione di familiarità?” – Direi che c’è una grande quantità di esperienze diverse, alcune delle quali sono sensazioni, che potremmo chiamare “esperienze (sensazioni) di familiarità”. | “Non esiste dunque qualcosa come una sensazione di familiarità?” – Direi che c’è una grande quantità di esperienze diverse, alcune delle quali sono sensazioni, che potremmo chiamare “esperienze (sensazioni) di familiarità”. | ||
Diverse esperienze di familiarità: ''a'') Qualcuno entra nella mia stanza, non lo vedevo da molto tempo, non lo aspettavo. Lo guardo, dico o provo | Diverse esperienze di familiarità: ''a'') Qualcuno entra nella mia stanza, non lo vedevo da molto tempo, non lo aspettavo. Lo guardo, dico o provo “Ah, sei tu”. – (Perché nel fare l’esempio ho detto che non lo vedevo da tanto? Non mi stavo accingendo a descrivere ''esperienze di'' familiarità? E qualunque fosse l’esperienza a cui alludevo, non avrei potuto averla anche se avessi visto la persona mezz’ora prima? Cioè, ho fornito le circostanze del riconoscere la persona come mezzo allo scopo di descrivere la situazione specifica del riconoscimento. A questo modo di descrivere l’''esperienza'' si potrebbe obiettare, dicendo che tira in ballo aspetti irrilevanti e in fondo non è affatto una ''descrizione'' della sensazione. Dicendo così si assume come prototipo di una descrizione, poniamo, la descrizione di un tavolo che ti dice la forma esatta, le dimensioni, il materiale di cui è fatto, il colore. Si potrebbe dire che una tale descrizione assembla il tavolo. C’è però un altro tipo di descrizione del tavolo, simile a quelle che potresti trovare in un romanzo, per esempio “Era un piccolo tavolo traballante decorato in stile moresco, del genere che serve i bisogni dei fumatori”. Tale descrizione la si potrebbe definire indiretta; se il suo scopo però è di evocare con rapidità nella mente un’immagine vivida del tavolo, forse essa è in grado assolverlo incomparabilmente meglio di una descrizione dettagliata “diretta”. – Ora, se devo dare la descrizione di una sensazione di familiarità o riconoscimento, – che cosa vi aspettate che faccia? Posso assemblare la sensazione? In un certo senso ovviamente potrei, elencando molti stati diversi e il modo in cui le mie sensazioni sono cambiate. Tali descrizioni particolareggiate le trovate in alcuni grandi romanzi. Se si pensa alle descrizioni del mobilio per come si trovano nei romanzi, si vede che a questo tipo di descrizione se ne può opporre un altro, che si serve di disegni e misure come quelle che forniremmo a un falegname. Quest’ultimo tipo si è propensi a chiamarlo l’unica descrizione diretta e completa (anche se tale modo di esprimerci mostra la nostra dimenticanza del fatto che ci sono certi scopi che la descrizione “vera” non assolve). Queste considerazioni dovrebbero metterti in guardia dal pensare che ci sia una descrizione vera e diretta, poniamo, della sensazione del riconoscimento, distinta da quella “indiretta” che ho fornito). | ||
''b'') Stesso caso di ''a''), ma la faccia non mi è immediatamente familiare. Dopo un po’, “sorge in me” il riconoscimento. Dico | ''b'') Stesso caso di ''a''), ma la faccia non mi è immediatamente familiare. Dopo un po’, “sorge in me” il riconoscimento. Dico “Ah, sei tu”, ma con un’intonazione completamente diversa che in ''a''). (Considera il tono di voce, l’intonazione, i gesti come parti essenziali della nostra esperienza, non come accompagnamenti inessenziali o meri espedienti comunicativi. (Confronta pp. 104-105.<ref>“Pp. 104-105” è l'indicazione presente nel manoscritto. Wittgenstein fa riferimento al capoverso non numerato della Parte II che comincia con, “Consideriamo la proposizione ‘credere qualcosa non può consistere soltanto nel dire che ci credi, lo devi dire con una particolare espressione facciale, gestualità, tono di voce’”. ''N. d. C.''</ref>)) ''c'') C’è un’esperienza diretta verso le persone e le cose che vediamo ogni giorno quando all’improvviso le sentiamo come “vecchie conoscenze” o “amici di vecchia data”; si potrebbe anche descrivere tale sensazione come una sensazione di calore, o di sentirsi a casa in loro presenza. ''d'') La mia stanza con tutti i suoi oggetti mi è assolutamente familiare. Quando ci entro al mattino saluto le sedie familiari, i tavoli, ecc. con una sensazione di “Ah, ciao!”? O provo una sensazione come quella descritta in ''c'')? Ma il modo in cui mi ci muovo, in cui prendo qualcosa da un cassetto, mi siedo ecc. non è diverso dal comportamento che adotterei in una stanza che mi è estranea? E perché dunque non dovrei dire che quando ho vissuto tra questi oggetti familiari ho sempre avuto esperienze di familiarità? ''e'') Non si tratta di un’esperienza di familiarità quando mi chiedono “Chi è quell’uomo?” e io rispondo subito (o dopo un po’ di riflessione) “È Tal-dei-tali”? Confronta con l’esperienza seguente ''f'') del fatto di guardare la parola scritta “sensazione” e di dire “Questa è la grafia di A” e d’altro canto con ''g'') l’esperienza di leggere la parola, che è pure un’esperienza di familiarità. | ||
A ''e'') si potrebbe obiettare che l’esperienza di dire il nome di un uomo non era l’esperienza di familiarità, che costui doveva già esserci familiare perché noi potessimo sapere il suo nome e che dovevamo ''sapere'' tale nome per poterlo pronunciare. O potremmo dire che | A ''e'') si potrebbe obiettare che l’esperienza di dire il nome di un uomo non era l’esperienza di familiarità, che costui doveva già esserci familiare perché noi potessimo sapere il suo nome e che dovevamo ''sapere'' tale nome per poterlo pronunciare. O potremmo dire che “Dire il suo nome non è sufficiente, perché di certo potremmo dire quel nome senza sapere che è il suo nome”. E tale osservazione è indubbiamente vera se solo comprendiamo che essa non implica che il conoscere il nome sia un processo che accompagna o precede il pronunciarlo. | ||
Considera questo esempio: quale è la differenza tra un’immagine mnemonica, un’immagine che si accompagna a un’aspettativa e, poniamo, l’immagine di una fantasticheria? Potresti essere portato a rispondere | Considera questo esempio: quale è la differenza tra un’immagine mnemonica, un’immagine che si accompagna a un’aspettativa e, poniamo, l’immagine di una fantasticheria? Potresti essere portato a rispondere “Tra queste immagini c’è una differenza intrinseca”. – Hai notato tale differenza o hai affermato che esiste solo perché hai pensato che dovesse esserci? | ||
“Di certo però riconosco un’immagine mnemonica in quanto immagine mnemonica, l’immagine di una fantasticheria in quanto immagine di una fantasticheria, ecc.” – Rammenta che a volte non sei sicuro se hai davvero visto accadere un certo evento, o l’hai sognato, o ne hai soltanto sentito parlare e l’hai immaginato in maniera vivida. Detto ciò, cosa intendi con “riconoscere un’immagine in quanto immagine mnemonica”? Concordo che (perlomeno nella maggioranza dei casi), mentre un’immagine si trova davanti all’occhio della tua mente, tu non sei in dubbio se si tratti di un’immagine mnemonica, ecc. Inoltre, alla domanda se l’immagine in questione è un’immagine mnemonica, tu (nella maggioranza dei casi) risponderesti senza esitare. E se invece ti chiedessi “'' | “Di certo però riconosco un’immagine mnemonica in quanto immagine mnemonica, l’immagine di una fantasticheria in quanto immagine di una fantasticheria, ecc.” – Rammenta che a volte non sei sicuro se hai davvero visto accadere un certo evento, o l’hai sognato, o ne hai soltanto sentito parlare e l’hai immaginato in maniera vivida. Detto ciò, cosa intendi con “riconoscere un’immagine in quanto immagine mnemonica”? Concordo che (perlomeno nella maggioranza dei casi), mentre un’immagine si trova davanti all’occhio della tua mente, tu non sei in dubbio se si tratti di un’immagine mnemonica, ecc. Inoltre, alla domanda se l’immagine in questione è un’immagine mnemonica, tu (nella maggioranza dei casi) risponderesti senza esitare. E se invece ti chiedessi “''Quand’è'' che sai di che tipo di immagine si tratta?”? Ciò che chiami sapere di che tipo di immagine si tratta consiste nel non essere in dubbio, nel non doverti interrogare in proposito? L’introspezione ti mostra uno stato o un atto mentale che chiameresti sapere che l’immagine è un’immagine mnemonica e che ha luogo quando l’immagine ti è presente alla mente? – E poi, se rispondi alla domanda in merito a che tipo di immagine hai avuto, lo fai, per così dire, guardando l’immagine e scoprendo in essa una certa caratteristica? (Come se ti avessero chiesto chi ha dipinto un certo quadro e tu guardandolo e riconoscendone lo stile avessi detto che è un Rembrandt.) | ||
È facile d’altro canto indicare le esperienze caratteristiche del ricordare, aspettarsi, ecc. che accompagnano le immagini, e altre differenze nei dintorni più prossimi o remoti di tali esperienze. Dunque noi certamente ''diciamo'' cose diverse nei diversi casi, per esempio “mi ricordo che è stato nella mia stanza”, “mi aspetto che venga nella mia stanza”, “immagino che arrivi nella mia stanza”. – “Di sicuro però la differenza non può essere tutta qui!” Non è tutta qui: ci sono i tre diversi giochi giocati con queste tre parole che circondano queste affermazioni. | È facile d’altro canto indicare le esperienze caratteristiche del ricordare, aspettarsi, ecc. che accompagnano le immagini, e altre differenze nei dintorni più prossimi o remoti di tali esperienze. Dunque noi certamente ''diciamo'' cose diverse nei diversi casi, per esempio “mi ricordo che è stato nella mia stanza”, “mi aspetto che venga nella mia stanza”, “immagino che arrivi nella mia stanza”. – “Di sicuro però la differenza non può essere tutta qui!” Non è tutta qui: ci sono i tre diversi giochi giocati con queste tre parole che circondano queste affermazioni. |